Social listening nella PA: come bilanciare cultura del dato e tutela della privacy

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L’utilizzo sempre più diffuso dei social network come canale di comunicazione formale e informale interessa sia individui che organizzazioni pubbliche e private. Per la PA, ricorrere all’uso del social media listening è estremamente utile per migliorare i servizi offerti e prendere decisioni basate sulla raccolta e analisi di un’ampia quantità di dati. Si prospettano opportunità da cogliere ma anche gravi rischi per la privacy dei cittadini, per cui diventa necessario adottare misure di sicurezza per il rispetto delle normative in materia. Queste le riflessioni al centro di un digital talk che si è svolto il 13 settembre, organizzato da FPA in collaborazione con il Dipartimento per lo sviluppo di metodi e tecnologie per la produzione e diffusione dell’informazione statistica di Istat

29 Settembre 2023

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Michela Scoccia

Redazione FPA

Il panel di esperti nel corso del Digital Talk "Ascoltare i dati al tempo della privacy: rischi e opportunità del social listening.

Il  rapporto OCSE sulla comunicazione pubblica evidenzia come i social network giochino un ruolo strategico nell’ascolto dei bisogni del cittadino e siano un canale utile per ricevere feedback sui servizi e orientare così l’offerta in un’ottica citizen-centered. I social rappresentano, infatti, uno dei principali canali di comunicazione formale e informale dove è possibile intercettare tramite reaction, commenti e recensioni da parte degli utenti un costante scambio di emozioni e opinioni in qualsiasi ambito della vita sociale.

Al pari delle aziende, anche la PA sta adottando tecniche di social listening, per monitorare le conversazioni e ottimizzare il dialogo con i propri utenti, in funzione di decisioni sempre più evidence-based. In un approfondimento a firma Istat su queste pagine, trovate ben spiegato in cosa consiste la sentiment analysis e l’opportunità di adozione di questa metodologia.

Tuttavia, è ben evidente come questa opportunità apra interrogativi sulla tutela della privacy e la protezione dei dati personali. È per questo che FPA, in collaborazione con il Dipartimento per lo sviluppo di metodi e tecnologie per la produzione e diffusione dell’informazione statistica (DIRM) di Istat, ha organizzato lo scorso 13 settembre il Digital Talk “Ascoltare i dati al tempo della privacy: rischi e opportunità del social listening”.

Nel corso dell’appuntamento moderato da Michela Stentella, Direttrice Responsabile di forumpa.it, sono intervenuti Gianni Dominici, Amministratore Delegato di FPA; Massimo Fedeli, Direttore del DIRM di Istat; Alessandro De Nisco, Professore Ordinario di Marketing e Management e preside della Facoltà di Economia dell’Università degli Studi Internazionali di Roma UNINT; Guido Scorza, Componente del Garante per la protezione dei dati personali; Cecilia Colasanti, DPO Istat.

L’utilizzo responsabile del social listening nella PA

Nell’attuale contesto di trasformazione digitale, ciascun individuo genera quotidianamente un massiccio quantitativo di dati, che rappresenta un prezioso patrimonio informativo sia per le organizzazioni private che pubbliche. Afferma Gianni Dominici in apertura del digital talk. E gli fa seguito Massimo Fedeli, Direttore del DIRM di Istat: “Abbiamo sino ad ora parlato di dati ben strutturati (il riferimento è alla rubrica podcast Beyond Data realizzata nel corso del 2022 da FPA e Istat, ndr). Ora c’è un nuovo patrimonio informativo che proviene dall’esterno ed in particolare dai social. Si tratta di una grande mole di dati sui quali tra l’altro non si può nemmeno avere immediato riscontro”.

La mission di Enti pubblici di ricerca come Istat è quella di valorizzare queste informazioni per restituire uno spaccato di conoscenza dei vari fenomeni alla collettività. Si pone però a questo punto un problema di natura metodologica che sta particolarmente a cuore a Fedeli e che rappresenta anche la grande sfida con cui l’Istat e gli altri Istituti europei di statistica sono chiamati a far i conti: “È necessario interrogarsi su come sfruttare in maniera corretta e trasparente le potenzialità derivanti dai social al fine di poter garantire la qualità del dato raccolto e rispondere  alle esigenze di tempestività e rapidità con cui i nostri interlocutori richiedono dei feedback. Il tutto per evitare che i nostri stakeholder possano fare affidamento su patrimoni informativi privi di qualsiasi attendibilità”. Qual è dunque il confine entro cui la PA può esercitare questo tipo di attività e garantire un bilanciamento tra diritto alla privacy ed amministrazioni più efficienti?

I social media hanno rivoluzionato il rapporto tra organizzazioni e utenti, dando a quest’ultimi un potere decisivo sulla reputazione del brand, sia per le aziende private che per le pubbliche amministrazioni. Grazie ai social media, gli utenti hanno la possibilità di esprimere la propria soddisfazione o insoddisfazione riguardo ai servizi offerti e farlo raggiungendo un vasto pubblico di potenziali fruitori. Questo richiede alle organizzazioni di ripensare il modo in cui si relazionano con gli utenti finali. Di conseguenza, le tecniche di social listening, che consistono nella raccolta e analisi di grandi quantità di dati, diventano essenziali per fini strategici. Tuttavia, come sottolineato da Alessandro De Nisco (Università degli studi internazionali di Roma), è importante che le pubbliche amministrazioni utilizzino queste tecniche per scopi informativi anziché persuasivi: “La PA, a differenza delle aziende, fornisce servizi di pubblica utilità e quindi deve ascoltare i cittadini per aumentare la consapevolezza sulle opportunità di miglioramento dei servizi offerti, piuttosto che cercare di soddisfare ogni richiesta dei cittadini. In caso contrario, ci sarebbe il rischio di manipolazione dei dati, con conseguenze negative superiori ai benefici”.

GDPR: trattamento dati e tutela della privacy non sono in contrapposizione

Guido Scorza, in qualità di Componente del Garante per la protezione dei dati personali, fa il punto chiarendoci cosa prevede in merito la disciplina europea. Il quadro normativo europeo incentrato sul GDPR spinge comprensibilmente verso uno sfruttamento crescente di tutti i tipi di dati, tra cui ovviamente quelli personali. Non a caso il Regolamento UE in materia di trattamento dei dati personali e tutela della privacy, che abitualmente chiamiamo GDPR, nel suo titolo italiano per esteso fa rimando al principio della protezione dei dati personali unitamente alla loro libera circolazione. Il mezzo per raggiungere questo obiettivo, minimizzando i rischi relativi alla tutela della privacy, è l’identificazione di un quadro normativo uniforme sia all’interno che all’esterno dell’Unione Europea. “In caso contrario -sottolinea Scorza -si rischierebbe di andare verso uno scenario decisamente peggiore, imponendo al cittadino di scegliere se tutelare il proprio diritto alla privacy o avere un servizio pubblico efficiente”.

Scorza sottolinea quindi come sia la stessa disciplina europea a promuovere la massimizzazione della circolazione e sfruttamento lecito dei dati personali per finalità perseguite dal soggetto privato quanto da quello pubblico, entrambi in qualità di titolari dei diritti fondamentali promossi dalla Carta dell’Unione Europea. “La regola aurea prevista dalla Carta Europea è sempre il bilanciamento tra i diritti fondamentali e mai una condizione di concorrenza”, spiega Scorza, “per questo chiunque si aspetti da me un parere che imponga tanto al marketing quanto all’indagine statistica da parte del settore pubblico un fermo divieto a trattare i dati personali, resterà inevitabilmente deluso”.

Sul tema del bilanciamento, anziché antagonismo tra diritti fondamentali, gli fa eco Cecilia Colasanti, DPO di Istat, in riferimento al progetto di social listening che Istat sta portando avanti in collaborazione con il Garante della privacy sulla violenza di genere raccontata dai social. Si tratta di un progetto che ha imposto l’utilizzo di una nuova tipologia di fonti, oltre a riportare un grande impatto sui cittadini. A questo proposito, Colasanti sottolinea: “Quando più volte mi è stato domandato come il tema della privacy si relazionasse ai dati resi manifestatamente pubblici dagli interessati, ho sottolineato l’importanza del principio di proporzionalità che impone di trattare i dati, bilanciando l’accuratezza, l’esattezza e l’integrità del dato statistico con la minimizzazione delle informazioni raccolte”.

Evoluzione tecnologica, quali prospettive per il diritto alla privacy

Conoscere per decidere. Questa la regola imposta dall’era dei social da quanto fin qui è emerso. Guardando al prossimo futuro, dobbiamo aspettarci che il rischio legato alla tutela della privacy si incroci inevitabilmente con il processo di trasformazione digitale. La competizione nel mercato dei dati spinge all’adozione di tecnologie sempre più sofisticate, come l’addestramento di algoritmi, per fornire risultati di ricerca e proiezioni utili ai decision makers. Il che, come sottolinea Guido Scorza, porta ad ipotizzare un ruolo sempre più centrale giocato dalle macchine nell’ambito del processo di ricerca e indagine statistica. Un focus su questo tipo di implicazione è stato aperto anche da Cecilia Colasanti in riferimento al progetto di indagine finanziato dalla Commissione europea e condotto da Istat insieme ad altri Istituti di statistica europei, al fine di rilevare il grado di percezione verso gli utenti rispetto all’utilizzo di strumenti che prendono il nome di Trusted Smart Statistics. Si tratta cioè di statistiche che, tra le altre, prevedono l’utilizzo di smart device per la raccolta di informazioni.  Ad una così rapida evoluzione sul piano tecnologico, secondo Cecilia Colasanti, deve corrisponderne una anche nel panorama normativo in grado di includere e regolare questo tipo di scenari. Proprio in questi mesi è infatti in atto la revisione della legge statistica europea 223 del 2009.

Il punto è che la diffusione della cultura del dato deve necessariamente tenere il passo con il ritmo di evoluzione tecnologica, al fine di garantire all’utente il controllo dei propri dati.

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