Open data vs “abbracciatori di database”. Dal Regno Unito all’Italia
L’ “open data” si affaccia sempre più frequentemente nei discorsi e nelle buone intenzioni di quanti si ritrovano nella prospettiva obamiana di trasparenza amministrativa. Ma di cosa stiamo parlando quando diciamo “open data”? Quali sono le dimensioni coinvolte? Quali gli approcci di lavoro possibili? Prendiamo per esempio il sito briannico gov.data.uk: quanta distanza dall’Italia? Scopriamo che il formato dei dati non è la sola questione dell’open data.
16 Febbraio 2010
Chiara Buongiovanni
L’ “open data” si affaccia sempre più frequentemente nei discorsi e nelle buone intenzioni di quanti si ritrovano nella prospettiva obamiana di trasparenza amministrativa. Ma di cosa stiamo parlando quando diciamo “open data”? Quali sono le dimensioni coinvolte? Quali gli approcci di lavoro possibili? Prendiamo per esempio il sito briannico gov.data.uk: quanta distanza dall’Italia? Scopriamo che il formato dei dati non è la sola questione dell’open data.
Aprire dati e relazioni tra dati
Parafrasando Tim Berners Lee, nella sua conversazione al TED del 2009, potremmo dire che i dati diventano aperti quando smettono di essere “scuri, inscatolati e noiosi” ovvero quando smettono di essere inutilizzabili. “I dati – spiega Berners Lee – di per sé non sono utilizzabili, ma in realtà veicolano quello che succede nella nostra vita e questo proprio perché qualcuno li prende e ne estrae qualcosa”
Nella Direttiva sull’Open Government (dicembre 2009) che porta la firma di Barack Obama, si legge “Fin dove possibile e sottostando alle sole restrizioni valide, le agenzie devono pubblicare le informazioni on line utilizzando un formato aperto (open) che possa cioè essere recuperato, soggetto ad azioni di download, indicizzato e ricercato attraverso le applicazioni di ricerca web più comunemente utilizzate. Per formato open si intende un formato indipendente rispetto alla piattaforma, leggibile dall’elaboratore e reso disponibile al pubblico senza che sia impedito il riuso dell’informazione veicolata”.
Berners Lee, citando proprio il caso americano (data.gov), caldeggia la messa on line delle informazioni sottoforma di linked data, allo scopo non solo di rendere disponibili i dati in entrata e in uscita, ma di renderne disponibili le relazioni, secondo i principi del web semantico.
In un articolo recente “Putting government data on line”, lo stesso Berners Lee indicava la tecnologia dei linked data, in particolare del modello RDF – Resource Description Framework come l’”interconnection bus” da utilizzare qualunque sia il formato con cui i dati vengono richiesti o forniti.
Il modello RDF – specifica l’autore – permette di:
- linkare oggetti e concetti, facendo uso di URIs (Uniform Resource Identifier)
- collegare sistemi disegnati originariamente in maniera indipendente l’uno dall’altro
- aggiungere interoperabilità quando questa è vantaggiosa
- esprimere ogni dato in un set di vocabolari diversi
Dunque, linked data, "perché – spiega con chiarezza Berners Lee – la trasparenza nell’attività di governo è importante, ma in questo caso non è il solo scopo. Se infatti pensiamo che le informazioni di cui parliamo sono le informazioni di tutte le agenzie e di tutti i dipartimenti del governo, ci rendiamo conto di quanti di quei dati contengono informazioni su come si vive in America. Questo è praticamente utile. Contiene un valore”. “Ci sono dati in ogni aspetto delle nostre vite e non solo è rilevante la fonte dei dati ma la questione principale è proprio metterli in relazione tra loro. Quando mettiamo in relazione tra loro i dati, ne liberiamo un potenziale che non ritroviamo nel web o nei documenti. Ne ricaviamo un potenziale enorme”.
Italia PA aperta?
Berner Lee parla della sindrome da “abbraccio di database”, indicando la difficoltà da parte di alcuni detentori di dati nel “lasciarli andare”, in formato aperto, al riuso creativo da parte di altri (database huggers).
Senza fare diagnosi affrettate, molto probabilmente questa è una delle difficoltà che l’amministrazione italiana, come (o forse più di) altre, riscontra. Ma non è questo l’unico aspetto su cui lavorare. Bisogna andare oltre. Sostanzialmente gli open data e le questioni collegate ci portano a riflettere, e perché no, ci aiutano ad avanzare su due livelli:
- cosa intendiamo per una pubblica amministrazione trasparente e partecipata
- come intendiamo aprirla e lavorarci insieme
Sappiamo che la legge 150 ha avviato un percorso verso la trasparenza amministrativa, omettendo l’interpretazione che molti speravano di leggervi, così come aveva commentato Osimo. Va però riconsociuto che la legge 150 ha messo senza ombra di dubbio la trasparenza al centro dell’azione amministrativa, definendola tra i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (legislazione esclusiva dello Stato, ex art. 117 Cost.) .
Si aprono quindi importanti spazi di elaborazione su cosa “una amministrazione trasparente” significhi, come già proposto nell’editoriale di commento alla legge 150. “Per essere davvero aperta un’amministrazione non deve essere solo una “casa di vetro” ma deve far sì che in questa casa si possa entrare, prendere quel che ci serve senza far danni e uscirne per far dei dati quel che ci sembra meglio, nel rispetto delle leggi e della verità”.
Su questa linea si comprende come gli open data sono senza dubbio uno strumento di trasparenza e di partecipazione, ma possono divenire un importante strumento di sussidiarietà, se è vero come sostiene Berners Lee, che in fondo si tratta di “rendere migliore la qualità delle nostre vite”. Si tratta di comprenderne la portata, aprire le riflessione tra quanti da sempre e con piena cognizione di causa si impegnano per un pubblica amministrazione trasparente e partecipata e…si tratta di iniziare a mettere on line dati aperti!
Cosa ne verrà? Probabilmente non sarà il signor Joe Smith ad utilizzare i dati aperti e probabilmente neanche io (riprendendo il punto di Andrea di Maio in un suo post “Why Should I and Joe Smith Care About Open Government”) ma sarà fondamentale il ruolo delle community, tanto di sviluppatori quanto di utilizzatori (con un ruolo importante per le stesse amministrazioni).
Quest’ultima indicazione di metodo è fondamentale per un approccio partecipato ma non utopico all’amministrazione aperta.
Ed è quello che suggerisce, tra le altre, l’esperienza britannica.
JUST DO IT
Dopo il gov.data statunitense, gli open data sono sbarcati in Europa.
L’open data britannico, in particolare, suggerisce un approccio al fare, molto semplice e concreto, che potrebbe esserci d’aiuto nello sfuggire all’attrazione fatale che ci lega al binomio massime dichiarazioni & azioni…decisamente contenute.
Così si presenta il data.gov.uk
“Questo sito web si propone di lavorare sull’integrità del patrimonio dei dati amministrativi al fine di avere dati:
- facili da usare
- facili da “licenziare”
- facile da riusare
Quale è l’approccio di gov.data.uk?
- lavorare con il web
- mantenere le cose semplici: l’ obiettivo è far si che il web funzioni meglio, apportando il minor cambiamento possibile
- lavorare con discernimento: non si cerca di cambiare il mondo. Si sa che alcune cose richiedono tempo, altre possono essere fatte in tempi relativamente brevi. Ogni cosa ha il suo tempo e segue il suo passo
- usare open standards, open source e open data: questi sono gli elementi centrali di un sistema modulare e sostenibile
- costruire comunità e lavorare con e attraverso di esse (sia all’interno che all’esterno dell’amministrazione)
E’ evidente che alla base degli sviluppi del progetto britannico c’è la partecipazione, tanto che si chiede di partecipare attraverso idee, applicazioni, elementi di visualizzazione e architetture.
Gov.data.uk si rifà espressamente all’expertise e alla visione del prof. Nigel Shadboldt e dello stesso Tim Berners Lee, che raccomanda proprio l’approccio del just do it, argomentando come segue: “Le probabilità che i dati gestiti dal vostro dipartimento o agenzia si trovino in database relazionali (relational db), spesso in fogli di lavoro (spreadsheet) sono molto alte. Ci sono 2 filosofie per mettere i dati on line: una top-down consiste nel fare un piano nazionale, mettendo insieme le posizioni di tutte le parti interessate e quindi costituire un set consistente di termini (ontologia) in cui far rientrare tutti gli elementi. Questo richiede così tanto tempo che spesso non si arriva mai a una conclusione e comunque, alla fine, difficilmente si raccoglie consenso su larga scala. L’altro metodo è quello che l’esperienza suggerisce: partire dal basso. Un mandato dall’alto è assolutamente importante, ma l’azione dal basso è essenziale.
Caricare i dati ora; raggrupparli in un secondo momento".