Open data: il Comune ha un hacker per amico
Una bella storia quella che ha per protagonisti alcuni piccoli/medi comuni della Romagna, voglia di cambiamento, spinta a migliorare e migliorarsi, attivismo civico ed open data. Una storia che mostra chiaramente come sia possibile introdurre innovazione reale in una amministrazione senza bisogno di grandi investimenti, ma solo con una buona dose di responsabilità, competenza e capacità di coinvolgimento… ah sì e con la “rete” ovviamente.
12 Dicembre 2013
Tommaso Del Lungo
Una bella storia quella che ha per protagonisti alcuni piccoli/medi comuni della Romagna, voglia di cambiamento, spinta a migliorare e migliorarsi, attivismo civico ed open data. Una storia che mostra chiaramente come sia possibile introdurre innovazione reale in una amministrazione senza bisogno di grandi investimenti, ma solo con una buona dose di responsabilità, competenza e capacità di coinvolgimento… ah sì e con la “rete” ovviamente.
Mostrami i dati che te li apro io!
Tutto inizia pochi mesi fa quando Franco Morelli, un cittadino qualunque che se la sa cavare con la programmazione, con i numeri e ha desiderio di impegnarsi per fare qualcosa per la collettività, scrive un "programmino" che elabora i dati dell’albo pretorio del Comune in cui vive (Lugo di Romagna) e lo pubblica su una apposita pagina Facebook: “L’idea che mi ronzava in testa era che, sparita la piazza fisica in cui era affisso l’albo pretorio e che per un piccolo paese rappresenta un luogo importante di informazione, la medesima funzione avrebbe potuto essere svolta dalla più nota e frequentata piazza virtuale”. Fiero della sua creatura Morelli la condivide con il gruppo Spaghetti Open Data e viene sommerso da nuove suggestioni e spunti per migliorare il suo prodotto o spingersi ancora oltre.
A giugno 2013, quindi, ecco che arriva la pubblicazione e la visualizzazione grafica dei bilanci dei Comuni di Lugo e di Bagnocavallo e le cose cominciano a muoversi. Morelli viene contattato da una serie di amministratori di comuni vicini, Faenza, Anzola, Ravenna, che si mostrano interessati e chiedono consigli per replicare l’esperienza. L’aspetto davvero innovativo di tutto questo – almeno per come siamo abituati a percepire la pubblica amministrazione – è che poi queste esperienze vengono realizzate sul serio.
“Iniziando a fare cose – ci dice Morelli – si fanno emergere elementi di interesse per tutti (ad esempio la spesa per la nettezza urbana del comune di Bagnocavallo è uno degli elementi del mio lavoro che hanno fatto nascere un bel po’ di discussione) si crea attenzione, curiosità, si coinvolgono persone che mai avrebbero immaginato di collaborare con l’amministrazione e che cominciano a sentirsi coinvolti esclusivamente per passione. Si riesce a progredire e a fare altre cose. Poi la voce si sparge e altri seguono il tuo esempio”.
Che succede dentro l’amministrazione?
Patrizia Saggini del Comune di Anzola nell’Emilia ha descritto in maniera esemplare questa esperienza in un bell’articolo che è anche un piccolo compendio di management interno e che riassume in sei punti i passi da fare per seguire le orme della sua amministrazione
1. Avere innanzitutto un progetto e un referente definito (non dimentichiamoci che ogni ente può avere le migliori intenzioni, ma se non c’e qualcuno che conduce il gioco, difficilmente l’obiettivo verrà raggiunto);
2. Individuare un referente per ciascun settore, perché i cambiamenti non si fanno da soli, ma insieme alla struttura (ci vuole più tempo, ma fa crescere l’organizzazione);
3. Un po’ di formazione non guasta, perché comunque una minima base teorica é necessaria;
4. Fare un censimento delle basi dati da cui estrarre ciò che ci serve, sapendo come possiamo utilizzarle ai nostri fini;
5. Cercare la collaborazione di qualcuno (Comune capoluogo? Provincia? Regione?) per la pubblicazione dei dati (difficilmente un piccolo Comune può investire risorse in costose piattaforme o siti tematici);
6. E per ultimo, ma non per ultimo, occorre darsi uno sguardo intorno, cercando i software free che danno modo di rappresentare i dati: è vero che stiamo parlando della pubblicazione dei dati in formato "grezzo", ma è anche vero che i dati sono patrimonio dei cittadini, che hanno anche il diritto di leggerli e capirli con facilità. Meno male che ad un certo punto di questa avventura anche la rete mi ha dato una mano, perché sono entrata in contatto con un "civic hacker" (sembra una brutta parola, ma tranquilli, non fa male a nessuno!), che mi ha fatto conoscere un modo veloce e abbastanza facile per rappresentare i dati di bilancio.
L’hacker era appunto Franco che oggi chiosa: “Per innescare cambiamenti, piccoli o grandi, occorre individuare queste persone motivate all’innovazione. Non so se le persone che mi hanno contattato hanno ricevuto un mandato esplicito (anche se posso immaginare una risposta), ma quel che è certo è che hanno comunque capito il valore di ciò di cui stiamo parlando: si sono informate, hanno consultato liste, hanno fatto telefonate, scritto email e qualche piccolo risultato – senza investimenti se non in tempo e motivazione – lo hanno ottenuto”.
Perché tutto ciò?
Morelli ci saluta con un pensiero sul perché di tanto impegno. “Il punto di partenza dell’open data – specie in piccola realtà come quelle di cui ci siamo occupati – non è tanto l’accesso al dato, perché quello è sancito dalla norma. Il vero nodo è rendere fruibili e comunicare i dati. Anche in un piccolo comune, quindi, dove è più semplice accedere ai dati, lo sforzo della PA per rendere i dati comprensibili, navigabili e fruibili deve essere presente e concreto. La PA deve essere soggetto attivo della trasparenza, non aspettare che qualcuno venga a chiedere i dati per poi consegnargli opuscoli o pubblicazioni. In un Comune piccolo l’aspetto che può interessare maggiormente i cittadini è l’informazione e la trasparenza perché i dati riesci a verificarli più facilmente. Pubblicare on line i dati e renderli navigabili attraverso un buon software di visualizzazione aiuta il dibattito tra i cittadini e – grazie alle piccole dimensioni – permette anche un confronto diretto con i decisori, col sindaco o chi per lui”.
Non l’esigenza di rispondere ad un bisogno manifesto, quindi, ma l’obbligo di lavorare per riguadagnarsi la fiducia dei cittadini e far nascere un nuovo bisogno e coltivarlo. “Solo così si potranno riavvicinare i cittadini alla vita civica del proprio territorio”.
Se volessimo riusare il paradigma lanciato da Carlo Mochi Sismondi la settimana scorsa potremmo dire che c’era una sfida: “Realizzare un progetto di open data in un comune piccolo, senza grandi risorse dedicate”. Bene questa sfida è stata vinta grazie soprattutto ad una buona dose di responsabilità e… grazie alla rete. “Non sono mica Gandhi – ironizza Morelli quando gli chiediamo se è facile per un’amministrazione trovare gente come lui – basta fare una ricerca su google per trovare gruppi di persone competenti. Bisogna avere la capacità di parlare alla cittadinanza e di saper accogliere l’aiuto che viene dalla cittadinanza stessa”.