EDITORIALE
Un Manifesto per la società post Covid-19
Oggi FORUM PA 2020 entra tra le azioni di “Repubblica Digitale”, centesima in un elenco che comprende le proposte di ONG, aziende, Enti locali, amministrazioni centrali, Università, scuole, per contrastare ogni forma di divario digitale di carattere culturale. Il manifesto dell’iniziativa del Dipartimento per la trasformazione digitale è stato presentato meno di un anno fa proprio durante la scorsa edizione di FORUM PA. Oggi, chiusi nelle nostre case e attaccati al mondo solo attraverso l’infosfera, il suo significato appare ancora più importante
3 Aprile 2020
Carlo Mochi Sismondi
Presidente FPA
Oggi FORUM PA 2020 entra tra le azioni di “Repubblica Digitale”, l’iniziativa strategica nazionale promossa dal Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei ministri per contrastare ogni forma di divario digitale di carattere culturale.
Repubblica Digitale fu lanciata dal palco del FORUM PA 2019 nell’ultimo giorno della manifestazione in una grande festa e sono particolarmente felice che oggi, a meno di un anno dal lancio, la nostra iniziativa di formazione e di inclusione, che svolgeremo all’interno del doppio appuntamento del FORUM PA 2020 online e on site, sia la centesima in un elenco che comprende le concrete proposte di ONG, aziende, Enti locali, amministrazioni centrali, Università, scuole, ecc.
Questa circostanza mi ha spinto, oltre che a ringraziare gli amici del Dipartimento che ci hanno riservato il numero 100, a rileggere il manifesto dell’iniziativa in un’ottica che, oggi chiusi nelle nostre case e attaccati al mondo solo attraverso l’infosfera (quella che Luciano Floridi in un libro importante chiama la dimensione digitale), appare ancora più importante.
Il manifesto che tutti i sottoscrittori, noi tra i primi, hanno firmato parte dalla constatazione che la tecnologia digitale ha accelerato la trasformazione della società generando opportunità straordinarie, ma anche nuovi rischi sociali e che la trasformazione digitale è una grande occasione per “rilanciare” i principi, i diritti e i valori costituzionali che hanno fondato la Repubblica e i diritti umani fondamentali universalmente riconosciuti. Penso soprattutto a quelli garantiti dal secondo comma dell’art. 3 della Costituzione che impone alla Repubblica di essere parte attiva per permettere a tutti i cittadini, attraverso la libertà e l’uguaglianza, la partecipazione democratica alla vita civile della comunità nazionale. E poi al seguente art.4 che precisa che il lavoro è un diritto di tutti i cittadini e che la Repubblica promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Il Manifesto continua poi elencando tre principi chiave che segnano la strada per l’impegno concreto dei sottoscrittori:
- le azioni per l’educazione alla dimensione digitale, perché le competenze digitali sono oggi requisiti essenziali della cittadinanza tout court;
- le iniziative che promuovano una nuova forma di cittadinanza basata su informazione di qualità, partecipazione alle deliberazioni, interazione civica e su un rapporto più efficace tra cittadini e Istituzioni;
- l’attenzione al lato etico, umano e non discriminatorio della tecnologia per far divenire digitale uno spazio di eguaglianza e di sviluppo delle comunità e degli individui.
Rileggendolo la mia e nostra adesione al Manifesto si rafforza, ma assieme a questa anche la considerazione che non si tratta di un’impresa facile.
La tecnologia, pensate ai Big data e all’Intelligenza Artificiale, corre più veloce delle nostre parole e dei nostri intendimenti. Le aziende diventano sempre più grandi e potenti in una dimensione globale che, se in sé non ci deve spaventare, deve indurci a mettere in campo efficaci strumenti di check&balance perché la posizione dominante resti alla politica come espressione della comunità.
E allora la consapevolezza, la partecipazione, l’affermazione di alcuni diritti fondamentali – a cominciare da quello della protezione dei dati personali che non può essere messo in discussione, neanche in tempi di pandemia – diventano requisiti fondamentali di cittadinanza.
Un sociologo del secolo scorso a me particolarmente caro, Ivan Illich, insegnava che se uno strumento non è a nostra disposizione (lui lo chiamava “conviviale”), nel senso che non ne conosciamo il funzionamento e non lo dominiamo, esso diventa appannaggio di una classe tecnocratica e, per una sorta di eterogenesi dei fini, diviene alla fine ostacolo alla libertà per cui era stato concepito.
Lo strumento conviviale, diceva Illich, si riconosce perché genera efficienza senza degradare l’autonomia personale; non produce né schiavi né padroni; estende il raggio di azione personale (accresce le capabilities di ciascuno per citare un altro grande pensatore a me altrettanto caro come Amartya Sen). Far sì che, pur nella continua accelerazione, la trasformazione digitale resti, o meglio diventi, “conviviale” è l’obiettivo nostro e del manifesto.
Questi sono i presupposti etici e politici che ci hanno spinto ad aderire all’iniziativa “Repubblica Digitale”, ma che sono anche a fondamento da trent’anni della nostra attività che ha cercato, con i suoi limiti e i suoi continui aggiustamenti, di promuovere un’amministrazione pubblica che cambiasse profondamente in sintonia con i bisogni della società e usasse l’innovazione per garantire diritti. Ma insieme ci siamo dati da fare anche per dare spazio e voce agli innovatori, per fornire formazione e capacità critica a chi l’innovazione doveva applicarla, per indirizzare la tecnologia verso una società più inclusiva e democratica. Anche nei prossimi appuntamenti la nostra attività di formazione gratuita all’innovazione continuerà, si rafforzerà, troverà tra gli innovatori nuove alleanze.
In questi giorni di clausura pensare alla società che (ri)nascerà dalla durissima prova collettiva a cui è ora sottoposta è un obbligo per tutti noi. Immaginare una ripresa che reiteri lo stato di profonda disuguaglianza e di sostanziale insostenibilità, che ha caratterizzato il nostro sviluppo negli ultimi decenni, sarebbe gravissimo. Come sarebbe imperdonabile se permettessimo alla trasformazione digitale di potenziare queste storture, invece che di espletare la sua straordinaria potenza per rendere possibile un nuovo orientamento alla vita delle nostre comunità.