Ripartiamo dai dati per fondare un “governo aperto”: serve un piano per uscire dallo stallo
La recente iniziativa dell’Open Government Forum lanciata dalla ministra Madia è una importante occasione per porre sul tavolo proposte e idee per iniziative di miglioramento anche sul fronte degli Open Data. E anche per ridare priorità alla definizione di una strategia nazionale per i dati
17 Giugno 2016
Nello iacono, Stati Generali dell'Innovazione
La recente iniziativa dell’Open Government Forum lanciata dalla ministra Madia è una importante occasione per porre sul tavolo proposte e idee per iniziative di miglioramento anche sul fronte degli Open Data, ma anche per cercare di comprendere come i problemi e le criticità della situazione attuale possono essere affrontati e superati.
A questo proposito sono utili due spunti recenti:
- la riflessione dell’Open Data Institute rispetto ai maggiori problemi che riscontra nella situazione del Regno Unito;
- la valutazione “dal basso” realizzata nell’ambito della comunità Spaghetti Open Data rispetto allo stato di avanzamento degli unici piani open data nazionali, datati 2014 (agenda nazionale per la valorizzazione del patrimonio informativo e piano del G8 sugli open data).
La prima ci serve come schema per l’analisi, la seconda ci costringe a misurarci con un dato di stato di avanzamento molto basso (meno della metà dei dati rilasciati rispetto agli obiettivi 2014), ma soprattutto con un piano ormai obsoleto.
Governance e Piani di azione
È ormai un dato di fatto che il sito dati.gov.it, dopo la ristrutturazione di alcuni mesi fa, si è fermato in quanto a popolamento di dataset (10348 dataset da 76 amministrazioni), così come l’agenda nazionale che deve stabilire gli impegni per il rilascio da parte delle amministrazioni ha visto la sua ultima edizione nel 2014.
In questi mesi, nell’ambito del Comitato di Pilotaggio per il coordinamento degli interventi OT11 e OT12 realizzati nel quadro dell’Accordo di partenariato Italia, le regioni stanno concordando, con il coordinamento di AgID, un piano di rilasci dei dati per il periodo 2016-20. Un’attività importante, naturalmente, necessaria, ma che non appare un’evoluzione significativa rispetto all’approccio di qualche anno fa, quando sembrava che questo tema fosse diventato centrale per la trasformazione digitale delle amministrazioni pubbliche, la trasparenza e la partecipazione, e anche per l’abilitazione delle imprese.
Siamo d’altra parte in un momento cruciale di grande fermento, come testimoniano le iniziative evolute e mature di diverse amministrazioni centrali (dal Ministero per le Infrastrutture al Ministero dei Beni Culturali, dall’Agenzia per il Demanio ad Ispra e Infratel, solo per citarne alcune) e di sempre più Regioni che si pongono come punti di riferimento territoriali verso i cittadini sia sul fronte dati sia su quello dei servizi, supportando i comuni, le singole aziende pubbliche (es. nel mondo sanitario) e superando così i rischi della frammentazione (tra le altre, ad esempio, la regione Emilia Romagna).
Bene, ma qual è la strategia complessiva? Perché alcune amministrazioni non seguono questo percorso? Come fare a porle in cammino? E chi governa questa (necessariamente non ordinata) evoluzione?
E poi, con quale approccio: il piano nazionale viene prodotto come raccolta e negoziazione paziente sui piani di ciascuna amministrazione oppure si concretizza un indirizzo nazionale che può inserirsi come riferimento “a monte” dei singoli piani? E in tutto questo, che ruolo hanno gli operatori, i professionisti, le associazioni, le comunità, le imprese, i cittadini nell’indirizzare la scelta sui criteri di selezione e i tempi di rilascio dei dataset? Come si assicura l’ascolto?
In più, pensare oggi ad una strategia che si limita solo agli open data non è sufficiente. Il Regno Unito segna la strada della necessità di una strategia complessiva sui dati, che non abbiamo, e che ci si aspetta sia parte fondante del piano triennale per l’IT delle PA che sta elaborando AgID. Allo stesso tempo, è sempre più importante avviare un’attività (quanto più condivisa) che dalla strategia passi alla configurazione dei ruoli e a un programma d’azione nazionale.
Solo così, e l’esperienza del monitoraggio mai realizzato sull’agenda nazionale lo dimostra, è poi possibile mirare all’attuazione e procedere ad un efficace monitoraggio.
Qualità e riuso
Come ho sottolineato altre volte, la crescita e la valorizzazione degli open data è possibile solo se si innesca un circolo virtuoso tra amministrazioni, imprese e cittadini. Un circolo che può innescarsi solo se visto nella sua totalità, impossibile se visto e gestito in modo frammentato, e quindi mettendo insieme, per fare qualche esempio, le esigenze di trasparenza, accountability e business.
Il primo passo, però, è quello di credere che questo sia un tema importante e che quindi è indispensabile operare per diffonderne la consapevolezza.
Il riuso, infatti, non è un sottoprodotto del piano di rilascio dei dati aperti, ma è la ragione prima, senza cui il rilascio stesso perde senso. La conoscenza dei portali open data delle amministrazioni è in diversi casi limitata ad una cerchia ristretta di specialisti, appassionati, addetti ai lavori. E invece la diffusione e il riuso devono essere un obiettivo chiaro per le amministrazioni. Su quello devono misurarsi, provando e verificando direttamente la qualità di quanto viene rilasciato, per migliorare processi e sistemi che producono quei dati.
Ma ogni misurazione, ogni valutazione hanno bisogno di un target da raggiungere, e per questo bisogna aprire all’ascolto, e creare luoghi (virtuali, fisici) dove l’interscambio tra i diversi attori permetta di comprendere precocemente i percorsi più utili. Il Forum OpenGov, che si spera abbia presto un regolamento e sia quindi davvero permanente, può essere un luogo di elaborazione di questa nuova modalità e può certamente realizzare una spinta significativa.
Intanto, però, mettiamo in priorità la nuova agenda, e ripartiamo dalla strategia. Ripartiamo dai dati.