Mr. Agenda digitale: luci, ombre e crepuscoli
La notizia, data da Enrico Letta con un tweet, di aver arruolato Francesco Caio come “Mister Agenda Digitale” e insieme la nuova governance dell’Agenda digitale che riporta al diretto controllo della Presidenza del Consiglio dei Ministri tutto il processo di attuazione sono senz’altro due positive novità che non possiamo che accogliere con soddisfazione. Avevamo certamente bisogno di un coordinamento “alto” delle attività per l’Agenda e la figura e il curricolo di Caio ci lasciano ben sperare accanto a queste luci vedo però alcune ombre che rischiano di far fallire l’intera operazione.
19 Giugno 2013
Carlo Mochi Sismondi
La notizia, data da Enrico Letta con un tweet, di aver arruolato Francesco Caio come “Mister Agenda Digitale” e insieme la nuova governance dell’Agenda digitale che riporta al diretto controllo della Presidenza del Consiglio dei Ministri tutto il processo di attuazione sono senz’altro due positive novità che non possiamo che accogliere con soddisfazione.
Avevamo certamente bisogno di un coordinamento “alto” delle attività per l’Agenda (che come ben sappiamo non è solo PA digitale, ma neanche solo larga banda) e la figura e il curricolo di Caio ci lasciano ben sperare, come anche i nomi delle persone che lo affiancheranno: Luca De Biase, Francesco Sacco e Benedetta Rizzo sono tutti e tre “innovatori” nel senso migliore del termine. Avevamo bisogno di un po’ più di chiarezza nella governance e sapere che sarà direttamente il Presidente del Consiglio il responsabile di questa politica vitale per lo sviluppo ci conforta e ci riporta in una dimensione più europea.
Accanto a queste luci vedo però alcune ombre che rischiano di far fallire l’intera operazione.
In una veloce e assolutamente arbitraria sintesi ricorderei:
- Centratura: attenzione a mettere al centro del processo le reti (sono certo ad es. che Caio sia in grado di pensare a 360°, ma c’è il rischio che si occupi soprattutto di reti di telecomunicazioni). Certamente la larga banda disponibile per tutti è un prerequisito per l’Italia digitale. Ma siamo proprio certi che il focus sia lì?
Vi faccio un esempio: sappiamo tutti che uno dei gravi handicap per il nostro tessuto produttivo è la scarsa digitalizzazione (5% del fatturato deriva dall’online, contro il 17% di UK e Germania e il 14% della Francia), ma se chiediamo agli imprenditori perché non usano Internet solo il 2,4% lamenta problemi di accessibilità alla banda larga, mentre per il 27% la risposta è che non gli serve e per il 42% che non è capace. Forse allora sarà meglio spendere i soldi per cambiare la cultura e per far immaginare, attraverso una profonda rivoluzione di comportamenti e adeguati incentivi economici, come può essere il futuro, piuttosto che lasciare tutto così e aumentare la disponibilità di autostrade per chi non vuol viaggiare. - Operatività: chi è responsabile delle politiche deve essere in grado di farle funzionare. Invece mi pare che nulla dica il decreto sui colli di bottiglia, ossia sull’enorme quantità di regolamenti attuativi che devono essere emanati “da qualcun altro”. Se la responsabilità politica è sul Presidente del Consiglio facciamo che i regolamenti attuativi siano tutti emanati dalla stessa Presidenza?
- Ruoli e incarichi: vi confesso una mia allergia. Io sono allergico agli incarichi gratis e basati sul volontariato. Io vorrei che pagassimo i manager (anche Caio) per quanto valgono e per le responsabilità che gli diamo, che li impegnassimo al 100% e gli fissassimo obiettivi ambiziosi e misurabili, e che poi li valutassimo sui risultati. Oltretutto c’è un banale problema amministrativo: un incaricato esterno e volontario non ha effettivo potere decisionale, dovrà necessariamente rimanere un consulente, seppure di lusso, ma abbiamo meno bisogno di chi ci dice cosa dobbiamo fare piuttosto di chi ci effettivamente sia in grado di farlo.
- Miti: sento sempre più spesso parlare dei fondi europei della programmazione 2014-2020 come del “deus ex machina” che risolverà i nostri problemi di finanziamento. E’ ora di dire chiaramente che questo è falso: in primis perché questi soldi saranno spendibili solo a fine 2015 (se va bene) e non possiamo aspettare altri due anni; poi perché la coperta sarà cortissima, infine, ma è la cosa più importante, perché non c’è nessuna Europa che possa esimerci dalle scelte. Oggi non è vero che non ci sono i soldi per l’economia digitale. Dobbiamo solo decidere di spendere quel poco (ma non così tanto poco) che c’è lì, piuttosto che, ad esempio, nelle infrastrutture stradali o nell’acquisto di macchinari. Dobbiamo insomma avere una visione orientata e chiara dello sviluppo che vogliamo e di che faccia deve avere il Paese quando uscirà dalla crisi. E non sarà l’Europa a dircelo.
Ci sono poi degli aspetti che sono rimasti in un crepuscolo indistinto, ma che devono assolutamente e velocemente essere chiariti:
- Rapporti tra i tre livelli di responsabilità. Nell’interessante schema che Roberto Scano fa della nuova governance si vede a colpo d’occhio che i livelli di responsabilità sono almeno tre: l’Agenzia per l’Italia digitale con il suo DG Agostino Ragosa e il suo comitato di indirizzo; il tavolo di coordinamento presieduto da Caio; il livello politico che non è solo del Presidente del Consiglio, perché il decreto non abolisce, ma anzi ribadisce la responsabilità della Cabina di Regia aumentando anche il numero dei protagonisti che passa da cinque a otto con l’aggiunta del ministro della salute, di un presidente di regione e di un sindaco che si affiancano ai ministri dell’istruzione, università e ricerca, dello sviluppo economico, dell’economia, della coesione territoriale, della PA e semplificazione. Insomma una gran confusione in cui è essenziale definire immediatamente ruoli, competenze e livelli di responsabilità. Altrimenti stiamo peggio di prima.
- Status dell’Agenzia e sua governance. Il direttore generale dell’Agenzia per l’Italia digitale dice pubblicamente che l’assenza dello statuto non pregiudica l’operatività del piano, e caldamente lo spero, ma non ne sono convinto. Senza statuto l’Agenzia non è formalmente costituita e non c’è passaggio burocratico al mondo che possa convincermi che non siamo di fronte ad una grave anomalia e ad una sciatteria istituzionale deprecabile. E’ ora di darci un taglio e di sanare questo vulnus che non è solo amministrativo.
- Partenza dei tavoli di concertazione. Un punto importante che è sino ad ora rimasto scoperto è quello del coinvolgimento attivo, nella politica per l’Italia digitale, delle componenti del territorio, della società civile, del mondo imprenditoriale. E’ ora che questi tavoli partano e che comincino a riportare al centro quel tesoro di esperienze positive e negative che si sono sviluppate nei territori e nei sistemi regionali, esperienze che possono permetterci di fare un immediato salto di qualità nella progettazione.