Sentenze sul web, ecco le norme a difesa della privacy
Il tema della trasparenza ha
generato e tuttora provoca accesi dibattiti tra i giuristi in ordine alla
legittimità dell’applicazione estesa di tale istituto e non è possibile
sottrarsi ad una considerazione sul percorso normativo e culturale che negli ultimi
trent’anni ha visto cadere il “muro di gomma” nella pubblica
amministrazione
24 Marzo 2016
Stefano Corsini, commissione informatica Ordine Avvocati Pordenone, commissione informatica Unione Triveneta Ordini Forensi
L’art. 1, comma 35, della legge 6 novembre 2012, n. 190 ha delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo “ per il riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni ”.
In attuazione della delega, il Governo ha adottato il D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, con il quale ha dettato una disciplina estremamente articolata relativa, in particolare, agli obblighi di pubblicazione delle pubbliche amministrazioni come distintamente ed analiticamente riferiti a “l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni”; a “l’uso delle risorse pubbliche”; alle “prestazioni offerte e i servizi erogati”; ai “settori speciali”.
Successivamente l’art. 24 bis del decreto legge n. 90/2014 ha modificato l’art. 11 del d.lgs. n. 33/2013 sull’ambito soggettivo di applicazione della trasparenza, intesa quale accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.
Il tema della trasparenza ha generato e tuttora provoca accesi dibattiti tra i giuristi in ordine alla legittimità dell’applicazione estesa di tale istituto e non è possibile sottrarsi ad una considerazione sul percorso normativo e culturale che negli ultimi trent’anni ha visto cadere il cd. “muro di gomma” nella pubblica amministrazione a favore dell’attuale obbligo di trasparenza.
Nel 1990 viene emanata la Legge 7 agosto 1990, n. 241 che introduce, ex multis, l’istituto dell’ accesso agli atti e ai documenti amministrativi e all’art. 1 prevede: “L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla Legge nonché dai principi dell’ordinamento comunitario’ ’. La trasparenza amministrativa consiste quindi, nella sua accezione più ampia, nell’assicurare la massima circolazione possibile delle informazioni sia all’interno del sistema amministrativo, sia fra questo ultimo ed il mondo esterno. E’ evidente come questa legge apporti importanti modifiche nei rapporti tra le pubbliche amministrazioni e i diritti di cittadini e imprese. Infatti non solo è previsto il diritto di prendere visione degli atti di un procedimento, ma anche che l’attività amministrativa deve ispirarsi al principio di trasparenza, inteso come accessibilità alla documentazione dell’amministrazione o ai riferimenti da quest’ultima utilizzati nell’assumere una determinata posizione .
Ciò consente ai cittadini di veder garantiti i propri diritti nei confronti dell’amministrazione pubblica: hanno diritto ad una informazione qualificata, ad accedere ai documenti amministrativi e conoscere, nei limiti precisati dalla legge, lo stato dei procedimenti amministrativi che li riguardano, seguendo le fasi attraverso cui l’attività amministrativa si articola.
L’accesso è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato, nonché nei casi di segreto o divieto di divulgazione, secondo quanto previsto dall’ordinamento. E’ escluso anche per i documenti dei procedimenti tributari, per gli atti normativi, di amministrazione generale, di pianificazione e programmazione nonché, nei procedimenti selettivi, per i documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi. Pertanto, è compito delle amministrazioni individuare gli atti conoscibili e quelli che necessitano di essere tutelati.
Deve essere tuttavia garantito l’accesso a documenti la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere propri interessi giuridici.
Proprio quest’ultimo principio consente di introdurre la normativa in materia di protezione dei dati personali, il D.Lgs. 196/2003 che ha sostituito la abrogata Legge 675/96.
Detta legge, oltre a prevedere un raccordo specifico alla Legge 241/90 in tema accesso ai documenti amministrativi (artt. 59 e 60), mediante il ricorso al principio dei diritti cd. “di pari rango”, stabilisce l’esistenza del diritto di accesso ai dati personali (artt. 7 e seguenti).
La differenza con l’accesso ai documenti amministrativi risiede in alcuni elementi: innanzitutto il diritto di accesso ai dati è riservato al solo interessato, ovvero colui al quale si riferiscono i dati personali, tranne casi eccezionali in cui vi possono accedere, ad esempio, gli eredi di un soggetto defunto per ragioni meritevoli di giustizia. Anche i presupposti sono differenti, poiché l’esercizio del diritto di accesso è libero e non condizionato da interessi personali, attuali e concreti di sorta.
Fatta questa rapida carrellata sul diritto di accesso declinato nelle sue forme più importanti ( ho volutamente escluso ad esempio il diritto di accesso alle informazioni ambientali – n.d.a. ) in tema di trasparenza, si giunge allo scenario odierno in cui è lecito, anzi, è obbligatorio per le amministrazioni e gli enti interessati, diffondere via web una serie di informazioni con lo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.
Questo obbligo si è poi tradotto in un diritto generalizzato a conoscere determinate informazioni, tanto che con l’art. 5 del D.Lgs. 33/2013 l’obbligo di pubblicare documenti, informazioni o dati in capo alle pubbliche amministrazioni comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione ”. E’ stato così introdotto l’accesso civico.
La richiesta di accesso civico non necessita di alcuna limitazione e cosa più importate è che la legittimazione soggettiva del richiedente non deve essere motivata; è gratuita e va rivolta al responsabile della trasparenza dell’amministrazione obbligata alla pubblicazione.
Ora il rapporto con il diritto alla riservatezza, insito nel principio secondo cui chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano, non può che risultare compromesso da norme che si preoccupano di stabilire l’obbligo di diffusione ma non di regolamentarne le modalità con cui debbano essere pubblicate.
Il Garante privacy si era già parzialmente preoccupato di individuare dei criteri che le P.A. erano invitate ad osservare in fase di scelta e dei dati e diffusione tramite i siti web istituzionali con le “ Linee guida in materia di trattamento dei dati personali per finalità di pubblicazione e di diffusione di atti e documenti di enti locali ”(2007), e recentemente è tornato in maniera più puntuale sul tema della privacy e trasparenza con le “ Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati ” (2013).
Recentissimo, invece, è il “Parere su uno schema di decreto legislativo concernente la revisione e semplificazione delle disposizioni di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza ” (3 marzo 2016) con cui il Garante ritiene necessario razionalizzare e rimodulare gli obblighi di pubblicazione in funzione di tre criteri essenziali: grado di esposizione dei singoli titolari di funzioni pubbliche al rischio corruttivo, funzionalità del dato da pubblicare rispetto alla effettiva necessità di conoscenza da parte dei cittadini e bilanciamento delle esigenze di trasparenza con il diritto alla protezione dei dati.
Dalla lettura del parere si evince l’intenzione del Garante di ridimensionare l’accesso civico per ricondurlo alle fattispecie già collaudate e ben disciplinate dell’accesso ai documenti e accesso ai dati personali di cui alla Legge 241/90 e D.Lgs. 196/2003.
Da stigmatizzare, sempre secondo il Garante, è poi l’obbligo di consentire l’indicizzazione delle informazioni pubblicate da parte dei motori di ricerca e il mantenimento delle stesse sul web per cinque anni, dato l’elevato rischio che i diritti fondamentali alla riservatezza e alla protezione dei dati possano essere gravemente pregiudicati da una diffusione, non adeguatamente regolamentata, di documenti che riportino delicate informazioni personali. Occorre quindi tenere in considerazione i rischi per la vita privata e per la dignità delle persone interessate che possono derivare da obblighi di pubblicazione sul web di dati personali non sempre indispensabili a fini di trasparenza. Rischi che emergono ancora di più in considerazione della delicatezza di alcune informazioni e della loro facile reperibilità grazie ai motori di ricerca.
Degno di nota, infine, è il principio generale espresso dalla Corte di giustizia delle Comunità europee secondo cui “ le istituzioni, prima di divulgare informazioni riguardanti una persona fisica, devono soppesare l’interesse dell’Unione a garantire la trasparenza delle proprie azioni con la lesione dei diritti riconosciuti dagli artt. 7 e 8 della Carta” , non potendosi postulare “ alcuna automatica prevalenza dell’obiettivo di trasparenza sul diritto alla protezione dei dati personali, anche qualora siano coinvolti rilevanti interessi economici ” (cause C-465/00, C-138/01 e C-139/01 riunite; C-92/09 e 93/09, riunite).
L’ANAC, al contrario, non pare aver minimamente considerato l’ipotesi di una minima e preliminare ponderazione. Il dibattito è ancora aperto.