Una Carta dei Diritti di Internet: l’Italia dice la sua
Poco più di un anno fa parlare della governance di Internet voleva dire parlare di chi disciplina l’accesso ai server, di chi distribuisce i domini, o di chi amministra gli archivi dei dati. In un momento storico in cui il tempo di obsolescenza di una tecnologia è ridotto ad una manciata di mesi, dopo il Forum sulla Governance di Internet di Atene dell’autunno 2006, parlare di governance della rete vuol dire interrogarsi soprattutto sul modo in cui tutelare nuovi diritti come quello alla connessione, all’anonimato o alla conoscenza come bene comune. L’Italia in questo spostamento ha giocato un ruolo chiave come testimonia il Dialogue Forum on Internet Rights del 27 settembre scorso in cui si è manifestata l’esigenza di una Carta dei Diritti di Internet.
11 Ottobre 2007
Tommaso Del Lungo
Poco più di un anno fa parlare della governance di Internet voleva dire parlare di chi disciplina l’accesso ai server, di chi distribuisce i domini, o di chi amministra gli archivi dei dati. In un momento storico in cui il tempo di obsolescenza di una tecnologia è ridotto ad una manciata di mesi, dopo il Forum sulla Governance di Internet di Atene dell’autunno 2006, parlare di governance della rete vuol dire interrogarsi soprattutto sul modo in cui tutelare nuovi diritti come quello alla connessione, all’anonimato o alla conoscenza come bene comune. L’Italia in questo spostamento ha giocato un ruolo chiave come testimonia il Dialogue Forum on Internet Rights del 27 settembre scorso in cui si è manifestata l’esigenza di una Carta dei Diritti di Internet.
La Carta dei Diritti di Internet: un po’ di storia
La discussione sulla necessità di un Internet Bill of Rights comincia, in maniera ancora piuttosto marginale, a Tunisi durante la seconda sessione del World Summit on the Information Society, l’incontro internazionale voluto dalle Nazioni Unite per individuare alcune posizione condivise riguardo alla gestione e al "governo" della rete. In quella occasione un’iniziativa proposta e organizzata della sola delegazione italiana manifesta l’esigenza di inserire nella discussione anche il tema dei diritti. Tema che si concretizza, poi, in maniera meglio definita all’Internet Governance Forum di Atene, dove l’Italia chiede ed ottiene di organizzare uno dei workshop ufficiali da tenersi a margine delle sessione plenarie di carattere più trasversale. Nonostante sia in contemporanea con molti altri seminari, il workshop – che si apre con una relazione di Stefano Rodotà sull’urgenza e la necessità dell’Internet Bill of Rights – ha un successo fuori dal previsto, non solo in quella sede, ma soprattutto in rete, in cui nelle settimane successive cominciano costituirsi spontaneamente delle Dynamics Coalition cioè gruppi che all’interno di organizzazioni già esistenti, o costituendosi ad hoc si pongono l’obiettivo di lavorare sui temi proposti ad Atene.
Il Governo Italiano accoglie il successo i questa iniziativa e già nel Novembre 2006 il Sottosegretario all’Innovazione e alle Riforme nella Pubblica Amministrazione Beatrice Magnolfi, annuncia il progetto di una grande conferenza in Italia che esplori in maniera approfondita le necessità e le modalità più adatte a proporre una Carta Internazionale che tuteli i Diritti di Internet.
A Settembre 2007 questo progetto si concretizza nel Dialogue Forum on Internet Rights a cui partecipano rappresentanti di 70 Paesi e 53 delegazioni ufficiali.
Internet Bill of Rights: perché
"Internet non ha bisogno di nessuna regolamentazione perché ha capacità di auto-regolarsi e anzi è uno spazio di libertà assoluta che soffrirebbe di qualunque tipo di limitazione". Posizioni come questa non sono rare nel vastissimo panorama dei partecipanti alla discussione sull’Internet Bill of Rights. Tuttavia i fatti e le notizie di cui abbiamo esperienza quotidianamente ci dicono che così non e che la libertà di Internet è stata violata innumerevoli volte, alcune più eclatanti altre meno, senza che ci fosse la possibilità di ricostituirne autonomamente le condizioni. I casi di censura parlano da soli, ultimo in ordine di tempo quello del Myanmar, che, una volta chiusa la rete, sembra essere scomparso completamente da qualunque fonte informativa. Ma parallelamente quando si parla di comportamenti scorretti nell’utilizzo della rete vengono subito alla mente gli esempi di collaborazione dei grandi provider per individuare dissidenti di diversi nazioni, e molti si ricorderanno l’infelice "uscita" del Commissario europeo Franco Frattini sull’imporre una censura selettiva sulle parole "pericolose" utilizzate in rete. Citando le parole di un articolo di Stefano Rodotà, pubblicato su Repubblica dal titolo "Il buio dei diritti": "Nell’agenda della politica la questione dei diritti precipita agli ultimi posti, sopraffatta da altri imperativi, la sicurezza e l’efficienza in primo luogo". Tutto ciò mostra che proprio sul terreno del rispetto delle libertà fondamentali, è necessario individuare principi generali condivisi, da considerare come diritti personali, e come tali da salvaguardare e da difendere.
Internet Bill of Rights: come
Parlare di diritti di Internet e su Internet è una sfida complessa che non può trascurare la necessità di offrire agli utenti non solo la possibilità di accedere alla conoscenza elaborata da altri, ma anche di essere soggetti attivi della produzione dei sistemi di conoscenza della società globale. In poche parole, la proposta di una "carta costituzionale" della rete calata dall’alto non potrà mai rispecchiare pienamente ciò che oggi il web rappresenta, né potrà, probabilmente, essere qualcosa di realmente condiviso.
Ciò che occorre, invece, come è emerso dal Dialogue di Roma, è invertire l’approccio. Arrivare, cioè, a condividere delle valutazioni su principi generali attraverso una consultazione che sia il più possibile multi-stakeholder, che tradotto dal burocratese vuol dire lavorare affinché venga favorita la partecipazione di tutti i soggetti interessati nessuno escluso. In questo senso alcune importanti indicazioni sono già emerse dai lavori di Atene e riguardano l’accesso al sapere, la sicurezza della circolazione dei dati, il rispetto della privacy, la tutela dei minori e degli utenti più vulnerabili, la salvaguardia delle diversità e pluralità delle opinioni e la responsabilità dei contenuti.
Su alcuni di essi la giurisprudenza internazionale è già ad un buon livello, ad esempio il dibattito sulla protezione dei dati vede i ventisette stati dell’Europa, tutta l’america latina, l’area asia-pacifica ed il Canada sostanzialmente allineati sulle stesse posizioni. Inoltre sulla rete si possono già trovare una serie di proposte di regolamentazione sviluppate da diversi organismi ed organizzazioni. Un modo per procedere dunque potrebbe essere quello di realizzare una sorta di inventario di tutto questo materiale per individuare gli elementi portanti di questa Bill of Rights e, parallelamente, cominciare ad individuare i settori in cui provare a passare dalla pura autodisciplina ad un’autodisciplina certificata. È questo l’approccio multilevel, seconda caratteristica attribuita alla Internet Bill of Rights, oltre all’approccio multi-stakeholder.
La conferenza di Rio dovrebbe avere una funzione chiarificatrice, dunque, almeno su questi argomenti.
Un regno senza Re
Nel suo intervento a Roma Stefano Rodotà, per dare un’idea di quello che vorrebbe dire giungere alla Stesura di una Carta dei Diritti della Rete, ha citato la Magna Charta del 1215, che regolava il rapporto tra il sovrano d’Inghilterra e i suoi cavalieri sancendo i reciproci diritti e doveri. Nella Internet Bill of Right in realtà mancherebbe il re, e sarebbe proprio questa la novità, ossia la mancanza di un potere unico che possa impegnarsi da una parte e garantire dall’altra. Ciò rappresenta un’ulteriore difficoltà: a chi, dunque, andrà la competenza per dirimere controversie o per comminare sanzioni a chi viola la libertà digitale? A chi per i problemi di tipo economico o fiscale?
Qualcuno ha avanzato la proposta dell’ONU, ma la domanda allora diviene:
saranno disposti gli stati nazionali a concedere alle Nazioni Unite parte della propria sovranità?
Sono queste le questioni a cui occorrerà trovare una soluzione. Rio de Janeiro (novembre 2007) e Nuova Deli, le prossime tappe del confronto.