SPC, niente di fatto: l’urgenza di un cambio di paradigma. Ecco come
14 Dicembre 2015
Alfonso Fuggetta, professore Ordinario di Informatica presso il Politecnico di Milano
In tantissimi convegni ed eventi, in centinaia di articoli e post, si continua a stigmatizzare il ritardo del nostro paese nell’innovazione delle amministrazioni pubbliche. È un ritardo testimoniato sia da numeri, ranking, classifiche (che ci vedono spesso in posizioni di retroguardia), sia dall’esperienza quotidiana che come cittadini abbiamo nel rapporto con le amministrazioni pubbliche, sia dalle analisi che vengono fatte sulla qualità ed efficacia della spesa pubblica.
Indubbiamente, un problema così complesso non può essere ricondotto ad un’unica causa. Siamo di fronte ad un complesso intreccio di fattori culturali, politici, economici, sociologici che ci hanno frenato e continuano a rallentarci. Tra i temi più critici, credo sia importante ed anzi essenziale analizzare l’approccio secondo il quale si sono investite ingenti risorse economiche nello sviluppo dei sistemi di e-government. Tale approccio non ha solo risvolti di carattere tecnico-operativo, ma rimanda ad un ruolo e una collocazione strategica delle amministrazioni pubbliche nei confronti della società civile che devono essere a mio giudizio significativamente ripensati .
Un po’ di storia
Negli anni 80 e 90, lo sviluppo delle tecnologie digitali era soprattutto orientato all’automazione dei processi interni alla singola amministrazione. Non esisteva ancora Internet (almeno come la conosciamo noi e con questo grado di diffusione); i personal computer erano ancora uno strumento diffuso a fasce ristrette della popolazione; il software in azienda era sviluppato per supportare il lavoro dei dipendenti e funzionari (non erano disponibili servizi digitali offerti al pubblico).
Nel 2000, il Piano di Azione (bello il termine “azione”!) sviluppato dall’allora Ministro Franco Bassanini e da Alessandro Osnaghi prevedeva da un lato lo sviluppo di servizi di front-end (o front-office), cioè rivolti a cittadini e imprese, ma anche, e soprattutto, l’integrazione dei back-end (o back-office).
Recitava il piano di azione (in italico il testo originale con mie sottolineature in grassetto):
Per la sua realizzazione si renderanno necessarie alcune condizioni abilitanti, tra cui principalmente:
- che tutte le amministrazioni e gli enti siano dotati di un sistema informativo progettato non solo per l’automazione delle funzioni e delle procedure interne della amministrazione e per l’erogazione di servizi ai propri utenti, ma anche per l’erogazione di servizi direttamente ai sistemi informatici delle altre amministrazioni ;
- che tutti i sistemi informativi di tutte le amministrazioni siano connessi tramite una rete tra pari, senza gerarchie che riflettano sovrastrutture istituzionali o organizzative. Le limitazioni ed i vincoli all’interazione tra i sistemi dovranno derivare solo dalla natura dei servizi da erogare.
- che tutte le amministrazioni che svolgono un ruolo di back-office, cioè che per ragioni istituzionali possiedono archivi contenenti informazioni necessarie alla erogazione di servizi propri, ma anche di servizi di amministrazioni terze, rendano accessibili senza oneri i propri servizi sulla rete a tutte le amministrazioni che svolgono un ruolo di front-office , per consentire loro la erogazione del servizio senza richiedere al cittadino informazioni già in possesso della Amministrazione;
- che le amministrazioni di front-office realizzino una integrazione dei servizi delle amministrazioni di back-office per fornire servizi integrati secondo le esigenze del cittadino e non secondo l’organizzazione delle amministrazioni eroganti .
- che l’identificazione (autenticazione) del richiedente il servizio, cittadino o impresa, e la verifica delle sue autorizzazioni, avvengano secondo una modalità uniforme su tutto il territorio nazionale utilizzando mezzi di identificazione indipendenti dal servizio richiesto allo scopo di garantire la possibilità di accesso ad ogni servizio in ogni luogo. A questo fine verrà utilizzata la carta di identità elettronica come strumento privilegiato di accesso a tutti i servizi della pubblica amministrazione.
Il Piano di Azione si articolerà in una serie di azioni progettuali coordinate e finalizzate alla realizzazione degli obiettivi sopra menzionati. Il piano non comporta solamente azioni progettuali per la realizzazione di sistemi informatici e telematici, ma richiede anche la identificazione delle norme abilitanti che le rendano possibili e soprattutto la creazione delle strutture organizzative più appropriate , sia alla definizione della strategia, che alla conduzione di progetti che coinvolgono numerose amministrazioni, e che possano essere responsabilizzate sui risultati .
Una visione lungimirante: per innovare le amministrazioni e fornire servizi evoluti ai cittadini (si parlava già allora dello sportello unico per il cittadino!) è necessario, sia dal punto di vista organizzativo che tecnologico, ripensare il back-office cioè la struttura e l’organizzazione degli uffici, i loro processi e i sistemi informatici da essi utilizzati. In altre parole, in quel documento si introduceva la riprogettazione dei processi tramite cooperazione applicativa e di quello che oggi chiamiamo mashup applicativo. Inoltre, si poneva una particolare attenzione sulla governance politica, progettuale e operativa .
Purtroppo, negli anni successivi questo approccio non si sviluppò come avrebbe dovuto. Si concepì il Sistema Pubblico di Connettività (che includeva al suo interno la componente di cooperazione applicativa, SPC Coop) che però non decollò mai, lasciando di fatto i sistemi informativi delle amministrazioni come una serie di isole separate, silos incapaci di comunicare, scambiarsi dati, coordinarsi nello sviluppo di servizi integrati “end-to-end”.
Alcuni errori di fondo
I motivi per i quali SPC Coop non decollò sono molteplici:
1. Una concezione tecnica eccessivamente rigida e complessa, che applicava paradigmi di comunicazione molto restrittivi anche ad operazioni semplici e non critiche.
2. Una obsolescenza tecnologica alla quale non si è rimediato con un pronto aggiornamento degli standard tecnici e architetturali.
3. Regole e norme per la cooperazione tra amministrazioni di tipo “punto a punto”: ogni amministrazione (lo prevede il Codice delle Amministrazioni Digitali) deve definire un accordo con ogni altra struttura con la quale voglia dialogare.
4. Vincoli e regole sulla privacy che disincentivano le amministrazioni a condividere tra loro le informazioni.
5. Mancanza di un progetto strategico complessivo (chi fa cosa) e di strumenti di enforcement e convergenza nel lavoro delle diverse amministrazioni.
6. Mancanza di una governance progettuale, operativa e strategica.
Per tutti questi motivi, negli ultimi 10 anni abbiamo assistito allo sviluppo disordinato, caotico, incoerente di tante soluzioni puntiformi, incapaci di svilupparsi in modo armonioso a servizio delle amministrazioni stesse e, soprattutto, dei cittadini. Inoltre, tutto è stato visto nell’ottica della “digitalizzazione dell’esistente”, cioè nell’automazione delle procedure e dei processi in essere, senza un ripensamento radicale che è invece richiesto nel momento in cui si vogliano realmente utilizzare appieno le potenzialità delle tecnologie digitali.
Certamente, rileggere il Piano d’Azione del 2000 mette tristezza: tutti gli elementi critici erano stati quanto meno identificati. Purtroppo non si diede seguito a quella visione.
Il cambio di paradigma
È evidente che per evitare gli errori del passato serve un cambio di passo e, soprattutto, di paradigma. Non basta immaginare una singola azione o iniziativa: è invece necessario mettere mano all’impostazione complessiva del progetto di innovazione digitale delle amministrazioni pubbliche. Bisogna farlo, promuovendo velocità, efficienza e parallelizzando la collaborazione tra le amministrazione e, più in generale, tra pubblico e privato.
Il pubblico non deve primariamente preoccuparsi di sviluppare i servizi di front-office (o front-end), quanto di mettere in campo quelle azioni che sblocchino la situazione, abilitando pubblico e privato a sviluppare in parallelo ciò che serve (inclusi i servizi di front-end!).
Che vuol dire?
- Le amministrazioni pubbliche si concentrino sul back-office, con due principali obiettivi: i) ripensare radicalmente i processi così da semplificare la vita del cittadino e ii) mettere a disposizione i propri dati e servizi a tutti gli attori del territorio (pubblici e privati, con ovvi livelli di sicurezza e apertura).
- La amministrazioni pubbliche sviluppino prioritariamente alcuni servizi di front-office di uso più comune e diffuso.
- Chiunque (soggetti pubblici e privati) sia messo nelle condizioni di sviluppare servizi di front-office, integrando tutti i dati, servizi (web) e funzionalità pubbliche e private disponibili in rete.
È una rivoluzione copernicana sia rispetto alla visione a silos dove ogni amministrazione “fa per sé”, sia rispetto all’idea che una amministrazione pubblica si qualifichi in quanto offre propri servizi di front-office. Inoltre, garantisce una vera apertura al mercato e il tanto evocato (e mai avvenuto) sviluppo delle partnership pubblico-private.
È ciò che abbiamo iniziato a fare con il progetto E015 che non è semplicemente un progetto tecnologico, ma un cambio di paradigma dal punto di vista strategico e di approccio complessivo al tema .
Che serve quindi?
Molto era già scritto nelle note di Bassanini e Osnaghi. Serve peraltro capire dove si è sbagliato in questi anni e intervenire di conseguenza. Anche su questo si è scritto molto (per quel che mi riguarda, ne ho spesso parlato nei miei articoli raccolti su Medium). In sintesi, penso serva tradurre in execution i principi e le linee guida di cui parlavo:
- Sviluppo di un progetto complessivo del sistema delle pubbliche amministrazioni: chi fa cosa e come.
- Progettazione tecnologica, normativa, istituzionale unitaria e organica.
- Sviluppo e apertura dei back-end.
- Esecuzione distribuita e coerente con una adeguata governance tecnica e istituzionale.
- Interazione “sana” con il mercato, sia sul fronte del procurement che della distribuzione dei ruoli tra soggetti pubblici e privati.
Volendo riassumere tutto ciò in uno slogan, si potrebbe dire che le amministrazioni pubbliche devono sviluppare le piattaforme e i servizi abilitanti (infrastrutturali e applicativi) che permettano a chiunque (soggetti pubblici e privati) di sviluppare in modo autonomo e in concorrenza ciò che serve ai cittadini e alle imprese.
Vogliamo farlo?