Se il 2016 può essere l’anno della svolta

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Nell’ambito della cittadinanza digitale il 2016 è stato finora caratterizzato da alcuni nuovi elementi che danno il sapore della svolta possibile, tra cui certamente Spid. Prima della pausa estiva facciamo il punto su quanto emerso dal dibattito aperto su queste pagine. Da settembre torneremo, seguendo con attenzione e cercando di contribuire con un dibattito aperto e positivo questo percorso fondamentale per la crescita del Paese.

29 Luglio 2016

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redazione

Il 2016 è stato finora caratterizzato da alcuni nuovi elementi che danno il sapore della svolta possibile.

Innanzitutto l’avvio della definizione del modello strategico per l’IT della PA da parte di AgID (modello in corso di raffinamento ed evoluzione) che disegna il quadro di riferimento che mancava. Un modello che sceglie di percorrere la strada dell’apertura, con la diffusione degli open data e l’apertura dei servizi tramite API, consentendo così alle imprese di sviluppare un’offerta sempre più personalizzata e basata sulle esigenze dei cittadini.

In questo quadro, uno dei programmi chiave è certamente quello per la realizzazione e diffusione del Sistema Pubblico di Identità Digitale (Spid), che AgID ha portato avanti, come ha descritto Francesco Tortorelli , secondo un modello partecipativo al quale da subito si sono associate amministrazioni centrali, regioni ed una rappresentanza di comuni che hanno lavorato insieme ad AgID.

Un programma complesso, con diversi fattori da considerare. Sono ancora tanti i tasselli che dovranno andare a posto per assicurare un successo a questo progetto. Spid è una infrastruttura fondamentale per diffondere il digitale tra cittadini e imprese, ma è anche un “mai tentato prima” in Italia e dai caratteri rivoluzionari. Tra i vari aspetti che i nostri esperti hanno analizzato in questi mesi, c’è anche quello legato all’idea di inserire nella CIE un riferimento alla identità digitale, come ha puntualizzato Alessandro Osnaghi, , che rischia di complicare la situazione.

Analizzando più in generale la sfida che si pone davanti alla PA, gli aspetti di funzionamento e culturali sono tra quelli più delicati e anche di minore rapidità di cambiamento.

In particolare, come hanno illustrato due interventi del Politecnico di Milano, definire meccanismi efficienti per la gestione dell’innovazione nella Pubblica Amministrazione è una priorità assoluta, e diventa indispensabile capire come e su quali attività attuare interventi di digitalizzazione, anche con soluzioni che generano economie di scala, ad esempio introducendo forme di collaborazione tra Enti o forme di gestione associata delle funzioni. Ma anche considerare che la collaborazione strutturata tra operatori economici e Pubblica Amministrazione (PA) accelera il processo di digitalizzazione del Paese, e gli strumenti attuali risultano ancora inadatti o poco utilizzati, per cui diventa fondamentale l’identificazione di efficaci modelli di partecipazione dei privati .

E quindi affrontare fino in fondo il problema culturale, come approfondito nell’ultima edizione di ForumPA , che si pone alla base di una reale trasformazione, grazie alla quale la cittadinanza digitale diventa realmente la capacità degli attori pubblici di favorire l’offerta ai cittadini di una somma di servizi di interesse collettivo adeguata, per qualità e quantità, alle potenzialità della società e dell’economia nell’età del digitale. Per far questo è necessario, come indicato da Giovanni Vetritto, superare il modello fordista che ancora impera nella PA.

Un panorama positivamente in cambiamento, con diverse scadenze chiave nei prossimi mesi, tra cui l’approvazione del decreto di modifica al CAD, e che richiederà, a fine anno, una verifica serena e oggettiva rispetto alle scelte effettuate e agli interventi avviati, per capire se qualcosa è da modificare, così da convergere con più confidenza e rapidità verso l’obiettivo comune. Verifica in cui il metodo partecipativo diventa fattore chiave.

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