Perché per la verifica dei pagamenti non basta il blockchain

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Il sistema funziona con transazioni in una situazione stabile ed incontrovertibile. Non sempre è così, perché ad esempio un contratto può essere dichiarato nullo, risolto o rescisso; tutte situazioni che la catena blockchain non può cogliere, perché la rigidità è il presupposto del suo stesso funzionamento

22 Aprile 2016

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Michele Nastri, consigliere nazionale del Notariato

La tecnologia blockchain è sostanzialmente un registro con transazioni convalidate all’interno di una rete di server distribuita attraverso diversi sistemi di verifica e meccanismi di consenso. Si tratta di un protocollo che finora ha avuto e sta avendo applicazione principalmente nell’ambito finanziario, in particolare delle cosiddette monete virtuali o “criptovalute”, quali ad esempio Bitcoin.

In pratica, il controllo sulle transazioni – sostituendo un algoritmo all’elemento umano – non è più affidato a un intermediario indipendente (e appositamente istruito e preparato), bensì a un sistema tra pari (peer-to-peer) con specifici livelli di controllo, sicurezza e accesso ai dati. Di fatto ci troviamo di fronte a una sorta di social network dei diritti patrimoniali.

Si sta facendo sempre più intenso il dibattito finalizzato a discutere, se non prevedere, come i sistemi basati sulla tecnologia Blockchain potranno in un futuro prossimo sostituire servizi legali online governativi o privati, basati su intermediazioni e controlli tradizionali. La macchina, l’intelligenza artificiale è ritenuta e presentata come affidabile, giacché tecnologica e priva di coscienza, e in quanto tale potrebbe sostituire l’elemento umano, velocizzando le contrattazioni e diminuendone i costi.

Quando non funziona

Il funzionamento della “catena a blocchi” è intuitivo se si parla di entità elementari come il danaro. Il discorso però si complica quando si passa a trattare di beni di natura diversa e più complessa, come ad esempio gli immobili. Fermo restando il tracciamento del pagamento, infatti, resterebbe il problema di chi potrebbe assumere la responsabilità nei confronti del cittadino, chi assicurerebbe i controlli, chi – in definitiva – garantirebbe gli attori del sistema da ogni possibile ambiguità o contenzioso.

In altre parole, il sistema può funzionare finché regola transazioni da cui deriva una situazione definitivamente stabile ed incontrovertibile . Ma in tanti casi non è così, perché ad esempio un contratto può essere dichiarato nullo, annullato, risolto o rescisso; tutte situazioni che la catena blockchain non può cogliere, perché la rigidità è il presupposto del suo stesso funzionamento.

L’intervento del controllore

In quest’ottica, ci sono aree di attività che non possono prescindere dall’intervento umano. Ad esempio, in settori quali l’immobiliare o il societario esistono funzioni – si pensi a quelle relative alle verifiche antiriciclaggio, al pagamento delle imposte, alla redazione di contratti conformi alla legge – che non possono prescindere da un’intermediazione professionale e fortemente specializzata.

Nella gran parte dei paesi dell’UE, tra i quali in prima fila l’Italia, tali compiti sono affidati ai notai. I quali, ad esempio, nel nostro Paese riscuotono circa 6 miliardi di euro l’anno per conto dello Stato e hanno effettuato 3.227 segnalazioni antiriciclaggio nel solo primo semestre del 2015 . Senza contare altre funzioni, quali il controllo dell’identità, un elemento che presenta rischi sempre nuovi e crescenti, come dimostrano le statistiche dei furti di identità digitale.

Una tecnologia di supporto

Vista in questi termini, la tecnologia Blockchain va allora considerata certamente un’opportunità, come tutte le innovazioni, foriera anche di risparmi di costi e tempi, ma non potrà mai sostituire del tutto l’intervento umano. Una tecnologia di questo genere può infatti rendere i flussi di informazioni più veloci e meno alterabili, ma un controllo umano del sistema non può mancare. Quantomeno per gestire, o meglio ancora per prevenire, le possibili patologie.

Se vediamo l’opportunità offerta dallo sviluppo in questi termini, la sorprendente conclusione cui possiamo giungere è che in Italia la Blockchain (come dipinta e spiegata in questi giorni) esiste già. E prende la forma dei registri immobiliari e del registro delle imprese. Registri che non a caso sono completamente informatizzati, utilizzando firma digitale e marche temporali (base tecnologica di Blockchain) e assicurando l’unicità della transazione. Sono registri posti sotto il controllo dei notai e realizzano efficaci sistemi di tracciamento e di affidabilità. È anche – o proprio – grazie a questi sistemi che l’Italia ha guadagnato il 24° posto nella sezione Registering Property della classifica Doing Business (che vede gli Usa al 34° e la Germania al 62°). La tecnologia blockchain può aumentarne l’efficienza, ma la filosofia che è alla base di questi sistemi – controllo all’accesso di tutto ciò che deve entrare nel registro con il filtro dell’autenticità – è ciò che realmente garantisce la tutela dei diritti patrimoniali a favore di cittadini e imprese.

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