Open source, quale valore per imprese e PA
Investire in software open source per una UE più indipendente, autonoma e sovrana dal punto di vista tecnologico, con una riduzione notevole dei costi e del temuto fenomeno del lock-in. Le pubbliche amministrazioni italiane riusano software, ma c’è ancora molto da lavorare sul target fissato per le amministrazioni che rilasciano software open source. Una conferma che la cultura dell’open source va alimentata
3 Novembre 2022
Michela Stentella
Innovazione, competitività, indipendenza tecnologica e creazione di posti di lavoro: è su queste dimensioni così importanti che impatta l’adozione da parte degli Stati di politiche che sostengono la diffusione dell’open source. A sottolinearlo uno studio pubblicato circa un anno fa, nel settembre 2021, dall’unità DG CONNECT della Commissione Europea e intitolato proprio “The impact of Open Source Software and Hardware on technological independence, competitiveness and innovation in the EU economy”. Tra i dati evidenziati, quello secondo cui un aumento del 10% sugli investimenti in software open source potrebbe contribuire alla nascita di oltre 600 nuove start-up nell’Unione Europea, generando un aumento di PIL di 100 miliardi di euro. Secondo lo studio gli investimenti nell’open source portano in media a rendimenti quattro volte superiori. Guardando poi al settore delle politiche pubbliche, si sottolinea come l’utilizzo di software open source al posto di software proprietario possa diventare la chiave di volta per una UE più indipendente, autonoma e sovrana dal punto di vista tecnologico, con una riduzione notevole dei costi e del temuto fenomeno del lock-in.
Non sono temi nuovi, ma stando a quanto emerge proprio da questo studio c’è ancora molta strada da fare per sfruttare pienamente il potenziale dell’open source. Si riportano quindi alcune raccomandazioni:
- considerare l’open source come componente fondamentale della trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione;
- finanziare direttamente lo sviluppo di software open source e la messa in sicurezza dello stesso;
- promuovere a livello politico l’open source come chiave per l’indipendenza digitale e la sovranità tecnologica;
- realizzare una rete di open source program office (OSPO) finanziata dall’Unione Europea per favorire l’uso, la creazione e l’adozione di tecnologie aperte;
- supportare la creazione di hardware open source, anche con incentivi a livello fiscale o detassazione degli investimenti;
- includere l’open source nelle maggiori politiche industriali EU anche al di fuori del campo dell’innovazione come, ad esempio, l’EU Green Deal (per la transizione ecologica);
- includere programmi legati alla conoscenza dell’open source nell’educazione superiore.
A riprova dell’attenzione e del coinvolgimento della Commissione Europea sul tema dell’open source in quanto motore di innovazione, nell’ottobre 2020 è stata approvata la nuova Open Source Software Strategy 2020-2023, come contributo al conseguimento degli obiettivi della strategia digitale globale della Commissione e del programma Europa digitale, e nel dicembre 2021 la Commissione ha adottato nuove norme sui software con codice sorgente aperto (open source), per aprire l’accesso alle sue soluzioni software quando ciò può comportare vantaggi per i cittadini, per le imprese o per altri servizi pubblici. Con le nuove norme, infatti, si semplificano una serie di operazioni al fine di pubblicare il codice sorgente dei software di proprietà della Commissione molto più rapidamente e con meno burocrazia.
L’open source in Italia: quadro normativo
E in Italia? In Italia, le politiche sull’open source rientrano nel lavoro più ampio di trasformazione digitale del Paese. Il riferimento legislativo è dato dal “Codice dell’Amministrazione Digitale” (CAD), negli articoli 68 e 69 (la prima edizione del CAD è del 2005, ma i due articoli sono diventati centrali per l’adozione dell’open source da parte della PA con le modifiche intervenute successivamente, in particolare nel 2012 per l’art. 68 e nel 2016 per l’art. 69). L’articolo 68 “Analisi comparativa delle soluzioni” indica che è necessario dare priorità a soluzioni open source nella scelta dei software per la Pubblica Amministrazione. L’articolo 69 “Riuso delle soluzioni e standard aperti” obbliga le autorità a pubblicare il codice di un software sviluppato da o per la PA sotto una licenza open source, in modo da renderlo ri-utilizzabile.
Fin qui la normativa. Ma proprio lo studio della Commissione Europea citato all’inizio di questo articolo, dopo un excursus sull’evoluzione della legge italiana in materia, evidenzia il gap tra un ottimo impianto normativo e la reale situazione delle politiche open source nel nostro paese, individuando nell’attuazione il principale problema. Modifiche frequenti alla normativa stessa non hanno contribuito a fare chiarezza, inoltre le pubbliche amministrazioni necessitano di supporto e accompagnamento nell’applicazione. Un passo fondamentale in questo senso è stato fatto nel 2019 con la pubblicazione da parte di AgID delle “Linee guida su acquisizione e riuso di software per le pubbliche amministrazioni”, proprio per attuare quanto previsto dagli articoli 68 e 69 del CAD. Da sottolineare che, se open source e riuso non sono ovviamente sinonimi, sono tuttavia termini imprescindibilmente legati nel percorso di digitalizzazione della PA: il software in riuso, infatti, è sempre un software rilasciato con licenza aperta, come stabilisce il CAD.
In sintesi, quindi, le PA titolari di soluzioni e programmi informatici realizzati su specifiche indicazioni del committente pubblico hanno l’obbligo di rendere disponibile il relativo codice sorgente, completo della documentazione e rilasciato in repertorio pubblico sotto licenza aperta, in uso gratuito ad altre amministrazioni e alla collettività. Le PA devono utilizzare in via prioritaria software con licenza aperta; possano riusare il software senza ricorrere a convenzioni, facendo riferimento alla sola licenza aperta; devono effettuare una valutazione comparativa tecnico economica prima di acquistare software, motivando le proprie scelte e privilegiando le soluzioni open source; lo sviluppo di nuovo software o l’acquisto di licenze di software proprietario deve essere motivato. Con le Linee Guida nasce uno strumento centrale: il Catalogo nazionale dei software open source della Pubblica amministrazione di Developers Italia, il repository pubblicamente accessibile che include sia le soluzioni messe a riuso dalla Pubblica Amministrazione ai sensi dell’art. 69 del CAD, sia il software open source di terze parti destinato alla PA stessa, consentendo così di cercare facilmente tra tutti i software già esistenti, invece di progettarne e svilupparne di nuovi, e ottimizzando così tempi e costi.
Il percorso verso il riuso e quindi verso l’indispensabile adozione di software open source è stato rinsaldato anche dalle diverse edizioni del Piano triennale per l’informatica nella PA. Il Piano 2020-2022 prevede, tra le leve per l’innovazione delle PA e dei territori la costituzione di Nodi Territoriali di Competenza sul Riuso e Open Source: per questo AgID ha pubblicato il 1° aprile del 2022 l’avviso per la costituzione di questi Nodi Territoriali indirizzato alle amministrazioni che sul territorio hanno già prodotto esperienze di questo tipo. E l’aggiornamento del Piano Triennale 2021-2023 torna con forza sulla cultura della condivisione, ponendo ancora una volta l’accento sulla necessità di mettere a fattore comune le soluzioni applicative adottate dalle diverse amministrazioni, in accordo con il Regolamento Europeo UE 2018/1724 (Single Digital Gateway). Si vuole massimizzare il riuso del software sviluppato per conto della PA, riducendo i casi di sviluppo di applicativi utilizzati esclusivamente da una singola amministrazione, come chiede il CAD in materia di open source.
Il Piano 2021-2023 sottolinea quindi che “le pubbliche amministrazioni devono prediligere l’utilizzo di software con codice aperto e, nel caso di software sviluppato per loro conto, deve essere reso disponibile il codice sorgente” e indica precisi obiettivi (Obiettivo “OB.1.1 – Migliorare la capacità di generare ed erogare servizi digitali”):
- Target 2022 – Almeno 150 amministrazioni che rilasciano software open source in Developers Italia e almeno 2.000 soggetti che riusano software open source presente in Developers Italia.
- Target 2023 – Almeno 200 amministrazioni che rilasciano software open source in Developers Italia e almeno 2.200 soggetti che riusano software open source presente in Developers Italia.
Lo stato di adozione di soluzioni open source
A che punto siamo? Attualmente le amministrazioni che riusano software presente in Developers Italia sono 2.424 e i software presenti nel Catalogo sono 339. L’86% dei software presenti è messo a riuso e il 59% di questi è stato riutilizzato almeno una volta da un’amministrazione. Sono però solamente 74 le PA con almeno un software in catalogo. Prosegue il trend già rilevato negli anni passati: vanno meglio i numeri relativi alle PA che riusano software, mentre c’è ancora molto da lavorare sul target fissato per le amministrazioni che rilasciano software open source. Una conferma che la cultura dell’open source va alimentata: la normativa c’è, ma le leggi non sono sufficienti a generare e sostenere una trasformazione diffusa.
Conclusioni
Occorre consapevolezza, non solo degli obblighi ma anche dei vantaggi. Scegliendo l’open source, secondo AgID la PA potrebbe risparmiare dal 30 al 50% sui costi di manutenzione, dal 20 al 30% sugli acquisti delle licenze e dal 50 al 70% sulla spesa del nuovo software. Numeri non da poco, se si pensa che per “applicativi ad hoc” la PA ha speso, dal 2019 al 2022, circa 1, 9 miliardi di euro e che l’acquisto di “Licenze SW Standard e Commerciali” quota il 97% del totale della spesa relativa alle licenze. Senza dimenticare l’aspetto più profondamente culturale: l’open source come spinta alla creazione e alla valorizzazione del bene comune e, per questo, profondamente legato alla missione della PA.