Un pratico strumento per capire e conoscere gli ultimi 10 anni della pa digitale
Alla sua nascita, nel marzo del 2005, il Codice dell’Amministrazione digitale fu salutato da alcuni come una svolta storica nella nostra amministrazione, da altri come un libro di sogni e di principi vaghi che nulla aveva a che fare con la realtà. L’allora Ministro Lucio Stanca annunciava risparmi di 10 miliardi l’anno, Franco Bassanini lamentava che si trattasse di un insieme di utopie e promesse prive di concretezza.
26 Giugno 2014
Carlo Mochi Sismondi
Alla sua nascita, nel marzo del 2005, il Codice dell’Amministrazione digitale fu salutato da alcuni come una svolta storica nella nostra amministrazione, da altri come un libro di sogni e di principi vaghi che nulla aveva a che fare con la realtà. L’allora Ministro Lucio Stanca annunciava risparmi di 10 miliardi l’anno, Franco Bassanini lamentava che si trattasse di un insieme di utopie e promesse prive di concretezza. In realtà avevano torto e ragione entrambi: i dieci miliardi l’anno purtroppo non si sono visti, ma il Codice è stato uno strumento essenziale per sancire diritti e per dare base giuridica ad una digitalizzazione ancora troppo vulnerabile.
Da allora sono passati: nove anni e sei Governi, un nuovo decreto legislativo, il 235 del 2010, che, sotto l’egida di Renato Brunetta, ha rinovellato il CAD e, infine, molteplici interventi legislativi, a volte scoordinati tra loro e tesi più a far immediata cassa che a ripensare organicamente la materia. Molto si è fatto, ma ancora molto, troppo resta da fare per una PA che di diventare digitale, interconnessa e interoperabile non vuol proprio saperne, aiutata da una politica di continui stop & go, di priorità incerte ed effimere, di debole governance.
Sono da allora cambiate anche le sensibilità e sempre più lo strumento della digitalizzazione è percepito anche, e a volte soprattutto, come strumento di apertura, di trasparenza, di partecipazione dei cittadini alla vita delle amministrazioni e al loro controllo. Il tema dell’open government si affianca quindi come macro obiettivo a quello dell’efficienza, esaltato dalle necessità di revisione della spesa, e a quello della qualità dei servizi che i cittadini pretendono, sempre più, semplici e veloci.
Ben venga quindi il commentario realizzato da Digital&Law Department col patrocinio di ANORC e FORUM PA. È uno strumento di lavoro, agile e preciso, di quelli da tenere sempre a portata di mano sul desktop, ma è anche, volutamente o no, una narrazione. Attraverso il susseguirsi dei provvedimenti, l’elenco puntuale e referenziato delle norme correlate, l’analisi della giurisprudenza ci racconta, infatti, l’evolversi della sensibilità giuridica in un campo tutto sommato ancora nuovo, ma anche l’evolversi delle sensibilità, lo schieramento, a volte bellicoso, delle forze in campo, la paludosa resistenza di chi non vuol cambiare.
Dopo un decennio dall’inizio dei lavori per redigere il CAD e dopo vent’anni di riforme a getto continuo, la PA avrebbe ora bisogno di una moratoria normativa e di passare dal tempo delle leggi al tempo dei manuali. Dall’enfasi sulle riforme all’attenzione continua ai comportamenti; dall’illusione che una legge cambi il mondo, alla serena consapevolezza della necessità di cura, di assistenza, di tenacia, di costanza senza arretramenti o scorciatoie, senza deroghe o ritardi.
È questo il tempo esaltato come tempo del cambiamento, ma la PA senza la digitalizzazione non potrà cambiare, rendere questo processo roba da Azzeccagarbugli è deprecabile, ma sperare che si possa compiere senza la certezza del diritto è colpevolmente ingenuo.