Open Gov: dalle parole ai fatti?
Open gov e open data come driver di sviluppo e presupposto fondamentale per una vera democrazia: una visione condivisa (almeno da chi “mastica” questi temi) e, a rigor di logica, condivisibile da tutti…ma la pratica? Mentre molti Paesi si stanno muovendo in questa direzione e hanno messo in piedi diverse importanti applicazioni, cosa sta facendo l’Italia? Ben poco per ora, stando a quanto emerso dall’incontro “Processo all’OpenGov: dalle parole ai fatti?”, che si è tenuto oggi a Roma nell’ambito della Social Media Week. All’incontro, organizzato dall’Associazione Italiana per l’Open Government, hanno partecipato esperti del tema e rappresentanti del mondo istituzionale ed economico. Vediamo quali spunti sono usciti dal dibattito.
10 Febbraio 2011
Michela Stentella
Open gov e open data come driver di sviluppo e presupposto fondamentale per una vera democrazia: una visione condivisa (almeno da chi “mastica” questi temi) e, a rigor di logica, condivisibile da tutti…ma la pratica? Mentre molti Paesi si stanno muovendo in questa direzione e hanno messo in piedi diverse importanti applicazioni, cosa sta facendo l’Italia? Ben poco per ora, stando a quanto emerso dall’incontro “Processo all’OpenGov: dalle parole ai fatti?”, che si è tenuto oggi a Roma nell’ambito della Social Media Week. All’incontro, organizzato dall’Associazione Italiana per l’Open Government, hanno partecipato esperti del tema e rappresentanti del mondo istituzionale ed economico. Vediamo quali spunti sono usciti dal dibattito.
Prima di tutto, che significa open gov? E cosa vuol dire liberare i dati?
Domande che potrebbero apparire un po’ superflue su queste pagine, visto che di questi temi abbiamo già parlato molte volte.
Ma se è vero – come ha sottolineato nel suo intervento Ernesto Belisario, presidente Associazione Italiana per l’Open Government – che nel nostro Paese tutti si dicono favorevoli all’open gov ma poi non lo mettono in pratica, allora per passare dalle parole ai fatti bisogna partire dalle basi.
Prendendo come esempio modelli già sperimentati all’estero, Belisario ricorda i tre pilastri dell’open gov: trasparenza, partecipazione e collaborazione.
La trasparenza, se è reale, contribuisce ad evidenziare e, quindi, a correggere tutti gli errori (corruzione, inefficienza, etc). Ed è proprio il controllo sui dati la premessa per una trasparenza reale: le pubbliche amministrazioni devono mettere a disposizione della collettività i dati in loro possesso, e devono farlo con un formato aperto che li renda riutilizzabili per sviluppare un numero potenzialmente infinito di applicazioni utili a tutti.
Il secondo pilastro, la partecipazione, è un processo che ha bisogno di tempo e che, per essere davvero efficace, deve non solo interpellare i cittadini, ma anche mettere in pratica le loro indicazioni.
Infine la collaborazione tra enti, cittadini, imprese, no profit è stata un punto di forza negli USA e nel Regno Unito, come ha ricordato Stefano Costa, coordinatore di Open Knowledge Foundation Italia (una fondazione no profit nata nel 2004 a Cambridge). Nel Regno Unito, ad esempio, una gran parte della società civile ha investito sull’informazione basata sui dati, come il Guardian che collabora al progetto “Where does my money go”.
In sostanza, da questi tre pilastri emerge una logica orizzontale, una nuova forma organizzativa in cui società civile e PA sono partner nella creazione di valore pubblico. È il concetto del “governare con la rete” che sarà al centro di FORUM PA 2011.
Open gov e open data per superare la crisi?
Liberare i dati non è un processo fine a se stesso, ma contribuisce a creare una nuova economia. Non a caso, come ha ricordato Belisario, l’open data si è diffuso in molti paesi (USA, Regno Unito, Islanda, Australia, Nuova Zelanda, Grecia) proprio in un momento di grave crisi economica. In Italia, invece, abbiamo solo alcuni esempi, come la Regione Piemonte con dati.piemonte.it. Anche il Rapporto 2010 delle Nazioni Unite sullo stato dell’e-government nel mondo illustra i benefici economici che si possono ricavare dalla liberazione dei dati in tempo di crisi. Una volta che si liberano i dati, infatti, non ci sono limiti alle applicazioni che ne possono nascere. Le possibilità che, grazie agli open data, potrebbero aprirsi per le imprese, soprattutto per i giovani e le start up, sono state evidenziate anche da Monica Lucarelli, Presidente Giovani Industriali di Roma.
Open data: problema di norme o di prassi?
Problema di norme secondo Guido Scorza, Presidente dell’Istituto per le Politiche dell’Innovazione, il quale sottolinea la necessità di una legislazione che obblighi le amministrazioni a rendere disponibili tutti i dati in formato riutilizzabile. La normativa attualmente in vigore, al contrario, lascia spazio alla buona volontà delle amministrazioni. E a quanto pare questo non è sufficiente. Anche il problema della privacy è, secondo Scorza, un pretesto spesso utilizzato per mascherare i limiti della PA nel fornire i dati.
Sulle prassi, più che sulla normativa, pone invece l’accento Carlo Mochi Sismondi, Presidente di FORUM PA. Cosa interessa davvero ai cittadini? Da alcuni sondaggi, condotti da FORUM PA in occasione dei Forum dell’Innovazione territoriali, emerge che per oltre il 70% dei cittadini interpellati trasparenza significa sapere come vengono spesi i soldi pubblici. Trasparenza vuol dire, quindi, “rendere conto”. Come questo si possa fare è spiegato nelle slide di Mochi Sismondi.
Un altro fattore che limita la trasparenza è secondo Davide Giacalone, Presidente Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’Innovazione, il fatto che i dati della PA non sono intelligibili. La loro pubblicazione potrebbe, quindi, essere utile non tanto per i dati in sé quanto per rendere palese questo grosso limite interno alla PA.
In conclusione…come passare dalle parole ai fatti?
Prima di tutto bisogna vincere le resistenze, che sono soprattutto di tipo culturale.
Quindi:
- bisogna far capire che i dati, pagati con soldi pubblici, sono di proprietà dei cittadini e non delle amministrazioni;
- deve passare l’idea che gli open data sono un’infrastruttura e, quindi, non bisogna chiedersi chi li utilizzerà e per fare cosa, come non ci si chiede chi utilizzerà un’autostrada in costruzione;
- bisogna aiutare PA, imprese e cittadini a capire quali e quante opportunità si aprirebbero grazie agli open data.
L’open gov e l’open data sono un dovere civico, conclude il Direttore dell’Associazione Italiana per l’Open Government Stefano Epifani, che lancia una provocazione: istituzioni e imprese sono disposte a confrontarsi davvero su questi temi e a darsi anche degli obiettivi concreti e delle scadenze entro cui portali a casa? Se si vuole passare dalle parole ai fatti…