Tecnologie cloud? Manca una governance, ma le PA non stanno a guardare
Il cloud computing non è una soluzione, ma un approccio per la risoluzione di problemi complessi. Gli ultimi dati dell’ Osservatorio Cloud & ICT as a Service della School of Management del Politecnico di Milano rilevano che il 50% delle PA prese in considerazione ha attuato soluzioni che utilizzano la tecnologia cloud, ma l’approccio verticale prevale sulla cooperazione orizzontale che invece faciliterebbe il dialogo e l’interscambio di informazioni. Ne abbiamo parlato con Alessandro Piva, responsabile della ricerca.
4 Marzo 2015
Eleonora Bove
Il cloud computing non è una soluzione, ma un approccio per la risoluzione di problemi complessi. Gli ultimi dati dell’ Osservatorio Cloud & ICT as a Service della School of Management del Politecnico di Milano rilevano che il 50% delle PA prese in considerazione ha attuato soluzioni che utilizzano la tecnologia cloud, ma l’approccio verticale prevale sulla cooperazione orizzontale che invece faciliterebbe il dialogo e l’interscambio di informazioni. Ne abbiamo parlato con Alessandro Piva, responsabile della ricerca.
L’informatizzazione della Pubblica amministrazione italiana dovrebbe essere vista come un mosaico, i cui diversi tasselli segnano le tappe di un processo di modernizzazione (a volte caratterizzato da fasi alterne). Se ci sforzassimo di avere una visione d’insieme dell’intero processo, vedremmo che queste tappe non si raggiungono tutte alla stessa velocità.
È il caso ad esempio del Cloud computing, la cui diffusione è fortemente rallentata dalla mancanza di una normativa abilitante e di una governance di attuazione chiara e definita a livello centrale. Sebbene, infatti, il nostro Paese abbia dal 2013 delle linee guida per la razionalizzazione del patrimonio infrastrutturale della PA, a cui ha fatto seguito un censimento ad opera di AgID, le nostre pubbliche amministrazioni soffrono della mancanza di una governance centrale che le indirizzi verso un obiettivo comune: fissando standard, priorità e regole.
Un po’ di chiarezza sui termini
Bisogna premettere che quando parliamo di Cloud computing non intendiamo solo una tecnologia, ma un ampio sistema architetturale che coinvolge tutti i livelli dell’IT: dai software ai server, fino alla configurazione dell’intera infrastruttura informatica. Da qui la definizione IT as a service. Le tecnologie cloud sono in grado di migliorare le tecnologie esistenti, ridurre i disservizi, ridurre i costi, abilitare processi innovativi e semplificarne la gestione.
“Il cloud computing è un elemento abilitante fondamentale per la digitalizzazione del sistema pubblico, un acceleratore che non richiede ingenti investimenti iniziali e che favorisce la progressiva razionalizzazione dei processi amministrativi. Gli effetti poi si registrerebbero sull’intero sistema Paese.” Così riassume le potenzialità del cloud Alessandro Piva, responsabile della ricerca dell’ Osservatorio Cloud & ICT as a Service della School of Management del Politecnico di Milano.
All’estero lo hanno capito bene, come dimostrano i dati raccolti dall’Osservatorio e resi pubblici a novembre 2014. Tra le iniziative studiate colpisce, secondo Piva, quella del governo di Singapore: “Che non intende il cloud come un obiettivo, ma come abilitatore di processi tra i cittadini e le istituzioni”. Inoltre il cloud della piccola repubblica del sud est asiatico permette di mettere a sistema le diverse esigenze degli enti, così da ridurre i costi in un’ottica di economia di scala. Prevede infine di implementare un Private Cloud Governativo a beneficio di tutti gli enti con requisiti di sicurezza e governance stringenti, che include virtualizzazione, multi tenancy, automazione con provisioning on demand, scalabilità rapida e risorse G-Cloud [se vi spaventano i termini tecnici, ne avevamo già parlato qualche tempo fa qui e anche qui].
In Europa si distingue il Regno Unito che lanciando la Cloud Strategy, mira a sostituire i servizi ICT customizzati con soluzioni a basso costo, standard e intercambiabili. Un’iniziativa governata in modo trasversale e partecipativo, che prevede un marketplace dove fornitori certificati offrono i propri servizi.
Se quindi nel mondo ci si sta muovendo, cosa aspettiamo?
In realtà non è proprio tutto fermo nel nostro Paese. Alcune pubbliche amministrazioni, soprattutto centrali, hanno fatto delle scelte, autonome naturalmente, volte all’accentramento dell’erogazione dei servizi, infrastrutturali e applicativi. Si sono date degli obiettivi e delle priorità, perché dove non è arrivata la normativa nazionale è arrivata la spending review.
La situazione italiana si caratterizza, come accade sempre più spesso in materia di sviluppo e innovazione, per un approccio bottom up che muove dalla razionalizzazione delle infrastrutture, a cui segue un consolidamento delle piattaforme ed una razionalizzazione del patrimonio applicativo che abilita il ripensamento di processi e modelli di servizio. Parliamo soprattutto di Pubblica amministrazione centrale.
“A livello locale si registra qualche difficoltà in più nel reperimento delle risorse necessarie ad avviare il processo di trasformazione – continua Piva – che rallenta le iniziative in cantiere e costringe le amministrazioni regionali a fermarsi al primo step, quello della razionalizzazione delle infrastrutture”. Il secondo passo infatti sarebbe quello dell’offerta di servizi e applicazioni, ambito che consente di ottenere benefici di alto livello soprattutto se viene prevista la collaborazione tra enti.
La ricerca condotta dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service mostra come il 50% delle 90 iniziative censite (PA centrali e locali) ha svolto progettualità infrastrutturali volte a virtualizzare, consolidare e automatizzare le risorse in ottica IaaS; il 43% degli enti intervistati si è preoccupato di ragionare sul percorso applicativo, permettendo la digitalizzazione di processi, l’interoperabilità tra soluzioni differenti e l’integrazione delle informazioni dell’ente; il 7% infine ha operato una trasformazione relativa alla gestione dei device, abilitando nuove e più efficaci modalità di lavoro.
La Ricerca, infine, ha individuato le iniziative realizzate in cooperazione e condivisione, consentendo di tracciare 4 modelli di collaborazione diversi: parliamo di collaborazione verticale, laddove un ente fornisce servizi ad enti da esso dipendenti e di collaborazione orizzontale se due enti tra loro indipendenti mettono risorse a fattor comune per ottenere maggiori benefici. Quello che emerge è che in Italia, la buona volontà degli enti sia a livello locale che a livello centrale, ha fatto sì che siano proliferate iniziative di collaborazione verticale, inizialmente mosse dalla necessità di conseguire risparmi di costo, che si sono poi tramutate nell’opportunità per offrire nuovi servizi.
Iniziative di collaborazione orizzontale a livello centrale, che sono quelle che consentirebbero maggior valore aggiunto grazie all’interoperabilità dei sistemi, sono invece rare dal momento che si sente la mancanza di una governance centralizzata che indirizzi gli enti verso un percorso comune.
Italia, le PA tra le nuvole
Recentemente la Corte dei Corti e l’Avvocatura dello Stato hanno avviato una collaborazione per la condivisione dei sistemi infrastrutturali più complessi e costosi, come quelli di Business Continuity e Disaster recovery al fine di migliorare i livelli di sicurezza informatica e protezione dei dati, il tutto abbattendo in modo sensibile sia le spese correnti sia quelle in conto capitale. Si tratta del primo esempio italiano di condivisione totale delle infrastrutture ICT tra due Istituzioni pubbliche che, oltre a muoversi per un’effettiva razionalizzazione delle infrastrutture tecnologiche, in modalità ancor più innovativa ed esemplare avviano un progetto di progressiva integrazione e condivisione dei propri servizi. A questa iniziativa ha fatto seguito un accordo per la riallocazione del CED della Corte dei conti presso la SOGEI.
Dal 2012 invece il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha avviato il progetto M@E Cloud, volto alla realizzazione in Private Cloud di una piattaforma aperta e multicanale per lo sviluppo e l’erogazione di applicazioni informatiche e nuovi servizi consolari a diretto contatto con i cittadini italiani all’estero, i cittadini stranieri e le imprese, oltre che di supporto alle attività di back-office dell’organizzazione interna.
Tra i servizi disponibili sulla nuvola targata Farnesina ci sono ad esempio “Viaggiare sicuri”, le borse di studio e le prenotazioni presso i consolati on-line, i concorsi e le informazioni per le imprese che intendono investire in un determinato Paese. L’iniziativa è mirata ad aumentare l’efficacia dei servizi ai cittadini e alle imprese, a ridurre i costi di gestione, ad accrescere la velocità e l’efficienza nello scambio di dati e informazioni, a razionalizzare le risorse in dotazione nonché ad aumentare la sicurezza, anche in termini di disaster recovery.
In materia di sicurezza, il Ministero ha anche avviato un progetto pilota che si chiama LIMES – Linea informatica di Migrazione, Emergenza e Sicurezza con l’obiettivo di rafforzare le misure di sicurezza informatica delle sedi diplomatico-consolari situate in aree ad alta conflittualità in modo da assicurare una continuità operativa, sia nella consultazione delle banche dati della collettività italiana all’estero sia nell’erogazione dei servizi consolari durante i periodi di crisi.
Ai fini della realizzazione dell’iniziativa in Cloud l’infrastruttura informatica è stata progettata mediante la virtualizzazione e configurazione di circa 200 server, e le risorse sono messe a disposizione all’Amministrazione, gli uffici consolari, le rappresentanze, ed eventualmente ad altre organizzazioni a cui il MAE può decidere di condividere l’architettura. L’introduzione di tale iniziativa ha permesso di ridurre sensibilmente l’impatto ambientale delle attività ICT del Ministero, in quanto è risultato che i consumi energetici sono complessivamente molto inferiori rispetto a quelli derivanti dall’insieme degli apparati distribuiti presso gli Uffici ministeriali e la Rete all’estero. Il progetto ha portato anche ad un accrescimento delle competenze e del valore di gruppo che ha favorito l’intercambiabilità dei ruoli nella direzione IT.