Volano i risultati dei certificati medici on line, ma è dibattito sul loro valore legale
Nasce un piccolo caso sui certificati medici on line, fiore all’occhiello delle iniziative di digitalizzazione dell’amministrazione pubblica avviate dal Ministro Brunetta. Per l’associazione ANORC la firma elettronica utilizzata dai medici per accreditarsi al sistema e inviare i certificati, non è equivalente alla firma digitale con valore legale. Pronta la replica del Ministero, ma il dibattito continua on line.
2 Dicembre 2010
Tommaso Del Lungo
Nasce un piccolo caso sui certificati medici on line, fiore all’occhiello delle iniziative di digitalizzazione dell’amministrazione pubblica avviate dal Ministro Brunetta. Per l’associazione ANORC la firma elettronica utilizzata dai medici per accreditarsi al sistema e inviare i certificati, non è equivalente alla firma digitale con valore legale. Pronta la replica del Ministero, ma il dibattito continua on line.
La storia è tanto recente quanto intricata. Il 30 novembre scorso, partecipando al convegno ”Information security hospital” svoltosi a Roma, l’avvocato Andrea Lisi, presidente dell’ANORC (Associazione Nazionale Operatori e Responsabili Conservazione digitale dei documenti), aveva sollevato alcuni dubbi sulla validità giuridica del certificato medico on line (introdotto con la Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri dell’11 marzo 2010 n. 1) e sulle procedure di conservazione. In particolare per Lisi quando il lavoratore riceve il certificato e lo stampa, in realtà stampa un pdf senza la firma digitale del medico. “Il medico – ha spiegato Lisi – per compilare il certificato, si deve autenticare al Sac (Sistema di accoglienza centrale) con una sorta di firma elettronica, ma non è una firma digitale”, tale documento, dunque, rischia d non avere alcun valore legale. Oltre a questo Lisi aveva messo in evidenza anche la questione della conservazione dei documenti digitali. La legge non specifica, infatti, chi sia incaricato di conservare i certificati, né, tantomeno, in che modalità.
Nello stesso giorno arriva la replica da Palazzo Vidoni nella quale si specifica che la nuova procedura è assolutamente in linea con il Codice dell’Amministrazione Digitale. “Il sistema di trasmissione – si legge nella nota ufficiale – consente al medico l’invio telematico del certificato di malattia attraverso la Carta nazionale dei servizi o apposite credenziali di accesso (costituite da un codice identificativo e da un pincode) che garantiscono l’identificazione certa dell’autore. Lo stesso CAD riconosce ai dati così trasmessi la piena validità come documento informatico. La copia cartacea rilasciata dal medico al lavoratore, ovvero la copia pdf che il lavoratore può “scaricare” in qualunque momento tramite il sito dell’Inps, rappresenta, invece, sola una copia del documento informatico inviato” . A proposito dei dubbi espressi da Lisi circa la conservazione dei certificati di malattia inviati in modalità telematica, invece, si risponde che essa “è garantita dai sistemi informativi dell’Inps”.
Immediatamente dopo, segue il comunicato che riporta i dati di sintesi dell’iniziativa: 180.000 certificati solo nell’ultima settimana (di cui 45.329 nelle ultime 24 ore), per un totale di oltre 1,9 milioni di certificati. Più di un certificato medico su due (57%) inviato all’INPS è un certificato digitale.
Le spiegazioni giunte da Palazzo Vidoni non sono sembrate, però, rassicuranti all’ANORC, che oggi ha, infatti, rilasciato un comunicato: “i certificati medici on line, così come sviluppati dalla normativa regolamentare – si legge – rischiano di non essere in linea con la normativa primaria attualmente contenuta nel Codice dell’Amministrazione Digitale; le precisazioni che arrivano da Palazzo Vidoni non rassicurano per nulla su una procedura che è nata monca, cioè senza firma digitale, la quale è l’unico sigillo informatico in grado di garantire a documenti delicati come i certificati medici piena validità legale”.
Il punto nevralgico di tutta la procedura, per Lisi è che, come ricordato nella nota del Ministero, il sistema consente solo l’autenticazione del medico, mentre non permette la “sottoscrizione” del documento, necessaria ai fini giuridici. Lisi continua affermando che “i documenti informatici privi di firma digitale e semplicemente firmati elettronicamente (esattamente come avviene per il certificato medico n.d.r.) sono liberamente valutabili dal giudice”.
“Infine – prosegue Lisi – nulla è stato spiegato sulle regole di conservazione di questi documenti firmati che dovrebbero essere custoditi nel tempo, con i relativi metadati, i quali consentirebbero nel tempo la verifica della firma elettronica del medico. Si è detto semplicisticamente che i documenti firmati verrebbero garantiti dai sistemi informativi dell’INPS! Ma in questo modo si ammette candidamente che si sta violando proprio la normativa primaria, perché non si è sviluppato il sistema di conservazione digitale a norma di questi documenti informatici, come previsto dall’art. 44 del CAD”.
A prima vista sembrerebbe una questione di scarso interesse per il cittadino che potrebbe chiedersi: “Perché discutere tanto se effettivamente il servizio funziona e semplifica la vita di ciascuno di noi?”.
L’intento di Lisi, occorre precisarlo, non è assolutamente quello di mettere i bastoni tra le ruote alla semplificazione. Anzi egli stesso si dichiara certo delle buone intenzioni del Dipartimento per la pubblica amministrazione e l’innovazione. La questione, allora, si potrebbe riassumere pensando alla differenza tra prevenire e curare. Per Lisi e l’ANORC (che egli rappresenta), le attività avviate con la circolare n°1 dell’11 marzo 2010 rischiano di risultare nulle ai fini giuridici e, in futuro, torcersi contro i cittadini stessi che ne hanno usufruito. Pertanto meglio intervenire ora, che in futuro.
Utilizzando le parole di Rossella Bonora responsabile del progetto di dematerializzazione interregionale per l’Emilia Romagna potremmo dire che la digitalizzazione dei documenti è un processo che va considerato come un unicum che parte dalla creazione del documento ed arriva alla sua conservazione permanente, passando per la gestione corrente. Affrontarlo in maniera parcellizzata vuol dire solo mettere in crisi il funzionario pubblico che si trova con le richieste del cittadino da una parte e la norma che gli impone una certa prassi dall’altra.
Non possiamo che chiudere augurandoci che queste e le altre incongruenze relative alla gestione elettronica dei documenti amministrativi vengano chiarite definitivamente nella nuova versione del Codice dell’Amministrazione Digitale, la cui bozza, nonostante alcuni limiti, era già pronta a gennaio scorso.