Pubblico o privato? Nel caso del CSI Piemonte dobbiamo andare oltre le ideologie

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Parto da un caso concreto per pormi qualche interrogativo sulla difficile scelta se lasciare la produzione di servizi al privato o tenerla in mano pubblica. Premetto subito la mia idea: non ci sono scelte che vanno bene per tutte le occasioni. Va visto caso per caso e con serena oculatezza, ma non possiamo neanche accontentarci di soluzioni precotte per cui “il pubblico è sempre meglio” oppure, come attualmente va il pendolo, “il mercato è l’unica soluzione”. Partiamo da un caso, quello del CSI Piemonte, e da un fatto: oggi CSI Piemonte corre il serio rischio di essere smantellato in nome del risparmio e del dogma per cui "privato è meglio". In questo caso, dopo aver visto le carte, esaminato i numeri e lo stato dell’arte, credo che la privatizzazione non sia una buona idea e rischi di essere un danno per l’economia della regione, per i cittadini, per il processo di digitalizzazione del Paese. Vi spiego perché.

27 Giugno 2012

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Carlo Mochi Sismondi

Articolo FPA

Parto da un caso concreto per pormi qualche interrogativo sulla difficile scelta se lasciare la produzione di servizi al privato o tenerla in mano pubblica. Premetto subito la mia idea: non ci sono scelte che vanno bene per tutte le occasioni. Va visto caso per caso e con serena oculatezza, ma non possiamo neanche accontentarci di soluzioni precotte per cui “il pubblico è sempre meglio” oppure, come attualmente va il pendolo, “il mercato è l’unica soluzione”. Partiamo da un caso, quello del CSI Piemonte – un consorzio di Enti pubblici partecipato da regione Piemonte, Comune di Torino e decine di altri enti piccoli e grandi della regione, con circa 1.200 dipendenti che ne fa una delle più grandi aziende ICT del Paese – e da un fatto: oggi CSI Piemonte corre il serio rischio di essere smantellato in nome del risparmio e del dogma per cui "privato è meglio". In questo caso, dopo aver visto le carte, esaminato i numeri e lo stato dell’arte, credo che la privatizzazione non sia una buona idea e rischi di essere un danno per l’economia della regione, per i cittadini, per il processo di digitalizzazione del Paese.

La Giunta regionale del Piemonte ha presentato un disegno di legge che prevede lo scioglimento del Consorzio e la sua sostituzione con una società pubblica con funzioni di pura centrale di committenza; le attività operative confluiranno in un’altra società, di cui è prevista la parziale o totale cessione a privati; tale società ha anche mandato di mettere sul mercato rami d’azienda separatamente.

Prima di argomentare la mia posizione su questo provvedimento premetto che ragiono come se tutti i soggetti fossero in buona fede e desiderosi solo del bene comune e che vorrei che su queste basi (cosa è meglio per i cittadini) si muovesse il dibattito che spero il mio editoriale susciterà, non su visioni politiche di parte che, pur legittime e apprezzabili, ci porterebbero a lotte di religione sterili.

Delle tante ragioni per salvare la proprietà pubblica del CSI elenco solo quelle che mi sembrano le più importanti:

  • Si tratta di un consorzio di enti pubblici, non una società e non una azienda in-house di un singolo ente. C’è dietro una visione che credo meriti di essere mantenuta e considerata come un valore per il futuro: quella di una PA che si coordina tra i suoi vari livelli, che fa cose insieme perché si riconosce portatrice di finalità e progettualità condivise, che si fa sistema sia sul piano alto degli indirizzi e della programmazione, sia su quello operativo della realizzazione. È qualcosa che va ben al di là delle economie di scala che si possono realizzare mettendo in comune dei servizi: è una concezione della PA come soggetto unitario e plurale.
  • Un soggetto pubblico può operare fuori da considerazioni di profitto e pertanto può produrre servizi anche laddove non ci sia (ancora o stabilmente) un mercato sufficientemente sviluppato da garantire la sostenibilità economica. Questo è particolarmente importante in un territorio come quello piemontese, caratterizzato dalla presenza di ampie aree montane fortemente svantaggiate sia sul piano infrastrutturale che su quello della capacità economica, oltre che da un’estrema frammentazione della presenza istituzionale (1200 Comuni!), che riduce quasi a zero le capacità di spesa (perfino se aggregata) di gran parte dei nostri Enti.
  • CSI per la sua stessa natura lavora in un’ottica di Pubblica Amministrazione integrata, di coerenza e interazione dei sistemi, molto più di quanto potrebbero fare dei privati interessati a difendere le proprie quote di mercato o di quanto possa imporre una centrale di committenza. Inoltre il Piemonte è stato un precursore sui temi della trasparenza, dell’open government e degli open data: credo che un soggetto consortile, che ha in sé i principi della collaborazione e dell’integrazione, possa lavorare meglio in questo senso.
  • Un consorzio che ha una così netta impronta territoriale può essere un importante volano per le PMI e per lo sviluppo di start-up. Molto si è fatto in passato su questa strada, ultimamente un po’ meno per una endemica scarsità di risorse, ma credo che per l’importante obiettivo di rivitalizzare la “creatività” tecnologica di una regione così storicamente fertile come il Piemonte, il CSI possa essere uno strumento prezioso.
  • Infine, last but not least, in questo momento di turbinoso e a volte confuso riorganizzarsi dell’informatica pubblica a livello centrale, con soggetti che muoiono anzi tempo e soggetti che ancora non sono nati, l’apporto di esperienza, conoscenza, errori e successi che può apportare il CSI sul piano nazionale, come autorevole interlocutore del Governo, mi sembra assolutamente non trascurabile.

Tutto da lasciare così quindi? Certamente no. Conosco CSI da oltre vent’anni e molte cose credo debbano cambiare, a cominciare da una maggiore attenzione ai costi per i piccoli comuni, all’aiuto alle Unioni di Comuni, alla gestione integrata non solo dei servizi, ma soprattutto della conoscenza per lo sviluppo, alla funzione di promozione e di indirizzo del mercato privato di ICT, soprattutto locale e giovanile. Eliminare però il consorzio, riducendolo solo a una cabina di regia, mi sembra un rimedio ben peggiore del male.

Volutamente non parlo dei rischi di una privatizzazione “a spezzatino” che lasciasse al pubblico le parti meno appetibili e remunerative e offrisse al mercato i pezzi migliori come ad esempio la gestione della sanità. Non che il pericolo non ci sia, non che tristi esperienze nazionali non ci debbano preoccupare in questo senso, ma voglio essere fiducioso sulla classe politica piemontese e anche sul controllo civico dei cittadini. Ma non è comunque il caso di abbassare la guardia.

 

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