Processo telematico, lo spettro della carta è più forte delle norme

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Innovare nella giustizia non significa solo digitalizzare l’esistente, ma anche formare gli operatori del settore giustizia all’utilizzo consapevole dell’ ITC e soprattutto semplificare la procedura. E nonostante le riforme avviate lo spettro della carta continua ad aggirarsi nei corridoi dei tribunali. A #forumpa2016 ci interrogheremo su quali sono i veri presupposti per uno switch off al digitale

12 Maggio 2016

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Michele Gorga, avvocato

La distanza tra il paese reale, degli operatori del settore della giustizia, e il paese virtuale degli esperti della comunicazione, in tema di risultati di PCT e di PAT, non riesce mai a pareggiare il conto tra ciò che è propagandato e ciò che la comunità nazionale degli Avvocati, Magistrati e operatori delle cancellerie quotidianamente vivono. Se ciò è vero in tutti i settori dell’economia, a maggior ragione lo è per il settore giustizia e per il processo civile e amministrativo telematico in particolare. Così mentre da un lato si apprende del grido emergenziale di tutti i capi degli uffici giudiziari della Repubblica nel “rituale” dell’apertura dell’anno giudiziario, e nell’esperienza quotidiana degli avvocati, dall’altro apprendiamo di statistiche ministeriali e di troppi interessati endorsement delle commissioni informatiche di vari Consigli degli Ordini Forensi che fanno capo all’ennesima Fondazione del CNF, questa volta dell’innovazione.

Quando nel lontano 2005 il Prof. Renato Borrusio fece la prefazione a E-LAW , una delle prime trattazione organiche sul PCT, tracciò in essa quelli che dovevano essere gli obiettivi dell’applicazione al processo dell’informatica e della telematica, volti all’abbattimento dei tempi “morti” del processo (notifiche, depositi, “riduzione dei tempi di attraversamento del fascicolo”, eliminazione delle decisioni sulla procedura al fine di p realizzare la giustizia sostanziale) e per fare rivivere l’oralità nel processo.

Informatica gestionale, quindi, a supporto del processo civile e amministrativo e giammai nuovo processo. A distanza di oltre dieci da quella prefazione le premesse sembrano essere state disattese, per l’insipienza della politica processuale e per la “mania dell’innovazione” non più a servizio del processo, come l’astensione proprio in questi giorni dei penalisti verso il “ processo penale a distanza” dimostra, pare quindi avverarsi la profezia di qualche anno fa di un PCT e di un PAT che trasformano il processo in un’attività “segretariale dell’avvocatura”. A ciò si aggiungono le zone d’ombra individuate nell’impianto di un PCT calato dall’alto e che non è stato accompagnato da adeguate risorse umane e finanziarie e senza la revisione delle procedure alla quale si è aggiunta la mancata necessaria diffusione, negli uffici giudiziari, della cultura dell’organizzazione e della cooperazione tra tutti gli attori del processo: magistrati, avvocati, cancellieri, consulenti tecnici, periti, pubbliche amministrazioni. Molto critica è anche la dotazione hardware degli uffici giudiziari e ciò in un sistema processuale che vorrebbe fare dell’utilizzo delle tecnologie il suo unico vettore preferenziale e dove la mancanza di strutture affidabili rischia di pregiudicare definitivamente il consapevole e responsabile esercizio della giurisdizione. Anche la qualità del lavoro dei magistrati è in particolare sofferenza, in quanto costretti a leggere gli atti da video obsoleti e ciò soprattutto quando si tratta di documenti molto complessi e corposi. Da qui la richiesta di dotare i tribunali di più moderni pc, scanner e video di dimensioni sufficienti, di stampanti e di materiali di consumo.

> Sono aperte le iscrizioni al convegno, in programma il 25 maggio a FORUM PA 2016 “I processi telematici civile e amministrativo: organizzazione e tecnologie

Strano Paese il nostro che non riesce a trovare equilibrio ed è sempre in moto perpetuo oscillante tra i due estremi dell’esaltazione del “fare” e del “disfare” anche quando la fonte del fare e del disfare è la stessa, così nel corso del 2015 e di questi primi mesi del 2016, abbiamo assistito al susseguirsi torrenziale di produzione normativa di modifica del processo civile del PCT e PAT, e di una produzione giurisprudenziale su deposti e comunicazioni telematiche che hanno raddoppiato le difficoltà del processo.

Così mentre da un lato abbiamo appreso dati emergenziali sul PCT, snocciolati da quasi tutti i capi degli uffici giudiziari della Repubblica, dall’altro le statistiche ministeriali hanno fatto emergere i positivi risultati ottenuti, in termini di costi, dall’introduzione della nuova metodica processuale.

Alla certezza dell’inadeguatezza della rete Giustizia in alcune sedi giudiziarie, ha fatto da contro altare la certezza di altre pubblicizzate come eccellenti sedi giudiziarie informatizzate. Da un lato, poi, la quotidiana esperienza degli avvocati ha evidenziato difficoltà di approccio e di utilizzo dei sistemi informatici e dall’altro vi sono stati gruppi, associazioni e studi legali che hanno segnalato i benefici ottenuti grazie all’utilizzo del PCT. Così dalla presentazione nel Consiglio dei Ministri del 30 giugno 2014 dell’azione riformatrice del Governo il Ministero ha tracciato nel tempo più bilanci delle riforme della giustizia. La riforma, come si ricorderà iniziò con la presentazione dei “12 punti” aperti alla consultazione pubblica e dei numeri che hanno descritto una, non rilevante, diminuzione dell’arretrato giudiziario dovuto soprattutto ai positivi effetti degli istituti della mediazione, della negoziazione assistita e dell’ arbitrato, e a quelli negativi della crisi economica e della crisi di fiducia verso l’istituto processuale. Al 31 gennaio 2015 è stato, infatti, registrato un calo del 20% delle iscrizione a ruolo degli affari civili presso i Tribunali, con un dato positivo solo per il Tribunale delle Imprese che fa segnare, per la definizione delle controversie, un saldo attivo dal 46% del 2013 all’84% del 2014, di quegli affari sopravvenuti, segno che il Tribunale, a competenza limitata, sta accumulando arretrato. Positivi i dati relativi ai tempi per l’emissione dei Decreti Ingiuntivi, ridottisi di quasi il 50%, come per la separazione e i divorzi, diminuiti. L’obbligatorietà del deposito delle memorie endoprocessuali anche nel giudizio di appello e la consolle del magistrato, seppure con alcune difficoltà, sono una realtà, cosi come l’obbligo delle notifiche telematiche a mezzo PEC.

Il pericolo del ritorno alla carta, inteso come una bestemmia, è riemerso in sede di emanazione della norma che prevede l’attestazione “in calce” al “foglio” e il “materialmente congiunto alla medesima” che per gli atti informatici immateriali è inconciliabile e che anzi ne presuppone il superamento, non potendo alcunché essere “materialmente congiunto” all’atto digitale come la copiosa, seppur contraddittoria, giurisprudenza aveva già avuto modo di ribadire in tema di procura telematica.

Mentre da un lato si è cercato di risolvere la problematica posta dalle decisioni della giurisprudenza dall’altro il legislatore reintroduce concetti che la giurisprudenza aveva già ampiamente risolto evidenziando la necessità di un coordinamento, che ben potrebbe essere in capo all’Agenzia per l’Italia Digitale, necessario per fare giustizia della miriade di protocolli sul territorio nazionale tra Consigli degli Ordini Forensi e Tribunali in materia di PCT che fanno di ogni Tribunale e Corte una repubblica a se.

E’ evidente che nella corsa per l’attuazione del PCT non si è tenuto conto di quanto da anni è stato segnalato dai giuristi informatici e cioè che tecnicamente avviare il PCT significa da un lato costruire e aggiornare banche dati; digitalizzare documenti; gestire in forma telematica gli scambi informativi; saper utilizzare la consolle, il Polisweb, la PEC e la firma digitale, dall’altro, come era già nella consapevolezza degli innovatori più illuminati, il PCT può essere efficacemente avviato e sviluppato solo se accompagnato da percorsi di formazione da erogare a favore degli attori (giudici, avvocati, cancellieri, personale) e degli utilizzatori (tecnici e ausiliari) del Processo.

Innovare nella giustizia non significa solo digitalizzare l’esistente, ma anche formare gli operatori del settore giustizia all’utilizzo consapevole dell’ Information and Communication Technology e soprattutto semplificare la procedura. Un esempio della deflagrazione tra norme primarie e regolamentari ne è la diversa valenza che oggi, in sede giurisprudenziale, alcuni giudici danno a importanti norme di chiusura del codice di procedura com’è per l’art. 121 c.p.c., in tema di libertà delle forme e dell’art. 156 c.p.c., in tema di salvezza dell’atto invalido per il raggiungimento dello scopo ed, infine, al principio generale della tassatività delle invalidità nel processo civile.

Così il problema che si è posto in giurisprudenza è stato quello di verificare se, alla stregua del diritto vigente, gli atti e le attività del PCT debbano ritenersi validi, anche in mancanza del decreto abilitativo emesso dalla DGSIA e la stessa portata e il valore dei decreti autorizzativi.

Una svolta potrà aversi da SPID, pilastro di “Italia Login”, infatti i provvedimenti per lo sviluppo del PCT dovrebbero essere rivolti a semplificare e migliorare l’implementazione del PCT, dove la PEC è ancora uno degli snodi fondamentali, ma i problemi del suo utilizzo dipendono anche da strutturali difetti di legislazione, basti pensare che nell’U.E. non esiste uno strumento analogo e che nel nostro ordinamento l’obbligo di dotarsi della PEC, per professionisti ed imprese, è norma in bianco e cioè priva di sanzione. Si pongono poi con la PEC specifici problemi di sovvertimento di fondamentali dettati costituzionali, primo fra tutti quello sancito dall’ art. 27 in base al quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi; dagli artt. 101 e 102 che prevedono che la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati; dall’art. 111 Cost. in tema di giusto e rapido processo. La difesa è, infatti, diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento laddove, invece, una semplice norma regolamentare o tecnica di fatto può impedire l’accesso alla giurisdizione. E’ da chiedersi che valenza ha l’accesso, oggi, alla giurisdizione con uno strumento diverso dalla PEC, atteso che la norma primaria del CAD nulla impone in merito come sanzione laddove invece le semplici specifiche tecniche di un Software di fatto precludono l’accesso per la tutela di diritti costituzionalmente protetti. Solo la svolta derivante da SPID, con l’ assegnazione del codice identificativo unico a tutti cittadini, imprese e professionisti potrebbe favorire l’effettivo accesso a tutti i servizi dell’amministrazione ed eliminare così il digital device anche nella giustizia e non solo in quella processuale, ma anche la certezza dell’identificazione nella navigazione via internet per individuare gli autori di reati del ciberspazio. Occorrerebbe però che le norme e le prassi amministrative tenessero il “passo” conto i “tempi” delle nuove tecnologie e quindi sono indispensabili leggi di riforma coraggiose di delegificazione di alcuni contenuti del codice dell’amministrazione digitale e del codice di procedura civile, al fine di facilitare l’accesso semplice alla giurisdizione, in modo da adeguarla al cambiamento e all’utilizzo dei nuovi sistemi. SPID è una parte, uno dei pilastri di “Italia Login” quello che dovrebbe consentire l’accesso ai servizi della PA in digitale, ma per la giustizia ciò non è sufficiente perché la tutela giurisdizionale dei cittadini richiede che, per ogni tipo di processo telematico (civile, penale, amministrativo, contabile e tributario), sia prontamente attuata la nuova figura che con la recentissima riforma della P.A. ha fatto il suo ingresso nella nostra legislazione, ossia quella del manager per la transizione alla giustizia digitale.

In Europa, in tema di e-justice, le recenti comunicazioni e i rapporti al Parlamento Europeo e al Consiglio fatte dalla Commissione Europea ci dicono che il PCT in Italia è la più grande iniziativa di informatizzazione della giustizia che non ha concorrenti in Europa.

Resta, tuttavia, cruciale il nodo della formazione; in tema di TIC infatti, solo il 20% dei giudici partecipa a percorsi di formazione continua e ciò a fronte dell’obiettivo che era stato posto di almeno il 50% per i professionisti del diritto (magistrati ed avvocati) che si spera di raggiungere entro il 2020.

La Commissione ha inoltre certificato un ritardo negli altri paesi europei di ben quattro anni dal varo del Progetto ideato e curato dall’Agenzia per la diffusione delle tecnologia per l’innovazione, ora AgID, che annovera oltre 90 tra Tribunali, Corti di Appello, Procure e oltre 30 Consigli degli Ordini Forensi per la formazione comune in materia di TIC per magistrati e avvocati e che già prevede il sistema dell’ECLI (l’identificatore europeo della giurisprudenza) e la traduzione delle sentenze nelle lingue di maggiore uso in Europa.

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