Tutti pazzi per l’innovazione sociale
Posta a garanzia di sostenibilità e ownership nelle dinamiche che coinvolgono le comunità territoriali, l’innovazione sociale vive decisamente il suo momentum in Europa come oltreoceano. Prima di Obama, di Cameron, della Commissione europea e delle esperienze emergenti nell’Italia dei territori, “l’innovazione sociale c’era e c’è sempre stata” ci conferma Andrea Bassi, sociologo ed esperto in materia, a cui abbiamo chiesto un primo contributo di “contestualizzazione”. Ma la novità è che ora diventa un elemento strategico di governo e cittadinanza. Ci addentriamo così nell’”innovazione sociale”, che – suggerisce lo stesso Bassi – dopo la globalizzazione nella seconda metà degli anni ’90 e il capitale sociale nel primo decennio del 2000 si candida a diventare il “termine ombrello” delle dinamiche socio-politiche (e forse economiche) dei prossimi anni.
27 Aprile 2011
Chiara Buongiovanni
Posta a garanzia di sostenibilità e ownership nelle dinamiche che coinvolgono le comunità territoriali, l’innovazione sociale vive decisamente il suo momentum in Europa come oltreoceano. Prima di Obama, di Cameron, della Commissione europea e delle esperienze emergenti nell’Italia dei territori, “l’innovazione sociale c’era e c’è sempre stata” ci conferma Andrea Bassi, sociologo ed esperto in materia, a cui abbiamo chiesto un primo contributo di “contestualizzazione”. Ma la novità è che ora diventa un elemento strategico di governo e cittadinanza. Ci addentriamo così nell’”innovazione sociale”, che – suggerisce lo stesso Bassi – dopo la globalizzazione nella seconda metà degli anni ’90 e il capitale sociale nel primo decennio del 2000 si candida a diventare il “termine ombrello” delle dinamiche socio-politiche (e forse economiche) dei prossimi anni.
Generata dall’unione di due termini a dir poco abusati, l’innovazione sociale è fortemente esposta al rischio di diventare il prossimo “termine – panacea” nei cenacoli della rete (e non solo), destinato a piacere a tanti ma su cui non tutti hanno l’onestà di chiedere: “…suona bene, ma in che senso ne vogliamo parlare”?
Francisco Jaime Quesado, Direttore generale della Innovation and Knowledge Society del Portogallo, descrive bene l’innovazione sociale come "una nuova piattaforma collaborativa tra attori diversi, con la sfida strategica di rinforzare le competenze centrali della società e qualificarle come mezzi primari per la creazione di valore e progresso". La sfida dell’Innovazione sociale – nella visione portoghese – richiede una efficace partnership tra tutti gli attori: università, imprese, società civile, per costruire una vera e propria strategia della fiducia necessaria all’implementazion delle politiche. "La parola chiave è co-creazione. La chiave è nella partecipazione globale attraverso l’impegno e il coinvolgimento, tra creatività individuale e cooperazione collettiva”.
L’innovazione sociale in focus
Da Wasghinton a NYC A dare “benzina” al tamtam dell’innovazione sociale su scala globale ancora una volta una serie di iniziative made in USA. Poco dopo l’insediamento alla Casa Bianca, il presidente Obama ha istituito l’OSICP – Office of Social Innovation and Civic Participation con l’obiettivo di promuovere nuove partnership tra governo, capitale privato, imprenditori sociali e società civile, collegandolo ad un Fondo speciale – il Social Innovation Fund che – con un budget di 50 milioni di dollari pubblici e 74 milioni di dollari dalle fondazioni filantropiche – apre opportunità di espansione per le organizzazioni non profit di maggior successo. La finalità è far sì che queste allarghino il proprio lavoro nell’assistenza sanitaria, nella creazione di lavoro e nel supporto ai giovani. “La formula che guida il SIF nell’assegnare i finanziamenti – spiega un interessante articolo dell’Economist dello scorso agosto – è quella dell’”imitation rather than innovation”. Il senso è “scovare innovazioni sociali che hanno funzionato su piccola scala e aiutarle ad avere un impatto molto più grande”.
A New York Bloomberg ha voluto la creazione del CEO – Centre of Economic Opportunity che investe dollari provenienti dal pubblico e dal settore filantropico nelle idee degli imprenditori sociali che – ponendo un’enfasi speciale sulla responsabilità individuale – individuano soluzioni per aiutare le persone ad uscire dalla condizione di povertà. Il CEO ha ricevuto uno dei primi finanziamenti erogati dal SIF: 5,7 milioni di dollari per replicare programmi di lotta alla povertà in altre 7 città statunitensi.
“Investing in what works” è il motto e, di conseguenza, uno degli obiettivi dell’OSICP è trovare migliori modi di misurare l ‘impatto sociale dei soldi pubblici, con l’obiettivo dichiarato di rinforzare l’innovazione sociale attraverso "due cose tipicamente viste più come importanti che come efficaci: open government e volontariato".
Bruxelles L’Unione europea non è gli Stati Uniti. Sebbene non manchino interessanti approcci e importanti esperienze nazionali – una fra tutte la Big Society della Gran Bretagna di Cameron – in tema di innovazione sociale la Commissione europea inizia ora a “inquadrare” il concetto e a riconoscerlo, alla stesso tempo, come uno dei pilastri della neonata Innovation Union (flagship initiative della strategia Europa 2020, sotto la priorità Smart growth). All’interno della Innovation Union, la Commissione Europea riconosce all’innovazione sociale un ruolo strumentale rispetto all’obiettivo di empowerment dei cittadini, definendola così: ”L’innovazione sociale attiene alla ricerca di modi nuovi modi di rispondere a quei bisogni sociali che non ricevono una risposta adeguata né dal mercato né dal settore pubblico, sfruttando il potenziale delle associazioni della società civile e dei soggetti dell’ imprenditoria sociale.”
Proprio nel corso di quest’anno – Anno europeo per il Volontariato e la cittadinanza attiva – la Commissione è in procinto di lanciare un programma di ricerca su “settore pubblico e innovazione sociale”.
L’Italia? Questo è il capitolo che più ci interessa. L’Italia non sarà il Regno Unito, meno che mai gli Stati Uniti, ma le Regioni italiane sono ricche innanzitutto di “comunità” e di potenziale innovativo. Non si tratta di chiuderci nei nostri orticelli, ma di imparare a leggere i nostri contesti alla luce delle connessioni internazionali che ormai abitiamo e che, fortunatamente, ci nutrono.
In questo dossier raccogliamo letture ed esperienze, alla ricerca di un senso dell’innovazione che permetta di “operativizzare” il modello nel nostro contesto di riferimento.