The Engaging City: quando un like non è partecipare
In Italia meno di un Ente Locale su quattro ha un profilo su Facebook (lo scrivevamo qualche giorno fa), ma non è solo questione di numeri. Che senso ha stare su una piattaforma social per una PA? Si può davvero credere che basti un click per attivare comunicazione, consultazione e collaborazione: le “C” della partecipazione civica o, dovremmo dire, dell’engagement? Le leve che fanno muovere la partecipazione pubblica sono più complesse. Proviamo a definire cosa questo significhi.
18 Novembre 2013
Eleonora Bove
In Italia meno di un Ente Locale su quattro ha un profilo su Facebook (lo scrivevamo qualche giorno fa), ma non è solo questione di numeri. Che senso ha stare su una piattaforma social per una PA? Si può davvero credere che basti un click per attivare comunicazione, consultazione e collaborazione: le “C” della partecipazione civica o, dovremmo dire, dell’engagement? Le leve che fanno muovere la partecipazione pubblica sono più complesse. Proviamo a definire cosa questo significhi.
Se le grandi aziende, ormai da tempo, hanno compreso che la social organization, intesa come un nuovo modo di fare impresa che consente ad un vasto numero di persone di lavorare collettivamente valorizzando le competenze, i talenti e la creatività dei singoli, è il futuro di un’organizzazione efficiente e produttiva, perché non dovrebbe essere così anche per il settore pubblico? Se la partecipazione pubblica è interesse di ogni organizzazione, perché non dovrebbe valere anche per la PA?
Non parliamo di trasportare le dinamiche o le prassi aziendali in ambito pubblico, ma di creare attraverso il coinvolgimento attivo dei cittadini e la collaborazione di massa valore sociale, sfruttando le enormi potenzialità dei social media con l’istituzione di community collaborative, che vivano anche offline. Parliamo di creare civic engagement.
Cos’è l’Engagement?
Il termine, mutuato dal marketing e in generale dalle teorie della comunicazione integrata d’impresa, in questo contesto definisce l’impegno civico o partecipazione civica, intendendo quelle insieme di azioni individuali e collettive volte a individuare e affrontare temi di interesse pubblico. Una definizione che prendiamo a prestito dall’American Psychological Association, ma che non dà giustizia della complessità delle dinamiche di coinvolgimento. Per definire meglio questo principio alla base della governance democratica, ci dobbiamo perciò far aiutare dall’International Association for Public Participation (IAP2) che, dopo un confronto internazionale durato due anni, ha individuato quali sono gli aspetti della partecipazione pubblica e ha definito i suoi valori fondanti. Vediamoli:
1. La partecipazione pubblica si basa sulla convinzione che coloro che sono interessati a o da una decisione abbiano il diritto di essere coinvolti nel processo di assunzione della decisione stessa.
2. La partecipazione pubblica include la promessa che il contributo del pubblico eserciterà effettivamente un’influenza sulla decisione finale.
3. La partecipazione pubblica promuove decisioni sostenibili riconoscendo e comunicando le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti, inclusi coloro che assumono le decisioni finali.
4. La partecipazione pubblica ricerca e facilita il coinvolgimento di coloro che sono potenzialmente interessati a o da una decisione.
5. La partecipazione pubblica ricerca il contributo dei partecipanti nel progettare le modalità con cui partecipano.
6. La partecipazione pubblica fornisce ai partecipanti le informazioni necessarie affinché possano partecipare in modo significativo.
7. La partecipazione pubblica comunica ai partecipanti come il loro contributo ha influenzato la decisione finale.
Ma cosa altro è l’engagement? E’ un ambiente sociale in cui si attivano percorsi di costruzioni di senso; è uno spazio che genera valore, in cui si incontrano le esigenze della cittadinanza e gli obiettivi dell’amministrazione; è una dinamica attiva, varia di intensità a seconda delle persone e dei momenti, ma è sempre “on”; è immediatezza, tanto più i risultati sono visibili e immediati, tanto più sarà alto il livello di coinvolgimento; è un processo che si autoalimenta: usufruire di un servizio, alla cui definizione si è preso parte attiva, aumenta la soddisfazione e rende molto probabile che si rinnovi l’impegno; è metodo le cui linee di lavoro variano nel tempo perché, sottoposte a continua verifica, richiedono di essere modificate.
L’engagement è tutto questo semplicemente perché è un fenomeno umano: un fenomeno che poggia su elementi quali l’appartenenza, l’empatia e la condivisione di valori e obiettivi.
Social media, community (virtuali e non) e proposizione di valore questi gli elementi chiave della partecipazione: come ci ricorda Marco Minghetti, la community definisce chi collabora; i social network e le “piazze” definiscono il dove; la proposta di valore il perché collabora. E’ questo ultimo il fine comune che muove la volontà di lavorare insieme ad altri, mettendo a disposizione la propria conoscenza, le proprie esperienze e le proprie idee.
Eppure il processo non è assolutamente semplice. Se guardiamo le nostre amministrazioni, anche quelle presenti su Facebook o Twitter, vediamo che le proposte che riguardano la collaborazione su queste piattaforme sono praticamente inesistenti. Poche e malandate, scrivevamo qualche giorno fa su queste pagine.
Verso la Smart City
Il cambio di rotta presuppone un ripensamento del modello organizzativo gerarchico e autoreferenziale, tipico delle nostre amministrazioni pubbliche, a favore di un sistema reticolare fondato su community aperte e interconnesse. Community in cui si condividono visioni, obiettivi e valori, nonché sistemi di misurazione e monitoraggio. Il cittadino si deve sentire parte di un tessuto sociale più grande, di cui riconosce i problemi come i propri. Tutti elementi che riconosciamo bene e che abbiamo più volte incontrato nel percorso di programmazione di una Smart City, che – ricordiamolo – prevede: inclusività ovvero partecipazione degli stakeholders allo sviluppo e al raggiungimento di una risposta responsabile e strategica alla sostenibilità; materialità ovvero rilevanza dei temi; rispondenza ovvero risposta ai temi sollevati dagli stakeholders.
Se le amministrazioni e le città riuscissero ad alimentare il civic engagement, le ricadute sulla prestazioni sarebbero subito evidenti perché, come sottolinea Jacob Morgan in The Collaborative Organization (McGraw-Hill, 2012), il legame tra engagement e nuove idee è fortissimo. La collaborazione, infatti, consente alle persone di creare legami e connessioni, in altre parole di creare relazioni. E’ proprio dalle relazioni, dalla collaborazione e dallo scambio di idee che ne nascono di nuove e migliori, volte magari al risparmio energetico, al miglioramento dei servizi o alla riduzione dei costi.
Un brainstorming urbano volto al miglioramento della qualità della vita.
I passi da fare
Nella definizione del percorso, è ancora International Association for Public Participation (IAP2) a venirci in aiuto. In modo chiaro e sintetico lo schema che segue individua i diversi passaggi che un’amministrazione deve ottemperare per raggiungere gradualmente un elevato grado di partecipazione da parte della cittadinanza. Le nostre amministrazioni sono ancora ferme alla fase di Consult, scegliendo come strumenti di partecipazione i focus group, gli incontri pubblici o le “consultazioni aperte”.
Non è sicuramente semplice la trasformazione e nemmeno immediata, ma possiamo dare qualche “dritta” alle amministrazioni:
Abbattere le barriere: sia all’interno, per superare le difficoltà della macchina burocratica, che all’esterno per coinvolgere cittadini, partner tecnologici, enti di ricerca, associazioni e stakeholder in genere;
Dotarsi di una visione etica;
Passare da un stile prescrittivo ad uno “convocativo”, come scrive Marco Minghetti;
Essere flessibili verso il cambiamento;
Collaborare e valorizzare i contributi che arrivano dalla community virtuale e non;
Voltare verso la co-creation di contenuti e conoscenza, per una definizione diffusa e partecipativa;
Arrendersi all’ubiquità della comunicazione, ovvero al fatto che trascenda lo spazio e il tempo.
Siamo abituati a vivere in un mondo sempre connesso, in cui con un click cancelliamo confini geografici e linguistici e diventiamo reporter, film maker, scrittori. Tutto ciò, però non è ancora partecipazione civica. Non bisognerebbe confondere il numero di Like con il grado di soddisfazione della cittadinanza alle politiche pubbliche adottate. Un commento non è segnale di partecipazione o un tweet di condivisione di conoscenza. La smart governance va bene al di là di questo. La Smart City trascende il mondo virtuale e le tecnologie. Bisogna pensare questi strumenti come mezzi utili per un fine più alto: attivare, nella realtà, dinamiche di confronto, dialogo e coinvolgimento. Tecnicamente civic engagement, più semplicemente partecipazione.