Dal “cigno nero” della pandemia, l’inizio di un circolo virtuoso?

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Ci voleva una pandemia globale, un cigno nero, un evento così drammatico e triste, un vero e proprio elettroshock per porre potenzialmente le basi di un rinascimento italiano. Mai come in questo periodo si stanno creando le condizioni per avviare – finalmente – un circolo virtuoso in Italia che, superando i vincoli storici – sia culturali che finanziari – possa farci progredire. Se sapremo gestire e finalizzare questo circolo virtuoso potremo recuperare il gap verso i paesi più avanzati, diventando anche noi un paese moderno e all’avanguardia

29 Gennaio 2021

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Andrea Rangone

Presidente DIGITAL360

Photo by Greg Rakozy on Unsplash - https://unsplash.com/photos/oMpAz-DN-9I

Ci voleva una pandemia globale, un cigno nero, un evento così drammatico e triste, un vero e proprio elettroshock per porre potenzialmente le basi di un rinascimento italiano. Sì, perché da professore che si occupa da quasi trent’anni di economia e innovazione, devo dire che mai come in questo periodo si stanno verificando una serie di fenomeni che potrebbero finalmente attivare un circolo virtuoso in grado di accelerare lo svecchiamento – o se preferite – l’ammodernamento del nostro paese.

Ma procediamo per gradi.

Partiamo dal passato. Siamo tra i paesi europei più indietro nel processo di innovazione e trasformazione digitale della società e dell’economia: ce lo dicono chiaramente non solo tutti gli indici che misurano questo processo (ad esempio il DESI, che ci pone al 25° posto su 27 paesi UE, o il più recente studio della BCE e Commissione europea sull’economia digitale, che ci pone quartultimi del Continente), ma anche – soprattutto, direi – i trend registrati in questi anni dei valori della produttività del lavoro, della crescita del PIL e dell’occupazione. Il motivo di questa situazione è in primis culturale: siamo sempre stati un paese poco sensibile alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, non studiate e capite dalla maggior parte delle persone anche con ruoli di responsabilità nelle nostre imprese, nelle nostre pubbliche amministrazioni e nei governi nazionali e locali, ritenute spesso “tecnicalità da specialisti”, da smanettoni (nerd) invece che leve per innovare e ammodernare profondamente la nostra economia, il nostro apparato statale, la nostra società.

Su questo substrato culturalmente poco reattivo, si sono innescati nell’ultimo decennio alcune progettualità positive: dal programma Restart, Italia! promosso nel 2012 dal Ministro Passera del governo Monti, che ha acceso un faro – finalmente anche in Italia – sull’importanza delle startup innovative, hi-tech, viste non tanto come vagiti imprenditoriali di giovani smanettoni ma come la linfa indispensabile per rinnovare il tessuto imprenditoriale di una economia matura, al “Piano Calenda” del 2016 sugli incentivi all’Industria 4.0, finalizzati ad accelerare l’ammodernamento del nostro comparto manifatturiero, cuore dell’economia italiana; al Fondo Nazionale Innovazione, che è entrato nella sua fase operativa l’anno scorso e che, grazie a una dotazione importante di circa un miliardo di euro, potrebbe accelerare notevolmente la nascita e lo sviluppo delle startup innovative, al recente Piano Nazionale Transizione 4.0 che allarga gli incentivi fiscali per l’innovazione digitale delle imprese a tutti i settori merceologici.

Peccato che tutte queste progettualità, sebbene vadano nella direzione giusta, non siano ancora riuscite a scaricarsi veramente a terra, cioè a generare effetti positivi di una certa rilevanza sui principali indicatori economici (produttività, PIL, occupazione, ecc.) per due ragioni di fondo:

  • il ritardo temporale che abbiamo accusato rispetto agli altri paesi più avanzati, che sono partiti molto prima e non sono certo rimasti con le mani in mano in questi ultimi anni;
  • le limitate risorse finanziarie ad oggi investite, dovute sia al nostro annoso problema di eccessivo indebitamento pubblico che alla mancanza di una chiara visione strategica di lungo termine e, conseguentemente, di una chiara politica industriale.

Nel 2020 arriva, tanto inaspettata quanto cruenta, la pandemia da Covid-19, che nella sua grande tragicità e tristezza, genera un vero e proprio elettroshock culturale: la “scoperta” del digitale. Sì, perché le conseguenze della pandemia – lockdown a intermittenza, smart working forzato, blocco dei viaggi, chiusura di negozi, di scuole, ecc., hanno costretto tutti a utilizzare –volenti o nolenti – gli strumenti digitali. E questo è accaduto sia per i più inerziali, ignavi, scettici, che sono stati forzati a “toccare con mano” il digitale, aumentando di molto la loro consapevolezza delle opportunità che può offrire e anche la sua “famigliarità”, sia per chi conosceva già bene il valore del digitale ma che, in questo periodo, ha scoperto nuove modalità di sfruttarlo ancor meglio, prima inimmaginabili.

E su questo scenario, si innesca lo strumento NextGenerationEU, che porta tre benefici importanti – in particolare per un paese come il nostro. Primo: definisce una chiara visione strategica del futuro, fondata su due grandi pilastri, quello della trasformazione digital e quello della trasformazione green. Per un paese come il nostro, privo di qualsiasi visione di lungo termine e di una politica industriale, questa visione chiara, nitida, forzata dell’Unione europea ha un valore enorme. Secondo: porta un bel po’ di soldi che, se siamo bravi a utilizzare, possono aumentare tutti quegli investimenti, sia pubblici sia privati, che sono in grado di accelerare le due trasformazioni di cui sopra (digital e green). Terzo: induce una forte focalizzazione della politica su queste due chiare priorità strategiche per il paese. Finalmente dovremmo avere governi centrali e locali che danno la giusta attenzione e priorità a questi temi, senza barattarli – come in passato – con qualsiasi altra “priorità” di convenienza politica di breve termine. Questo focus politico, si tradurrà – si sta già traducendo – in una costante attenzione da parte dei mass media al digitale e alla sostenibilità, determinando un innalzamento culturale importante su questi temi dell’intera popolazione italiana e innescando in questo modo un potente circolo virtuoso.

Voglio concludere questo breve commento proprio riprendendo questo concetto di circolo virtuoso: mai come in questo periodo si stanno creando le condizioni per avviare – finalmente – un circolo virtuoso in Italia che, superando i vincoli storici – sia culturali che finanziari – possa farci progredire.  E la partita in gioco è enorme: il nostro futuro. Se sapremo gestire e finalizzare questo circolo virtuoso potremo recuperare il gap verso i paesi più avanzati, diventando anche noi un paese moderno e all’avanguardia.

NdR: Questo articolo è tratto dall’Annual Report 2020 di FPA (disponibile online gratuitamente, previa registrazione)

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