L’Ocse certifica la leadership dell’Agenzia delle Entrate italiana, indietro Germania, Stati Uniti, Francia e Regno Unito
Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’approfondimento a firma di Stefano Latini, già pubblicato sul magazine del personale dell’Agenzia delle Entrate, sul fisco digitale e, in particolare, sugli aspetti che hanno reso l’Italia uno dei paesi più efficienti in materia. L’OCSE ha infatti riconosciuto il primato della nostra amministrazione, non solo in Europa, per quanto riguarda l’informatizzazione delle procedure e dei servizi relativi alla trasmissione, lavorazione e archiviazione delle dichiarazioni dei redditi.
20 Gennaio 2015
Stefano Latini*
Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’approfondimento a firma di Stefano Latini, già pubblicato sul magazine del personale dell’Agenzia delle Entrate, sul fisco digitale e, in particolare, sugli aspetti che hanno reso l’Italia uno dei paesi più efficienti in materia. L’OCSE ha infatti riconosciuto il primato della nostra amministrazione, non solo in Europa, per quanto riguarda l’informatizzazione delle procedure e dei servizi relativi alla trasmissione, lavorazione e archiviazione delle dichiarazioni dei redditi.
Tre volte sul podio del fisco digitale e capofila indiscussa nella rincorsa ventennale condotta dalle Amministrazioni finanziarie dei Paesi più sviluppati all’impiego di servizi e procedure, sempre più formato byte. L’Organizzazione di Parigi, l’Ocse, non concede sconti sia nelle critiche sia nei riconoscimenti, come in questo caso. Infatti le tavole statistiche, esposte nell’ultimo Report 2013 – Tax Administration Comparative Information, offrono un quadro chiaro delle ottime performance dell’Agenzia delle Entrate. Per cominciare il 100% delle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche viaggiano attraverso canali telematici, lo stesso vale per le dichiarazioni IVA, anch’esse trasmesse al 100% in forma di file, e per finire persino le dichiarazioni dei redditi delle imprese, secondo l’Ocse le più difficili da assimilare al fisco 2.0 e all’impiego delle nuove tecnologie, corrono oramai al 100% su di una piattaforma informatizzata.
Ruolo guida a prova di tempo e su basi estese, senza aree di nicchia
Dunque, a conti fatti, quello disegnato dall’autorevole Organizzazione parigina è il profilo d’una leadership, quella italiana, solida, continua nel tempo e con tre diversi livelli di vertice che coprono l’intero campione dei contribuenti individuali, inclusi i professionisti e le società. E questo mentre in molti Paesi il rischio che si registra è proprio l’opposto, cioè di aprire la porta del digitale fiscale soltanto in favore di gruppi ristretti di contribuenti, cosiddetti di nicchia, a discapito d’una digitalizzazione estesa, orizzontale. In pratica, la più efficace e di maggior qualità nel tempo.
La mappa del fisco digitale, l’Italia conduce, Usa e Germania inseguono
Scorrendo le tavole statistiche relative all’invio e alla lavorazione e archiviazione delle dichiarazioni dei redditi, l’Agenzia delle Entrate compare per tre volte in testa, con una performance del 100%. Più indietro gli altri grandi Paesi industrializzati, anch’essi con platee di decine di milioni di contribuenti, tra i quali, a sorpresa, anche gli Stati Uniti, con solo il 76% delle dichiarazioni individuali e il 44% delle imprese online, e il Regno Unito, 77% delle individuali e 42% delle società trasmesse e lavorate attraverso canali telematici, cui si aggiungono il 42%, mentre ancora più indietro figurano la Francia, rispettivamente 33% e 81%, e la Germania 32% e un assordante “0”. Stesso trend per le dichiarazioni delle partite Iva, con il 100% delle Entrate italiane e, a scendere, il 67% britannico, il 39% francese e il 28% tedesco.
Grandi Paesi industrializzati | Dichiarazioni redditi Persone fisiche | Dichiarazioni IVA | Dichiarazioni redditi Società |
Italia | 100 | 100 | 100 |
Usa | 76 | – | 44 |
UK | 77 | 67 | 42 |
Francia | 33 | 39 | 81 |
Germania | 32 | 28 | – |
Giappone | 44 | 85/40 | 58 |
Spagna | 74 | 80 | 99 |
Corea del Sud | 87 | 79 | 97 |
Nella tabella è indicato, in percentuale rispetto al dato complessivo, il numero delle dichiarazioni individuali, Iva e delle società che i grandi Paesi industrializzati trasmettono, lavorano e archiviano annualmente impiegando piattaforme informatiche. Fonte: Ocse. (I valori riportati nella tabella sono espressi in percentuale).
La lezione del fisco 2.0: meno miliardi, più visione strategica
Dunque volumi massicci di investimenti, miliardi di euro, non risultano sufficienti a garantire un’ottima performance del digitale fiscale. E’ infatti necessario definire delle strategie efficaci, capaci di coinvolgere più attori con l’obiettivo di non lasciare solo al contribuente, destinatario delle nuove procedure, il compito di adeguarsi alle regole del digitale e del correre delle tecnologie. In molti Paesi, per esempio negli Usa, l’aver puntato su di una reazione immediata dei singoli contribuenti al cambiamento, senza provvedere schemi e attori intermedi, ha determinato lunghi ritardi nella realizzazione degli obiettivi iniziali. Un ritardo ancora oggi evidente, basti pensare, come riporta l’Ocse, che proprio gli States furono i primi a sdoganare il fisco 2.0 nel 1986. Diverso il caso tedesco. La Germania, infatti, sconta un ritardo temporale nell’adozione piena del modello del fisco telematico. Ancora diverso il caso britannico, a metà tra l’assenza di corpi e di fasi intermedie e ritardi, con il risultato che nonostante massici investimenti restano ancora al di sotto degli obiettivi prefissati.
Spazio al dialogo, stop al fisco di trincea, Entrate caposcuola
La parola chiave per l’Ocse è dialogo, cioè apertura alle categorie professionali esterne, oltre che ai contribuenti in via generale. E quindi utilizzare gli esperti di temi fiscal-finanziari come corpi intermedi capaci di gestire il passaggio delle dichiarazioni e della documentazione in forma digitale. Un modello di sistema, strategico, sul quale proprio l’Agenzia delle Entrate ha vinto la sua scommessa del fisco 2.0. E questo a differenza delle Amministrazioni finanziarie di altri grandi Paesi, come Usa, Francia, Germania e persino il Regno Unito. Tutti Paesi dove le rispettive Agenzie delle Entrate costituiscono ancora una sorta di casamatta fiscale, chiusa rispetto all’esterno, dove il dialogo accettato è soltanto quello con il singolo contribuente, ma a certe condizioni, mentre per gli intermediari, i professionisti e gli esperti le porte restano chiuse. Talmente serrate che, ad oggi, la metà delle Amministrazioni finanziarie dei Paesi Ocse non è in grado di fornire elenchi o registri degli esperti e dei professionisti con i quali hanno connessioni, scambi o collegamenti. Senza intermediari, senza aperture e confronti, il dialogo si chiude, il fisco digitale non corre e gli obiettivi restano sulle agende, non si traducono in risultati né tantomeno nelle performance auspicate.
Il nuovo digital divide fiscale
La media Ocse indica nel 60% i flussi delle dichiarazioni dei redditi che ogni anno sono inviate, lavorate e archiviate dalle Amministrazioni finanziarie di tutto il mondo ricco secondo procedure completamente informatizzate. Per l’Italia si sale al 100%, decisamente al di sopra della performance registrata mediamente dai Paesi industrializzati nel loro complesso. Il rischio è il materializzarsi d’un gap digitale in materia di fisco proprio quando alle Amministrazioni finanziarie si richiede uno sforzo ulteriore su temi come, per esempio, la cooperazione, lo scambio d’informazioni e l’istituzione di canali di comunicazione. Tutti fattori che poggiano sul digitale.
Benvenuto risparmio digitale
L’ultimo punto, troppo spesso scontato, riguarda il risparmio di spesa significativo che dalla digitalizzazione dell’Amministrazione, così come delle grandi e piccole aziende, può derivare. Alcuni studi elaborati dal fisco statunitense e da quello inglese hanno messo in rilievo di recente proprio questo aspetto. Il punto di partenza è unanime: la lavorazione di centinaia di milioni di informazioni, la visualizzazione dei dati, il controllo e l’archiviazione si trasforma in un processo avanzato distante anni luce dall’età della carta. Oltre al miglioramento nei servizi e nella gestione dei compiti istituzionali ciò che si realizza è un significativo risparmio sulle voci di spesa. Risparmio che l’Agenzia delle Entrate Usa contabilizza in 10 dollari per file trasmesso, ricevuto e lavorato, mentre altri studi tendono ad elevare la soglia fino a 40 dollari, a seconda che si tratti di documenti digitalizzati relativi alle grandi, medie e piccole aziende o alle partite Iva, le più complesse da gestire ovunque. Insomma, miliardi di risparmi. Basti pensare al caso italiano che dal ’97-’98 ha sterzato sull’informatizzazione con decisione, quasi rivoluzionaria, permettendo un risparmio sui bilanci di centinaia di milioni di euro l’anno, difficili da definire con esattezza, ma da tutti rilevati unanimemente a livello internazionale, tanto da spingere altri Paesi, i più restii, a seguirne l’esempio.
* Addetto Stampa, Agenzia delle Entrate – Roma