Piano Triennale e RTD: un nuovo modello per valorizzare regia e competenze
Nel Piano Triennale 2024-2026 è ancora una volta centrale il ruolo del RTD e del suo Ufficio. Ma c’è dell’altro: la centralità delle comunità, che sono inserite tra gli “strumenti” del Piano. Comunità che si organizzano, si raccontano, si scambiano esperienze, imparano le une dalle altre. All’innegabile e incontenibile iperproliferazione normativa, all’overload informativo che appiattisce tutto, devono fare da contrappeso elementi concreti, da “riusare”, kit e cassette degli attrezzi digitali ma anche – e soprattutto – la forza che nasce dal lavoro condiviso. Saranno questi i nostri punti di riferimento nei prossimi tre anni
20 Febbraio 2024
Morena Ragone
Giurista, studiosa di diritto di Internet e PA Digitale
Negli ultimi giorni, come tante colleghe e colleghi che si occupano di ICT nella pubblica amministrazione, ho approfondito la lettura del nuovo Piano Triennale 2024-2026 di AgID.
In linea di massima, avevo un’idea di cosa vi avrei trovato: il DG di AgID Mario Nobile, nel corso degli ultimi mesi e in più di una occasione pubblica, ha anticipato un Piano rivisto nella struttura e un cambio di modello rispetto ai precedenti.
I modelli, si sa, sono fondamentali nelle organizzazioni complesse: permettono di standardizzare processi e procedure, uniformano le metodologie, delineano indirizzi nel raggiungimento degli obiettivi comuni. Non è cosa da poco.
Dal 2017 ad oggi – con il susseguirsi delle tre edizioni dei Piani e dei relativi aggiornamenti – la struttura del Piano era rimasta sostanzialmente immutata, tanto che la stessa AgID ne ha prodotto uno schema che le amministrazioni possono utilizzare nella stesura dei propri piani triennali ICT.
Organizzazione, processi e cambiamento
Nonostante ciò, l’Agenzia ha rimesso in discussione quel modello – o meglio, la struttura di quel modello – non considerandolo, quindi, un punto di arrivo, ma un’ottima base di partenza per rivedere l’impostazione del documento.
Le sfide organizzative sono state divise in tre macro-aree, e la prima macro-area – in una specie di “inversione logica” rispetto ai Piani precedenti – è diventata quella dei “processi di organizzazione della PA e di gestione del cambiamento”, tramite l’Ufficio del Responsabile della Transizione al Digitale.
Prima i processi, dunque, poi applicazioni e tecnologie: concetto solo apparentemente scontato, ma opportunamente fissato ed esplicitato a beneficio di tutte le PA chiamate a riflettere sempre più spesso su ruoli e funzioni.
Governo dei processi e competenze su quei processi, quindi, guidano la transizione digitale – potrebbe mai non essere così? – con una visione d’insieme che nel Piano si consolida intorno al Responsabile della Transizione Digitale.
Il ruolo del RTD
È complesso delineare con esattezza il ruolo del RTD, a partire dalla migliorabile scrittura dell’art. 17 del CAD: da un lato, la norma ha implicitamente “fagocitato” il vecchio responsabile dei sistemi informativi, riprendendone, però, le funzioni con l’elencazione pedissequa degli ulteriori compiti del RTD – “al suddetto ufficio sono inoltre attribuiti i compiti (…)”– contenuta nell’ultima parte del comma 1; dall’altro, questa scrittura ha in parte occultato il vero compito del Responsabile, quella “transizione alla modalità operativa digitale e i conseguenti processi di riorganizzazione finalizzati alla realizzazione di un’amministrazione digitale e aperta, di servizi facilmente utilizzabili e di qualità, attraverso una maggiore efficienza ed economicità”, che sconta il fatto di essere “fuori elenco” e come tale posta in secondo piano.
Eppure, non è un caso che l’art. 18-bis – l’unico articolo con sanzioni presente nel CAD – preveda “il rispetto delle disposizioni del presente Codice e di ogni altra norma in materia di innovazione tecnologica e digitalizzazione della pubblica amministrazione, ivi comprese quelle contenute nelle Linee guida e nel Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione” e sia rubricato “violazione degli obblighi di transizione digitale”, senza alcun distinguo o elencazione che rischia di risultare restrittiva e fuorviante.
RTD e UTD
L’acronimo RTD è inserito 40 volte nelle 185 pagine del Piano, più altre 8 volte per esteso; l’Ufficio del RTD [UTD] 11 volte.
I numeri – quelli che non mentono – ci dicono che, ancora una volta, è centrale il ruolo RTD e del suo Ufficio, al di là delle caratteristiche dell’amministrazione e della sua dimensione. Quest’ultima, in particolare, inciderà sulla scelta del modello [singolo, ove la dimensione dell’amministrazione lo consenta; associato, per le PA più piccole e con meno personale specializzato e/o dedicato], ma non sull’essenziale e complessa definizione di un ruolo ancora in divenire.
Nel governo di questo cambiamento, il nuovo Piano ha il pregio di aver esplicitato alcune necessità: il consolidamento e potenziamento degli Uffici per la transizione al digitale [dal rafforzamento delle competenze, all’incremento della dotazione di personale]; la definizione dei flussi organizzativi interni e il raccordo tra le strutture della medesima organizzazione [per esempio, l’aspetto critico del rapporto tra il RTD, “primus inter pares”, e gli altri dirigenti]; la mappatura dei processi dell’ente e il loro ridisegno in chiave digitale [si suggerisce di partire dalla mappatura dei processi per la valutazione del rischio corruttivo, cui integrare altre mappature presenti]; l’integrazione nel PIAO degli obiettivi specifici di digitalizzazione, semplificazione e reingegnerizzazione, a partire dalla mappatura.
RTD, reti, comunità: strumenti di cambiamento
Ma c’è dell’altro, e la mia personale esperienza di questi anni di Ufficio RTD mi conferma che è un aspetto estremamente rilevante: la centralità delle comunità, comunità che si organizzano, si raccontano, si scambiano esperienze, imparano le une dalle altre.
Inserendole tra gli “strumenti” del Piano [strumenti alti, buone prassi e indicazioni nate da esperienze in atto in altre amministrazioni], AgID mostra profonda comprensione delle difficoltà che le PA incontrano, e che sono legate alle dinamiche attuali: all’innegabile e incontenibile iperproliferazione normativa, all’overload informativo che appiattisce tutto, devono fare da contrappeso elementi concreti, da “riusare”, kit e cassette degli attrezzi digitali ma anche – e soprattutto – la forza che nasce dal lavoro condiviso.
Saranno questi i nostri punti di riferimento, nei prossimi tre anni, per affrontare la transizione in atto con la maggiore efficacia possibile, ma sempre a beneficio dell’intera collettività.