Open Data, la necessità di una nuova fase
In attesa che l’Italia riformuli una strategia organica sugli open data, è utile riflettere su due degli aspetti forse più importanti dell’utilizzo dei dati aperti: la diffusione presso i cittadini e la qualità. Spunti interessanti vengono dagli sviluppi in Sanità e dalla consultazione sul profilo italiano dei metadati dei dati pubblici
23 Aprile 2016
Nello iacono, Stati Generali dell'Innovazione
In attesa che l’Italia riformuli una strategia organica sugli open data, anche orientandola allo sviluppo del modello strategico dell’ICT per la Pubblica Amministrazione, e che quindi veda nuovamente la luce l’agenda nazionale per la valorizzazione del patrimonio informativo nazionale, aggiornata al 2016, è utile riflettere su due degli aspetti forse più importanti dell’utilizzo dei dati aperti: la diffusione presso i cittadini e la qualità.
La diffusione
Nel 2015, da una rilevazione dell’Istituto Piepoli, risultava che solo il 12% degli italiani affermava di conoscere il termine open data, ma solo il 9% ne riusciva a dare una formulazione corretta. La situazione non è molto cambiata da allora, e gli open data, nonostante gli sforzi di diffusione anche in occasione dell’International Open Data Day, rimangono in gran parte un concetto noto ad una parte ridotta della popolazione, soprattutto studenti e professionisti ICT. Ancora oggi, nei meritori corsi promossi da Inps sul “Valore PA”, si incontrano spesso dipendenti pubblici che non sanno cosa siano gli open data e, quasi sempre, che non hanno mai visitato i siti open data istituzionali.
Fino a che non saranno i cittadini (e i lavoratori della PA in particolare) i primi a richiedere dati aperti, l’evoluzione continuerà ad essere a macchia di leopardo, con buone eccellenze, ma anche molte attuazioni “di immagine”, con pubblicazione di dataset poco utili e poco utilizzati.
Una spinta chiave è legata all’associazione dei dati che si aprono a visualizzazioni chiare, semplici, che permettono, anche ai non addetti ai lavori, di comprenderne il significato e il valore, visualizzazioni pensate sulle esigenze del fruitore.
Esempi virtuosi vengono dalla Sanità, in quelle regioni (come Lazio, Friuli Venezia Giulia) che hanno scelto la visualizzazione dei dati relativi alle code ai Pronto Soccorso. Una visualizzazione chiara per dati la cui apertura risponde ad esigenze effettive. E che obbliga, proprio per la sua chiarezza e la sua semplice fruibilità, a mantenere una qualità elevata, innanzitutto per la frequenza di aggiornamento.
La qualità
La qualità dei dati è, di conseguenza, uno degli aspetti fondamentali. Nei report della Commissione Europea, reperibili sul sito europeandataportal.eu, emerge con chiarezza come la bassa qualità dei dati sia una delle maggiori barriere al riuso dei dati e allo sviluppo, in generale, degli open data.
Non a caso, nel report sulla consultazione appena conclusa da Agid rispetto al profilo italiano dei metadati per i dati pubblici si legge che [..] è stato ritenuto importante rendere obbligatorie alcune proprietà la cui importanza è determinata dalla necessità/opportunità di valutare alcuni aspetti di qualità dei dataset. Per esempio, la frequenza di aggiornamento è obbligatoria nel profilo italiano perché elemento essenziale, insieme alla data di aggiornamento, per comprendere se un dataset è “tempestivo” (dimensione di qualità dello standard ISO/IEC 25012).”
Ecco perché è importante avviare rapidamente e con decisione un percorso che consenta di associare strettamente le politiche e i piani delle amministrazioni in tema di open data con un chiaro orientamento al fruitore (cittadino, impresa), sapendo che il riuso dipende dal soddisfacimento delle sue esigenze. E questo non può prescindere da alcune regole di base, che devono garantire la fruibilità minima di visualizzazione e la qualità dei dati, partendo dalla trasparenza sulle caratteristiche di qualità fondamentali.
Abbandonando, così, definitivamente, la fase in cui la bontà di una politica sugli open data si misurava sul numero dei dataset pubblicati.