Nicita: “Le politiche digitali che ci servono per lo sviluppo del 5G”
23 Dicembre 2015
Antonio Nicita, Agcom
Le politiche dello spettro degli ultimi anni hanno registrato, a livello internazionale prima e a livello europeo dopo, un profondo cambiamento.
Innanzitutto nella relazione tra ‘assignment’ (criteri e modalità di assegnazione delle frequenze) e ‘allocation’ (definizione degli usi permessi rispetto alle frequenze assegnate). Ci sono, tipicamente, quattro combinazioni possibili: (i) licenze esclusive per usi definiti; (ii) licenze esclusive con usi non definiti; (iii) licenze non esclusive con usi definiti e (iv) licenze non esclusive con usi non definiti. A ciò si aggiungono poi le modalità di assegnazione (asta, beauty contest e così via).
Ciascuna di queste combinazioni presenta vantaggi e svantaggi che occorre valutare con cautela prima di definire la spectrum policy. Dal punto di vista del social welfare, va preliminarmente compreso il valore della frequenza e la migliore accoppiata tra tipo di frequenza e usi possibili. I casi di ‘commons’ con licenze non esclusive andrebbero incoraggiati per usi nomadici o per business case di tipo locale, oppure ancora per incoraggiare connessioni a basso valore d’uso volte a garantire continuità di accesso al cliente (un tipico esempio è il wi-fi outdoor). Al contrario usi che richiedono elevati investimenti per servizi ad alto valore aggiunto dovrebbero restare in un ambito licenziatario esclusivo.
I processi di refarming, osservati in varie parti del mondo, hanno evidenziato la necessità di allocazioni future proof o, in mancanza, di meccanismi agili e flessibili di riallocazione degli usi.
D’altra parte, si è posto in molte occasioni il tema dell’intensità dell’uso della risorsa frequenziale, da parte degli assegnatari, e del cosiddetto spectrum hoarding (accaparramento delle risorse a fini escludenti). Molte risorse frequenziali non vengono pienamente utilizzate dagli assegnatari e non sempre la previsione di meccanismi di trading o leasing ha risolto il problema. D’altro canto, la verifica di vincoli del tipo use-it-or-lose-it si scontra con l’autonoma strategia di deployment degli assegnatari, in un dato orizzonte temporale, e non appare incisiva per casi di uso parziale della risorsa (a meno che tali vincoli non esplicitino, fin dall’inizio, soglie minime di saturazione della capacità).
La crescente ‘fame di spettro’, dovuta all’esplosione potenziale della domanda di servizi a banda ultra larga in mobilità, richiede che siano disponibili sempre maggiori quantità di spettro, imponendo un cambio di prospettiva che passa da due linee guida: l’armonizzazione delle allocazioni e la condivisione (licenziataria e non) delle risorse frequenziali.
L’armonizzazione delle risorse frequenziali nasce dall’esigenza non solo di allocare le risorse ai migliori usi, ma anche di garantire alle imprese manifatturiere (software e chipset) mercati più ampi, generando economie di scala poi trasferibili ai consumatori in termini di prezzi più bassi.
La condivisione delle risorse risponde all’esigenza di massimizzare l’intensità dell’uso delle risorse, superando i limiti del trading e del leasing. Infatti, la condivisione licenziataria comporta che medesime risorse frequenziali siano utilizzabili da più ‘titolari’ in zone geografiche diverse o in tempi diversi nella medesima zona. Ne deriva che eventuali strategie escludenti o impasse nelle contrattazioni secondarie vengano risolte a monte, dal processo di assegnazione. La condivisione non licenziataria, nei casi in cui dovesse risultare efficiente, semplicemente elimina ogni barriera all’ingresso, ma favorisce i first comer.
Le future allocazioni dello spettro dovranno dunque seguire queste linee guida, impegnando le istituzioni preposte al monitoraggio dell’intensità d’uso delle risorse ad adoperarsi per armonizzare lo spettro e creare le condizioni concrete per forme di sharing efficiente.
Questa sfida è particolarmente rilevante per lo sviluppo dell’ecosistema 5G. Recentemente, il deputato Sergio Boccadutri ha opportunamente affermato che “l’elettrificazione insieme alla banda ultralarga consentono la diffusione dello standard 5G, si tratta di una rivoluzione totale delle relazioni sociali ed economiche, i cui sviluppi non sono neanche immaginabili”. E’ proprio cosi.
Com’è noto il 5G non è semplicemente l’evoluzione di ‘uno standard’, come i precedenti, ma, se si vuole, l’affermazione di un meta-standard di un nuovo modo di concepire sistemicamente le relazioni di connessione mobile tra persone e tra cose, sfruttando tutto lo spettro disponibile, a vari livelli di banda, con modalità interoperabili, elevata capacità e bassissima latenza. Non sostituirà i precedenti standard, dunque, ma realizzerà le condizioni sistemiche per la migliore complementarietà possibile.
Le ricadute saranno enormi perché la scommessa della latenza infinitesimale renderà possibile anche connessioni a lunga distanza, con impatti estremamente positivi nei settori dei trasporti, della domotica, della tutela ambientale e della sicurezza, della sanità.
Occorre quindi una regolazione delle risorse spettrali lungimirante che metta a disposizione, in forma armonizzata e potenzialmente condivisibile, il maggior numero di frequenze possibile nello spazio tra 1 e 6 GHz, ma anche facilitando forme di sperimentazione per altri livelli di banda.
Certo, la regolazione da sola non basta. Le politiche pubbliche di sostegno alla digitalizzazione del paese devono allora tenere in considerazione anche questo lato dell’ecosistema digitale. Occorre favorire la ricerca, anche per evitare che in futuro forme di standardizzazioni proprietarie limitino l’ampiezza dei benefici appropriabili da imprese, cittadini e consumatori. In Italia sono già attive molte forme di partenariato pubblico-privato che vedono assieme grandi imprese e università. E’ una sfida che riguarda il prossimo quinquennio e, nel nostro paese, ci sono tutte le condizioni per non farsi trovare impreparati.