PA Digitale 2020: tra campioni digitali ed esigenze concrete di cambiamento
La Presidenza del Consiglio, insieme al Ministero dello Sviluppo Economico, all’Agenzia per l’Italia Digitale e all’Agenzia per la Coesione ha aperto alla consultazione pubblica, fino al 20 dicembre 2014, i piani nazionali "Banda Ultra Larga" e "Crescita Digitale", predisposti per il perseguimento degli obiettivi dell’Agenda Digitale, come previsto dagli Orientamenti Comunitari. Ed è sul secondo documento in particolare che il contributo dello Studio Legale Lisi, che vi proponiamo questa settimana, si sofferma. Illustrandone i punti salienti, avvia una riflessione critica su come l’innovazione digitale, intesa quale investimento pubblico, possa realizzare la riforma strutturale del paese che stiamo aspettando.
26 Novembre 2014
Alessandra Cortese e Nina Preite*
La Presidenza del Consiglio, insieme al Ministero dello Sviluppo Economico, all’Agenzia per l’Italia Digitale e all’Agenzia per la Coesione ha aperto alla consultazione pubblica, fino al 20 dicembre 2014, i piani nazionali "Banda Ultra Larga" e "Crescita Digitale", predisposti per il perseguimento degli obiettivi dell’Agenda Digitale, come previsto dagli Orientamenti Comunitari. Ed è sul secondo documento in particolare che il contributo dello Studio Legale Lisi, che vi proponiamo questa settimana, si sofferma. Illustrandone i punti salienti, avvia una riflessione critica su come l’innovazione digitale, intesa quale investimento pubblico, possa realizzare la riforma strutturale del paese che stiamo aspettando.
AGID ha recentemente presentato la “Strategia per la crescita digitale 2014-2020”, secondo capitolo di un disegno di ampio respiro per la realizzazione di un impianto digitale all’Italiana[1]. È dunque una “ricetta nuova” quella che si legge nella innovativa strategia che “mette al centro le esigenze di modernizzazione e sviluppo digitale di cittadini e imprese italiane, anche utilizzando gli interventi nel settore pubblico come leva”. Il documento traccia un percorso ben preciso attraverso il quale sarà possibile realizzare quello che è l’obiettivo finale per un’Italia Digitale capace di:
a. determinare il progressivo switch off dell’opzione analogica per la fruizione dei servizi pubblici, progettando la digitalizzazione della pubblica amministrazione in un’ottica centrata sull’utente e coordinando e mettendo a sistema le diverse azioni avviate da tutte le amministrazioni pubbliche;
b. garantire crescita economica e sociale, attraverso lo sviluppo di competenze nelle imprese e la diffusione di cultura digitale fra i cittadini per la creazione di nuova domanda capace di generare offerta innovativa e qualificata;
c. rendere più efficiente il sistema paese, coordinando in materia unitaria la programmazione e gli investimenti in innovazione digitale e ICT.
Andando ad analizzare il documento nello specifico, quanto si evidenzia è la scarsa diffusione di attività legate alla comunicazione e all’informazione dei servizi pubblici digitali: continua infatti a permanere nei cittadini un certo grado di diffidenza per quanto riguarda le operazioni online e insoddisfazione per i servizi digitali delle PA, tanto che questi vengono utilizzati molto meno dei social network.
Anche nell’ottica delle imprese, l’utilizzo di Internet sembrerebbe legato più ai social o quantomeno orientato maggiormente allo sviluppo della propria immagine, di prodotti e servizi. È chiaro che il livello di dis-informatizzazione e cultura digitale non riguarda tutti i cittadini in modo uniforme, ma si registra una certa eterogeneità. Partendo da questo status quo la strategia nazionale sviscera i punti di forza e debolezza dei vari settori interessati dal procedimento di crescita digitale e fissa i risultati attesi nei prossimi anni.
Sanità
Il processo di digitalizzazione della sanità sembrerebbe completo dal punto di vista normativo, tuttavia mancano importanti provvedimenti per potenziare e rendere pienamente operativi gli strumenti della digitalizzazione sanitaria (ricette digitali, prenotazioni online, dematerializzazione dei referti e delle cartelle cliniche etc.), quali – ad esempio – il decreto attuativo per il Fascicolo sanitario elettronico (FSE) previsto dall’art. 12 del dl. 179/201 e il decreto attuativo previsto dalla norma istitutiva dell’Anagrafe nazionale degli assistiti[2].
L’obiettivo, in linea con l’Intesa sul nuovo Patto per la salute 2014 – 2016, sarà quello di favorire la comunicazione e la condivisione tra le varie strutture sanitarie, rendendo più snelle le procedure di prenotazione per il cittadino e inserendo nuovi servizi.
Scuola
A partire dal 2008 il MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) ha avviato varie iniziative per rinnovare il sistema scolastico nazionale e diffondere l’innovazione digitale, fornendo la strumentazione per l’allestimento di classi tecnologicamente avanzate. Con il piano “Scuola Digitale”, il piano eGov 2012 e infine l’Agenda Digitale Italiana (2012) ci si è orientati verso una scuola – dematerializzata – che stimolasse l’apprendimento anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie, di testi scolastici digitali e lavagne multimediali. Allo stesso tempo il piano per realizzare una scuola digitale si completa con la previsione, per i docenti, del registro online (ormai obbligatorio in tutti gli istituti), e delle comunicazioni scuola-famiglia da realizzarsi prevalentemente mediante l’uso del PC.
Aperta alla consultazione pubblica anche la proposta di riforma La Buona Scuola, che si è chiusa il 15 Novembre scorso.
Giustizia
Altra area coinvolta dal processo di digitalizzazione e che necessita di una riforma radicale è quella della Giustizia, riforma della quale si è fatto promotore il Ministero della Giustizia, anche attraverso il Tavolo Permanente per l’attuazione del Processo Civile Telematico. Attualmente la riforma più sentita è quella del Processo Civile Telematico obbligatorio, in vigore dal 30 giugno 2014, che implica il deposito telematico di tutti gli atti e i provvedimenti del procedimento per decreto ingiuntivo e il deposito degli atti endoprocedimentali in tutti i processi iniziati dal 30 giugno 2014 in poi.
La tabella di marcia prevede che dal 31 dicembre 2014 sarà obbligatorio il deposito anche per gli atti endoprocedimentali dei processi pendenti alla data del 30 giugno 2014, mentre per l’anno successivo, il 30 giugno 2015, è previsto il procedimento di digitalizzazione anche per le Corti di Appello. Nell’ambito del settore penale i primi interventi hanno interessato il potenziamento e la diffusione del registro penale informatizzato SICP (sistema informativo della cognizione penale). I prossimi interventi previsti riguarderanno:
- un potenziamento e una piena interoperabilità tra i vari sistemi per consentire una migliore e più rapida circolazione dei dati tra gli attori del processo, in tutte le sue fasi;
- la digitalizzazione degli atti e della gestione documentale, preferendo l’atto nativamente digitale, già dalla notizia di reato;
- l’impiego di tecnologie multimediali nel processo penale: registrazione o videoregistrazione degli atti processuali, utilizzo della video conferenza per l’esame a distanza, conservazione nel fascicolo digitale di tali atti.
Senz’altro l’area Giustizia, per essere pienamente funzionale, necessita di un procedimento di digitalizzazione che miri non già a tramutare in digitale le attività che nascono “analogiche”, bensì a creare un procedimento ex novo che sia di per sé caratteristica essenziale di una Giustizia snella ed essenziale.
Considerati gli obiettivi lodevoli e ambiziosi da perseguire all’interno di una strategia pluriennale che vede coinvolti i processi di digitalizzazione della PA, restano ancora numerosi dubbi e incertezze su come attuare concretamente la programmazione, non solo per i soggetti che la recepiscono in quanto utenti ma anche per gli operatori che devono applicare e rendere operativi i processi di innovazione proposti. Nell’ultimo decennio si sono succedute numerose norme, decreti e linee guida che hanno più volte esortato l’avvio di reali processi di innovazione, creando la necessità di competenze specifiche per garantire il corretto funzionamento di tali processi.
Leggendo il documento in esame emerge una forte connotazione culturale implicita, che punta alla diffusione e divulgazione dei “nuovi” principi a chi usufruisce dei servizi resi dalla PA. Ciò che invece viene trascurato è la strategia rivolta invece all’amministrazione pubblica, che per attuare tali procedure deve ripensarsi in chiave efficientista come già il nostro amato CAD dichiarava nel lontano 2005.
Secondo i dati riportati dell’ISTAT, infatti, il 99,4% dei Comuni possiede un sito web, ma meno del 20% di essi eroga servizi che possono essere svolti completamente online. Solo il 15% dei comuni capoluogo consente il pagamento online della TASI e percentuali più basse riguardano gli altri tributi locali. Questo solo per citare alcuni esempi sullo stato dell’arte del processo di digitalizzazione della PA italiana.
L’Agenda Digitale Italiana è stata istituita il primo marzo 2012 e se consideriamo che il Codice dell’Amministrazione Digitale è del 2005 ci rendiamo conto di quanto le strategie del nostro Paese siano in ritardo.
Cosa manca alla PA italiana e perché è in ritardo?
Uno degli elementi principali, secondo il documento, per attuare un reale processo di innovazione, sono le competenze e abilità ICT, strettamente connesse ai concetti di inclusione digitale e digital divide. Le competenze ICT rappresentano, quindi, il punto nodale per avviare i processi, che andranno a favore di imprese e cittadini, ma anche per gestirli quotidianamente, e saranno i professionisti della pubblica amministrazione i soggetti principali a decidere, applicare e diffondere i servizi in rete.
Le competenze assumono un’importanza cruciale quando si parla di digitalizzazione dei processi, competenze che devono essere possedute dalle aziende, dai cittadini, ma soprattutto dalla PA. Ma la PA come garantisce un adeguato livello di competenze?
Si parla di Italia login, prevedendo un ambizioso progetto di semplificazione amministrativa in cui ogni cittadino sarà dotato di un profilo civico online con il quale riceverà e invierà tutte le comunicazioni con le PA e ne conserverà lo storico, accederà a tutti i servizi via via disponibili, riceverà avvisi di scadenza, effettuerà pagamenti, archivierà i propri documenti, interagirà con l’anagrafe digitale, esprimendo valutazioni sui servizi e partecipando alla vita democratica.
Affinché questo progetto ambizioso – per non dire utopico – si realizzi è necessario che vi siano alla base dei sistemi di gestione dei procedimenti amministrativi, di notification e di identificazione documentale. Questi sistemi hanno l’obiettivo di realizzare un modello organizzativo unico, condiviso tra le pubbliche amministrazioni al fine di:
- mappare i servizi a cittadini e imprese sui procedimenti amministrativi di una stessa PA e tra PA diverse;
- reingegnerizzare, standardizzare e digitalizzare i principali procedimenti amministrativi;
- garantire unitarietà nella gestione dei dati, degli eventi e dei documenti informatici non strutturati;
- favorire l’impiego di elementi documentali ampiamente usati nel settore privato, quali le registrazioni degli eventi di sistema e applicativi (log);
- definire il modello funzionale di riferimento che garantisca multicanalità di accesso;
- creare un ambiente interoperabile, realmente aperto in termini di dati e trasparenza nell’azione amministrativa, ecc.
Questi sono solo alcuni dei vantaggi che i sistemi integrati unici dovrebbero portare e solo in queste poche righe emergono almeno sei competenze diverse e necessarie che riguardano ciascuna la gestione di una parte dell’intero processo di digitalizzazione nella pubblica amministrazione. La gestione documentale digitale presuppone, infatti, conoscenze specifiche per padroneggiare correttamente i flussi documentali e gestire al meglio i documenti informatici – sia dal punto di vista giuridico, in merito al loro valore probatorio, sia dal punto di vista tecnico, riguardo agli strumenti e ai supporti utilizzati.
Se pensiamo infatti ad archivi digitali, conservazione digitale dei documenti, sicurezza dei sistemi informativi, adempimenti sulla trasparenza e apertura dei dati finalizzata alla valorizzazione del patrimonio informativo della PA, per non parlare dell’attenzione alla privacy, diventa necessario parlare di competenze digitali avanzate degli operatori pubblici, che si trovano a gestire diversi aspetti della gestione informatizzata del dato, documento o dell’informazione stessa, per permettere al cittadino, attraverso il sito web istituzionale, di compiere svariate operazioni e usufruire di molteplici servizi.
Facciamo un esempio. Nel documento AgID si fa riferimento a diversi attori che coordineranno gli obiettivi della strategia digitale:
- l’AgID che promuoverà un nuovo e mutato rapporto tra le amministrazioni centrali e quelle locali, basato su una cooperazione orizzontale virtuosa, fondata sulla progettazione dei servizi per definire standard comuni, anche partendo dalle migliori pratiche;
- l’Agenzia per la coesione (AC) che coordinerà e controllerà la spesa, valutando e indirizzando i piani regionali, nonché monitorando l’attuazione della misura e analizzando i dati pubblicati dal MISE.
- il Digital Champion (DC) che contribuirà alla divulgazione dei risultati , nonché alle attività di comunicazione pubblica.
Ma chi è il Digital Champion? Come si colloca all’interno del nostro ordinamento questa figura e che tipo di competenze deve possedere? Il DC è una figura introdotta dall’Unione Europea nel 2012, stesso anno in cui è stata introdotta l’Agenda Digitale; egli è un ambasciatore dell’innovazione con il compito di contribuire a rendere i propri cittadini digitali.
Nel documento in oggetto, nella sezione dedicata alle competenze digitali, si parla della domanda, in continua crescita, di competenze digitali, e questo aspetto viene considerato come la vera sfida per la modernizzazione del paese e la sua capacità di competere. L’AgID promuove e coordina le attività, tramite la Grand Coalition for e-skills, per implementare interventi di formazione generale e specifica, con particolare riferimento alla (ri)qualificazione professionale. Il Digital Champion, presente in ogni comune italiano, avrà il compito di diffondere programmi specifici sulle competenze digitali.
Va bene quindi la supervisione, il controllo e il coordinamento, la diffusione e la comunicazione della cultura digitale, ma non bisogna perdere di vista l’obiettivo primario, che è quello di attuare strategie serie e concrete affinché il Paese possa definirsi davvero digitale.
Che ci siano Digital Champion, esperti di comunicazione o ragazzi “smanettoni” alle prime armi, i quali gratuitamente evangelizzino sul digitale, va anche bene, ma in verità quello che davvero serve alla PA oggi – e di conseguenza a cittadini e imprese – è un reale processo di digitalizzazione portato avanti da professionisti che abbiano specifiche e approfondite competenze e che conoscano la PA per poterla ammodernare dall’interno.
Ai nostri ambasciatori del digitale, quindi, rivolgiamo il nostro in bocca al lupo, affinché dimostrino di essere all’altezza nel portare avanti un progetto così ambizioso, che va rendicontato in Europa, e che necessita di competenze ben più complesse di quelle certificate da una semplice nomina ad honorem. Permetteteci però di esprimere un minimo di perplessità sull’autosufficienza di questa funzione lanciata in pompa magna in questi giorni.
[1] Successivamente al progetto Agenda Digitale presentato dalla Commissione Europea nel maggio 2010, l’Italia soltanto nel 2012 elabora la propria strategia istituendo l’Agenda Digitale Italiana (ADI) e pubblicando in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge del 18 ottobre 2012, n° 179 "Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese" – c.d. provvedimento Crescita 2.0 – in cui sono previste le misure per l’applicazione concreta dell’ADI.
[2] Art. 62 d.lgs 82/2005