Processo penale telematico, i passi dopo la sperimentazione

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La
sperimentazione è stata un buon esempio di collaborazione multiplayer e
di implementazione informatica a mezzo di selezionati key user, che
hanno individuato falle e lacune del sistema informatico, proponendo
modifiche che rendessero il prodotto non solo più efficiente (lato
cancelleria), ma anche più fruibile (lato avvocati). Certo ogni sistema
informatico è sempre perfettibile

25 Febbraio 2016

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Monica A. Senor, avvocato, Commissione Informatica Ordine Avvocati Torino, NEXA-Polito

La digitalizzazione del processo penale procede molto lenta rispetto a quella del processo civile.

La ragione di fondo credo sia da individuare nella profonda differenza strutturale dei due sistemi processuali: può infatti sembrare una banalità, ma il fatto che nel penale una delle due parti sia rappresentata dal Pubblico Ministero, ovverosia dallo stesso Stato, comporta inevitabilmente maggiori difficoltà ad introdurre metodi e procedure processuali telematiche, essendo necessari ingenti interventi (anche economicamente) a livello nazionale, spesso preceduti da operazioni di allineamento dei vari sistemi applicativi in uso locale.

In questo solco si pongono alcune implementazioni tecniche adottate negli ultimi anni che sono sicuramente di indubbia importanza per il funzionamento del processo penale, ma che non coinvolgono direttamente i cd. operatori esterni al “sistema Giustizia” (leggasi, in particolare, l’avvocatura). Tra queste ricordo, in particolare, l’attivazione, completata nel 2015, su tutto il territorio nazionale, di SICIP – Sistema Informativo della Cognizione Penale – , sistema che ha consentito di uniformare tutti i registri informatici delle Procure della Repubblica italiane con definitivo abbandono delle plurime versioni distrettuali dello storico applicativo Re.Ge.

Lato utente, invece, allo stato, l’unico intervento tecnico che ha interessato anche soggetti esterni è costituta da SNT – Sistema Notifiche Telematiche Penali.

Si tratta di un sistema operativo che consente agli uffici giudiziari penali di eseguire a mezzo PEC le notificazioni, a persona diversa dall’imputato, a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale.

Tale procedura è in vigore a livello nazionale dal 15 dicembre 2014 e riguarda tutti i procedimenti dinanzi ai tribunali ed alle corti di appello (art. 16, comma 9, lett. c- bis), D. L. 179/2012, come modificato dall’art. 1, comma 19, punto 1, lett. a-1), L. 228/2012).

Il sistema è stato adottato su tutto il territorio italiano dopo un anno di sperimentazione nel distretto del Tribunale di Torino ed un ulteriore anno di applicazione ufficiale in forza di un decreto ministeriale ad hoc che conferiva valore legale alle notifiche a mezzo PEC nel distretto di Torino, con accertati indubbi risparmi di spesa in relazione alle notificazioni di maxi-processi, come, per esempio, quello Eternit.

La sperimentazione (lo scrivo con cognizione di causa avendovi partecipato attivamente come membro della Commissione informatica dell’Ordine Avvocati di Torino) è stata uno splendido esempio di collaborazione multiplayer e di implementazione informatica a mezzo di selezionati key user: magistrati, avvocati e personale amministrativo ed informatico, hanno lavorato egregiamente insieme per individuare falle e lacune del sistema informatico originariamente predisposto dal Ministero e proporre modifiche che rendessero il prodotto non solo più efficiente (lato cancelleria), ma anche più fruibile (lato avvocati) e coerente con le norme “analogiche” in materia di notificazione previste dal codice di procedura penale.

Un doveroso riconoscimento va fatto anche alla DIGSIA – Direzione Generale Sistemi Informativi Automatizzati – che ha integrato nel sistema originario tutte le proposte di miglioramento avanzate dal gruppo di sperimentazione.

Certo ogni sistema informatico è sempre perfettibile, ma che SNT tecnicamente funzioni a puntino lo dimostra il fatto che, come sottolineato dal Ministro della Giustizia nella sua relazione annuale sullo stato della Giustizia (cfr. pag. 400), dal dicembre 2014 al mese di agosto 2015, sono state effettuate, tramite detto sistema, ben 1.700.000 notificazioni .

Le note dolenti sono piuttosto di tipo normativo.

In primo luogo va sottolineato che la notifica telematica a mezzo PEC non è stata disciplinata come procedura ordinaria per le notificazioni, ma solo come eccezione, benché generalizzata ed autorizzata ex lege rispetto alla regola tradizionale dell’ufficiale giudiziario (art.148, comma 1, c.p.p.): la legislazione attuale, infatti, prevede che la posta elettronica certificata possa essere utilizzata solo per le notificazioni di cui agli artt.148, comma 2 bis, 149, 150, 151, comma 2, c.p.p., ovverosia, in sintesi, in sostituzione di fax, telefono e telegrafo.

In secondo luogo, il disposto dell’art.16, comma 4, D.L. 179/2012 prevede che le notificazioni siano effettuate per via telematica all’indirizzo PEC risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni.

Si tratta di una norma generica che non tiene conto delle peculiarità del processo penale e della necessità di salvaguardare in modo adeguato, anche sotto il profilo formale, le garanzie processuali legate al diritto di difesa.

Per fortuna, ad oggi, lato avvocati, il sistema SNT è implementato solamente dal ReGIndE – Registro Generale Indirizzi Elettronici – registro appositamente istituito dal Ministero della Giustizia e costantemente aggiornato dagli ordini forensi, ma sarebbe opportuno che tale prassi venisse cristallizzata in una disposizione ad hoc al fine di scongiurare il rischio che la proliferazione (caratteristica squisitamente italiana di mancata centralizzazione e coordinamento tra pubbliche amministrazioni) di elenchi pubblici di PEC possa minare alla radice l’efficienza delle notifiche telematiche penali.

Un terzo profilo concerne le notificazioni che contengono dati sensibili, che a norma di legge dovrebbero essere effettuate a mezzo PEC per estratto con contestuale messa a disposizione, su di un sito internet individuato dall’amministrazione (di fatto, il portale dei servizi telematici), dell’atto integrale a cui il destinatario può accedere solo mediante gli strumenti di cui all’articolo 64 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.

Tale disposizione è stata da più parti fortemente criticata in quanto tutti gli atti del processo penale contengono dati giudiziari, i quali sono dal codice privacy equiparati in toto a quelli sensibili, quanto alle regole poste a loro tutela.

Se la norma venisse interpretata con rigore più nessuna notifica telematica penale potrebbe essere eseguita a mezzo PEC!

Il Ministero della Giustizia, al fine di “escludere impieghi totalizzanti della più gravosa procedura posta a presidio della riservatezza che penalizzerebbero la speditezza del sistema ”, con circolare 11 dicembre 2014, ha eluso la questione sostenendo che la categoria dei dati giudiziari non può essere considerata equipollente a quella dei sensibili semplicemente sulla scorta delle loro rispettive diverse definizioni.

Non solo. Posto che anche la categoria dei dati sensibili è altrettanto totalizzante e darebbe origine a plateali distorsioni in ordine alla tutela della riservatezza degli imputati (ad esempio, un decreto di citazione a giudizio per una lesione personale colposa da incidente stradale con 2 giorni di prognosi dovrebbe essere notificata per estratto, mentre non dovrebbe esserlo una richiesta di rinvio a giudizio per una concussione o un traffico di droga), il Ministero sceglie una soluzione “creativa” rimettendo all’Autorità giudiziaria la valutazione sulla selezione degli atti contenenti dati sensibili da notificare per estratto.

Ma se la ratio della norma è quella di evitare che un atto contenente dati sensibili possa essere letto da chiunque abbia accesso alla posta elettronica certificata del destinatario con potenziale lesione del diritto alla riservatezza del soggetto a cui l’atto stesso si riferisce, da un lato pare indubbio come sia estremamente pericoloso demandare la tutela dell’interessato alla discrezionalità del singolo magistrato, dall’altro risulta del tutto illogico considerare la PEC uno strumento tecnico meno tutelante rispetto agli altri mezzi di notificazione (si pensi, ad esempio, al fax).

Senza contare che, anche per quanto concerne le tradizionali notifiche a mezzo ufficiale giudiziario, il codice privacy ha imposto che quando la notificazione non possa essere eseguita a mani proprie del destinatario, l’ufficiale giudiziario debba consegnare copia dell’atto da notificare in busta sigillata, ma tale previsione non si applica nel caso di notificazione al difensore o al domiciliatario.

In conclusione, possiamo dire che il processo penale ha cominciato bene il suo percorso di digitalizzazione, ma se il legislatore mostrasse maggior sensibilità per le peculiarità del rito penale forse, nel prossimo futuro, potremmo evitare che spiacevoli accrocchi normativi frenino tutti i benefici correlati alle migliorie tecnologiche.

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