L’innovazione di servizio

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La sfida è riprogettare i servizi pubblici, rendendoli realmente accessibili, inclusivi e capaci di rispondere con efficacia alle necessità, anche nei momenti di vulnerabilità

10 Marzo 2025

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Alfonso Molina

Personal Chair in Technology Strategy all'Università di Edimburgo e Direttore scientifico della Fondazione Mondo Digitale

Foto di Luis Benito su Unsplash - https://unsplash.com/it/foto/un-gruppo-di-persone-in-piedi-allinterno-di-un-edificio-PO4ATjlp-fg

Questo articolo è tratto dal capitolo “Trasformazione Digitale” dell’Annual Report 2024 di FPA (la pubblicazione è disponibile online gratuitamente, previa registrazione)


La trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione (PA) non è una questione puramente tecnologica e non può limitarsi all’automazione di processi obsoleti. Deve essere ripensata come un processo complesso di innovazione civica e sociale, supportato da strumenti di controllo e monitoraggio avanzati, in grado di misurare in tempo reale l’impatto concreto dei cambiamenti sulla vita delle persone.

Burocrazia con destrezza

«lo scippato, e la tecnologia rende tutto più difficile»: la denuncia di un cittadino, pubblicata su un quotidiano nazionale[1], rivela come un evento traumatico, un furto con destrezza, possa trasformarsi in un labirinto kafkiano tra carte bloccate, PIN inaccessibili, documenti mancanti e burocrazia digitale che non riesce a supportare chi si trova in emergenza. «Sono senza telefono, senza patente, senza carta di identità, senza tessera sanitaria, senza bancomat e senza contanti», scrive il cittadino. «Per accedere ai servizi del Comune devo prendere un appuntamento, ma per questo ci vuole lo SPID e lo SPID presuppone la ricezione di un codice sul telefono…».

Questo caso emblematico evidenzia il paradosso di un’amministrazione che, invece di semplificare, complica la vita di chi affronta emergenze. La sfida è riprogettare i servizi pubblici, rendendoli realmente accessibili, inclusivi e capaci di rispondere con efficacia alle necessità, anche nei momenti di vulnerabilità. Oggi convivono due narrazioni opposte: da un lato l’enfasi sulle smart solutions e l’innovazione, dall’altro la quotidianità di procedure farraginose che ostacolano l’accesso ai diritti fondamentali. Per colmare questo divario, occorre un cambio di paradigma: servono nuovi approcci all’uso delle tecnologie in grado di rendere la PA digitale uno strumento di equità sociale.

Avanti e indietro

La digitalizzazione della Pubblica Amministrazione italiana ha raggiunto una fase avanzata, accompagnata da segnali incoraggianti sul fronte delle tecnologie emergenti. Secondo una ricerca di Salesforce[2], il nostro Paese è al secondo posto in Europa per sperimentazioni di intelligenza artificiale (IA) nel settore pubblico e al primo per progetti pilota implementati. La Relazione per Paese sul decennio digitale 2024[3] sottolinea progressi significativi, in particolare nelle infrastrutture digitali (come la copertura in fibra ottica) e nella sanità elettronica (fascicolo sanitario elettronico). Tuttavia, emergono criticità nelle competenze digitali: solo il 45,8% degli italiani possiede competenze digitali di base, una percentuale ben al di sotto della media UE del 55,6%, con progressi limitati negli ultimi anni.

Un rapporto Istat[4] evidenzia come il ricorso massiccio ai servizi online durante la pandemia non abbia prodotto cambiamenti strutturali nei comportamenti digitali. Gli indicatori DESI mostrano che l’offerta di servizi pubblici digitali è allineata alla media europea, ma l’adozione da parte dei cittadini resta limitata. Nel 2023, solo il 27,7% degli italiani ha consultato i siti della PA per informazioni, e percentuali ancora più basse si registrano per l’uso di servizi specifici come richieste di certificati (13,3%), iscrizioni scolastiche (12,2%) e prestazioni previdenziali.

Alla Pubblica Amministrazione è affidata la gestione degli interessi collettivi del Paese. Come mai, allora, gli sforzi digitali intrapresi si traducono in effetti così marginali sui comportamenti della popolazione?

Il pasticcio dei servizi blended

Un esempio emblematico delle difficoltà nella digitalizzazione è la smaterializzazione incompleta: processi avviati in modalità digitale che si interrompono con la necessità di stampare, firmare fisicamente e consegnare di persona una pila di documenti. Quante volte ci siamo trovati in questa situazione? Così si vanificano i benefici attesi della digitalizzazione, come la riduzione di tempi e costi, e aumenta il carico di complessità per i cittadini, con disorientamento e frustrazione.

Anche i servizi “misti” che richiedono, ad esempio, di prenotare online per accedere a un ufficio fisico, oppure di confermare un’operazione digitale attraverso strumenti tradizionali come codici cartacei inviati per posta, penalizzano chi ha competenze digitali limitate e mostrano una mancanza di coerenza progettuale nella definizione dei nuovi servizi. Un servizio digitale universale non può essere blended. Per essere davvero innovativo, deve offrire un percorso fluido, integrato e interamente online, salvo eccezioni ben definite. Deve inoltre rispettare gli standard di interoperabilità e accessibilità previsti dai documenti di governance strategica. Se la digitalizzazione non è completa, è preferibile mantenere il servizio in modalità fisica o offrire un’alternativa chiara ed efficiente. In caso contrario, si creano nuove barriere che alimentano disuguaglianze e sfiducia. Anche se alcuni problemi possono essere attribuiti al periodo di transizione tra vecchi e nuovi sistemi, c’è una questione di governance: una trasformazione incoerente rischia di allontanare i cittadini dalla tecnologia, rendendo più difficile il loro successivo ritorno.

La comunicazione oscura e le catene di servizi di servizi

Un rapporto dell’Osservatorio sul linguaggio chiaro[5] evidenzia gravi problemi di leggibilità e comprensibilità nei siti della Pubblica Amministrazione. Su un campione di 20 siti analizzati, il 91,16% delle pagine risulta illeggibile, con picchi negativi per i portali di giustizia (93,27%) e fisco (97,47%). I problemi principali includono l’uso di gergo tecnico, una complessa distribuzione delle informazioni e una progettazione non centrata sulle esigenze dei cittadini. L’indagine, condotta usando strumenti come Read-IT del CNR, adotta i principi del linguaggio chiaro: comprensibilità, reperibilità, usabilità e pertinenza. Le criticità emerse non riguardano solo lo stile (tono incoerente, lessico complesso), ma anche la struttura: design e gerarchia delle informazioni sono spesso inefficaci e disorientanti.

Un altro contributo illuminante è il volume “Il dovere costituzionale di farsi capire”[6], che nel capitolo curato da Elisabetta Zuanelli analizza come alcune procedure non semplifichino ma, al contrario, accrescano l’onere operativo per i cittadini. In particolare, viene approfondito il fenomeno delle “catene digitali di servizi di servizi”: un’integrazione disorganizzata di strumenti tecnologici, spesso frammentata tra dispositivi fissi e mobili, che crea un’esperienza d’uso frustrante e inefficace. Questi problemi non solo minano la fiducia dei cittadini nei confronti della digitalizzazione, ma evidenziano l’urgenza di ripensare la comunicazione della PA, affinché sia davvero inclusiva e funzionale.

La PA che vorremmo

In una recente ricerca realizzata da Formez e Censis[7] , è stato chiesto ai giovani di descrivere la PA che vorrebbero. Le risposte evidenziano alcuni temi chiave: il 54,3% dei giovani indica la semplificazione amministrativa come una priorità, con un netto taglio della burocrazia e procedure semplificate. Altri punti salienti sono la centralità dei bisogni dei cittadini, in particolare i più vulnerabili (39,2%), la modifica delle modalità di gestione del personale e delle procedure amministrative (36,1%), e la digitalizzazione dei servizi (35,5%). Un altro aspetto importante è l’impegno per creare nuova occupazione e sviluppo nei territori (33,6%), insieme a iniziative per la sostenibilità e la transizione ecologica (26,7%).

Questa “visione giovane” ci convince in gran parte, ma riteniamo che l’uso di intelligenza artificiale e tecnologie avanzate per personalizzare procedure e servizi (18,1%) meriti un’attenzione ancora maggiore. Le tecnologie, infatti, non sono solo uno strumento di efficienza, ma giocano un ruolo fondamentale nell’inclusione sociale, rendendo la PA anche più accessibile, adattiva e proattiva, rispondendo in modo personalizzato e tempestivo ai bisogni reali dei cittadini.

Monitoraggio vs stato di avanzamento vs valutazione

Piani, Strategie, Codici, PNRR ecc. hanno definito attori e attività per il controllo dei processi, concentrandosi principalmente sul monitoraggio dello stato di avanzamento, come l’uso delle risorse, le tempistiche e la trasparenza nella rendicontazione. Tuttavia, è più complesso valutare l’impatto reale dei processi sui cittadini, andando oltre il numero di utenti attivi, la frequenza di uso e il livello di soddisfazione, indicatori che non offrono una visione completa del grado di inclusione raggiunto e del valore aggiunto in termini di qualità della vita. L’intelligenza artificiale potrebbe svolgere un ruolo strategico, raccogliendo e analizzando una grande quantità di dati disaggregati (es. per fasce di reddito o area geografica), permettendo di monitorare i processi su diverse scale temporali (breve, medio e lungo termine). Un altro passo fondamentale sarebbe l’applicazione della Valutazione in tempo reale[8] nei processi di innovazione civica e sociale, per mantenere una visione olistica sull’intero ecosistema in trasformazione, e comprendere cosa funziona e cosa no proprio mentre sta accadendo. Bisogna continuare a rafforzare la sinergia tra PA e mondo non profit. Sebbene il nuovo Codice del terzo settore abbia fatto passi avanti nella coprogettazione e co-programmazione, ci sono ancora aree inesplorate, come quelle legate alla misurazione del valore sociale, per superare le logiche controfattuali che frequentemente arrivano solo quando i processi sono già conclusi. La valutazione in tempo reale ci permette di imparare dagli errori, scoprire opportunità di miglioramento e ottimizzare gli interventi tempestivamente.

Non possiamo accontentarci di una PA che fa meglio ciò che è sempre stato fatto. È tempo di una PA che osi ripensare sé stessa come un acceleratore di equità e sviluppo. Ogni nuovo processo digitale deve diventare strumento di empowerment e inclusione.


[1] Corriere della Sera, 22 novembre 2024, pag. 27

[2] Salesforce, Thea Group, Il ruolo e gli impatti dell’Intelligenza Artificiale nella Pubblica Amministrazione italiana, 2024

[3] Commissione europea, Italy 2024 Digital Decade Country Report

[4] Istat, Cittadini e ICT. Competenze digitali e caratteristiche socio-culturali della popolazione: forti divari, dicembre 2023

[5] Associazione Linguaggi Chiari, Osservatorio sul linguaggio chiaro. Rapporto 2024

[6] Piemontese E. (a cura di), Il dovere costituzionale di farsi capire, Carocci, Roma 2023

[7] Formez, Censis, Il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. L’impiego pubblico raccontato da chi ci lavora e da chi ci vorrebbe lavorare, 2024

[8] Molina A., Gregson G., Real-time evaluation methodology as learning instrument in high-technology SME support networks, in International Journal of Entrepreneurship and Innovation Management, 2002

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