L’Italia del digital divide: banda larga per pochi, ma è il pc il grande assente
Quanti sono i cittadini che in Italia hanno pieno accesso alle nuove tecnologie digitali grazie alla connessione veloce? I numeri ci restituiscono l’immagine di un Paese ancora lontano dalla media degli altri Paesi europei e diviso in due per quanto riguarda l’accesso ai servizi broadband (banda larga): da una parte le città medio-grandi, in cui c’è una diversificazione dell’offerta da parte degli operatori (quindi anche tariffe in concorrenza tra loro), dall’altra i piccoli centri, in cui le infrastrutture sono ancora di là da venire e l’offerta scarseggia, quando non è completamente assente.
18 Febbraio 2009
Quanti sono i cittadini che in Italia hanno pieno accesso alle nuove tecnologie digitali grazie alla connessione veloce? I numeri ci restituiscono l’immagine di un Paese ancora lontano dalla media degli altri Paesi europei e diviso in due per quanto riguarda l’accesso ai servizi broadband (banda larga): da una parte le città medio-grandi, in cui c’è una diversificazione dell’offerta da parte degli operatori (quindi anche tariffe in concorrenza tra loro), dall’altra i piccoli centri, in cui le infrastrutture sono ancora di là da venire e l’offerta scarseggia, quando non è completamente assente.
I dati forniti da Between, società di consulenza nel settore ICT che segue e monitora lo stato dell’arte attraverso l’Osservatorio Banda Larga, parlano, infatti, di 10,7 milioni di utenti con accesso alla banda larga in Italia (secondo trimestre 2008). Numeri che posizionano il nostro Paese solo al tredicesimo posto in Europa, addirittura dietro la Slovenia, per numero di accessi per 100 abitanti. I dati sono contenuti nel Rapporto “Analisi sulle determinanti del processo di sviluppo della banda larga” – commissionato dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e pubblicato nell’ottobre scorso – che analizza il quinquennio 2002-2007 in Italia.
Gli italiani che navigano con la banda larga, quindi, sono ancora pochi. Ma è anche vero che sono la maggioranza di quelli informatizzati: infatti, se ci si sposta dai numeri assoluti e si va a vedere il rapporto tra numero di accessi alla banda larga e numero di persone che hanno utilizzato un pc nell’ultimo anno, l’Italia sale dal tredicesimo al quarto posto nella classifica europea.Il problema, quindi, non nasce solo da una mancanza di copertura. Le infrastrutture non bastano, sono condizione necessaria, ma non sufficiente per l’accesso alla banda larga, in un contesto in cui manca l’alfabetizzazione informatica e la cultura dei nuovi strumenti telematici. Il divario digitale è profondo, perché è lo specchio di una divisione anche culturale.
Le stesse famiglie italiane, come riporta l’Osservatorio Banda Larga, citano tra le motivazioni per cui non si adottano servizi broadband non tanto i costi (le tariffe italiane per la connessione alla banda larga sono in linea con la media europea e anche il costo dei pc ormai non appare proibitivo), ma l’assenza di copertura e l’inutilità dell’accesso alla banda larga. Quest’ultimo fattore è legato a una percezione soggettiva, su cui risulta più complicato intervenire: forse bisognerebbe partire dall’adozione massiccia delle nuove tecnologie all’interno della scuola e della Pubblica Amministrazione, rendendole così parte integrante della vita quotidiana dei cittadini.
Qualche altro numero a conferma di questa situazione: in Italia possiede un pc il 49% degli abitanti (fonte Eurostat) e si prevede che nel 2010 la diffusione non supererà il 60% delle famiglie, contro l’80% dei Paesi europei più avanzati. E se è vero che in Italia oltre 14 milioni di famiglie non dispongono di una connessione a banda larga (contro gli 8,7 milioni che la possiedono), bisogna anche considerare che di queste ben 11 milioni non ne hanno bisogno, perché non possiedono un pc (dati Between a giugno 2008).
Sono state raggiunte, perciò, quasi tutte le famiglie informatizzate e il mercato va verso la saturazione, tanto è vero che nelsecondo trimestre 2008 gli accessi alla banda larga sono aumentati del 2% rispetto al periodo gennaio-marzo, mentre in precedenza la crescita era più vistosa: il Rapporto Broadband Inclusion dell’Osservatorio Banda larga di Between (maggio 2008) parlava per il primo trimestre 2008 di un aumento degli accessi di circa il 4% rispetto all’ultimo trimestre 2007.
Tuttavia, fermo restando la necessità di politiche di sostegno alla domanda e dell’innalzamento del grado di alfabetizzazione informatica (anche all’interno della Pubblica amministrazione), va da sé che senza infrastrutture adeguate alcune aree del Paese non potranno stare al passo con le altre. Abbiamo detto prima che la presenza della banda larga e la possibilità di accedere al collegamento veloce ad internet (con tariffe competitive!) è condizione non sufficiente, ma comunque necessaria per cercare di colmare un divario digitale, che aumenta in maniera direttamente proporzionale all’aumento delle potenzialità delle nuove tecnologie. Più aumentano le opportunità e i servizi offerti a chi ha accesso alla rete, più resta indietro chi ne è escluso.
Passi avanti dal punto di vista delle infrastrutture sono stati fatti: ad esempio, dal 2001 al 2007 è raddoppiata la copertura Adsl. Qualche dato dal Rapporto Broadband Inclusiondel maggio scorso: a fine 2007 l’ADSL copriva il 94% della popolazione, con un incremento di 5 punti percentuali rispetto al dicembre 2006. Ma i livelli di copertura continuano a far registrare grandi differenze tra le aree urbane (99%) e suburbane (94%), e le aree rurali, anche se la distanza sembra diminuire, visto che qui si è passati dal 52% al 75% nell’ultimo anno.
Da cosa dipende questa frattura? Innanzitutto da logiche di redditività. Le infrastrutture non sono presenti in modo omogeneo nel Paese, perchè gli investimenti degli operatori si indirizzano soprattutto verso le aree che hanno un grande bacino di clienti potenziali. Le aree meno popolose o economicamente più depresse (campagne, zone montane, piccoli comuni) risultano meno interessanti e, quindi, restano fuori dall’orbita delle società di telecomunicazioni.
Come sottolinea Enrico Borghi, presidente UNCEM (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani): “Il primo aspetto da considerare è che la politica ha, ormai da tempo, abdicato a svolgere la sua funzione di ricerca del bene comune diventando il luogo di confronto tra le grandi lobbies. Di conseguenza, i territori che hanno una vasta estensione e una rarefazione di popolazione e di imprese, come le zone montane, sono messe ai margini poiché non sono tavoli di contrattazione appetibili per gli interessi commerciali delle aziende che, non avendo un rapporto costi benefici ottimale, si concentrano laddove ci sono più margini di redditività e la politica segue a ruota”.
Il Rapporto “Analisi sulle determinanti del processo di sviluppo della banda larga” segnala anche la scarsa incisività, fino ad oggi, degli operatori alternativi a Telecom Italia, che rimane ancora l’operatore con posizione dominante, nonostante la liberalizzazione del mercato e nonostante le sue quote di mercato stiano subendo una progressiva erosione. I concorrenti di Telecom hanno concentrato gli investimenti in infrastrutture nelle aree a maggiore potenziale di mercato, coprendo solo un 50% della popolazione. Questo riduce per l’altra metà degli italiani la possibilità di scegliere tra diverse tariffe concorrenti.
Ma nel nostro Paese c’è un ulteriore livello di digital divide: anche tra le zone in cui arriva la banda larga ce ne sono alcune che fanno mordere la polvere alle altre. Per quanto riguarda, ad esempio, i servizi di seconda generazione (ADSL2+, la tecnologia che permette collegamenti fino a 20 Mbps, contro le tradizionali ADSL fino a 7 Mbps), il dato nazionale di copertura a fine 2007 si attesta al 61% della popolazione. Between riporta anche un’altra notizia poco confortante: le nuove connessioni banda larga (a 50 e a 100 Mbps) arriveranno nel medio periodo solo nelle metropoli del Centro Nord, il che renderà più profonda la spaccatura dell’Italia. Anzi, possiamo dire che creerà nuove spaccature in un Paese che già viaggia a velocità diverse.
Come intervenire su questa situazione? Serve innanzitutto un ampio intervento di sistema, che oltre a puntare sullo sviluppo delle infrastrutture promuova anche la diffusione del personal computer all’interno di imprese e famiglie italiane.
Resta poi aperto il dibattito su quali siano le tecnologie più adatte per andare a coprire il territorio in maniera capillare. Tecnologie alternative all’Adsl potrebbero dare un grande contributo: si guarda, ad esempio, a Wi-Fi e WiMax (tecnologie a banda larga senza fili) non solo come strumento aggiuntivo alla tradizionale Adsl (nella consapevolezza che questa non è più sufficiente), ma soprattutto come possibile soluzione per i Comuni che da questa non sono raggiunti.
In ogni caso, che l’Italia non possa fare a meno della banda larga (e, in prospettiva, di quella ultra-larga) è un dato di fatto. Lo ha sottolineato, nel luglio scorso, anche Corrado Calabrò, presidente dell’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni, in occasione della presentazione dell’annuale Rapporto sulle attività svolte e sui programmi dell’Autorità: “L’espansione del settore con le vecchie tecnologie – aveva sottolineato Calabrò – è ormai giunta al capolinea. Senza il passaggio alla larga banda il digital divide non riguarderà solo le aree meno servite del Paese, ma segnerà il distacco tra la richiesta emergente di nuovi servizi e la capacità di soddisfarli e, allo stesso tempo, tra i Paesi avanzati che procedono ad alta velocità e l’Italia instradata su binari a scartamento ridotto”.
il Documento conclusivo dell’Indagine conoscitiva sull’assetto e sulle prospettive delle nuove reti del sistema delle comunicazioni elettroniche svolta dalla IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati (approvato nella seduta del 2 dicembre scorso).