We need standards, international standards
We need standards, international standards – Abbiamo bisogno di standard, standard internazionali. Così Tim Berners-Lee ha chiuso il suo intervento all’Open Government Data Camp di Londra. Standard per aprire i dati, standard per classificarli, standard per creare piattaforme che possano comunicare tra loro e che ci permettano di mettere in relazione le informazioni. Un messaggio chiaro lanciato del padre del WEB e, come qualcuno ha detto al Camp, padre un po’ di tutto il “popolo della Rete”.
25 Novembre 2010
Lorenzo Benussi, Federico Morando e Michele Barbera*
We need standards, international standards – Abbiamo bisogno di standard, standard internazionali. Così Tim Berners-Lee ha chiuso il suo intervento all’Open Government Data Camp di Londra. Standard per aprire i dati, standard per classificarli, standard per creare piattaforme che possano comunicare tra loro e che ci permettano di mettere in relazione le informazioni. Un messaggio chiaro lanciato del padre del WEB e, come qualcuno ha detto al Camp, padre un po’ di tutto il “popolo della Rete”.
Prima di lui il primo ministro Cameron, con un video messaggio, ha espresso chiaramente la sua determinazione nel realizzare il diritto ai dati. Complementare al diritto all’informazione, esso riguarda la libertà di vedere e soprattutto usare i dati pubblici per capire e gestire sempre meglio l’organizzazione pubblica; per dare la possibilità a chiunque di controllare e soprattutto di collaborare a trovare le soluzioni. In pratica, ha spiegato poi il Ministro Francis Maude – Minister for the Cabinet Office – nel suo discorso, il governo pubblicherà su Internet tutte le spese superiori ai 25K£ lanciando apertamente una sfida al mondo della rete perché trovi i problemi e proponga le soluzioni.
UK, Norvegia, Finlandia, Svezia, Francia, Germania, Italia, Messico, Cile, Lituania, Cina, Brasile, US sono solo alcuni dei paesi che erano rappresentati al OGDC. Paesi dove stanno nascendo progetti Open Data sia dai governi sia dalla società civile, dall’alto e dal basso. Un’onda che sta montando velocemente.
Tim Berners-Lee ha suggerito di fare un ulteriore passo avanti trasformando gli Open Data in Linked Open Data. Collegare tra loro i dati prodotti da diversi attori e descriverne la semantica utilizzando opportuni vocabolari, permetterebbe di confrontare e incrociare facilmente dati provenienti da diverse fonti, ad esempio le spese in ricerca in UK e in Cina o il costo del sistema sanitario nazionale in Italia e in Francia.
Berners-Lee ha tenuto a sottolineare come questo ulteriore passo possa essere compiuto contemporaneamente sia sul piano locale, sia su quello nazionale e internazionale, dall’alto e dal basso, nel settore pubblico e in quello privato. Creare una rete di Linked Open Data significa accrescere il valore dei dati, calandoli in un contesto più ampio, significa poter realizzare applicazioni che utilizzino dati governativi incrociandoli con dati provenienti da ogni segmento della società civile, della comunità scientifica e del settore privato, dalla scuola, dalla cultura, dallo sport.
Una buona parte del dibattito tenutosi durante la due giorni londinese ha evidenziato come l’impatto degli Open Data non sia limitato a facilitare la trasparenza delle amministrazioni, ma sia in grado di creare un vero e proprio ecosistema capace di produrre valore. Ed è proprio su questo punto che, indipendentemente dall’orientamento politico, i governi di molti paesi hanno deciso di abbracciare la visione di "Open Data che, alla pari della rete elettrica e stradale, siano concepiti come un’infrastruttura pubblica, aperta e condivisa".
Molto lavoro è stato già fatto e la comunità è aperta e pronta a ulteriori collaborazioni. Esistono definizioni e manuali sull’open data, classificazioni sulla qualità tecnica dei dati e linee guida per creare piattaforma di raccolta e distribuzione. Non è necessario pensare a qualcosa di totalmente nuovo, reinventare la ruota, basta partecipare a quanto sta avvenendo a livello internazionale, adottare gli standard e adattare i modelli alle peculiarità nazionali. Questo non significa appiattirsi sulle soluzioni altrui, ma seguire un approccio modulare ed aperto, sia al riuso delle soluzioni altrui che alla condivisione delle proprie. Col vantaggio che così facendo non si resta soli, ma si può contare su un supporto globale, costruendo sull’esperienza degli altri.
Questo vale anche in Italia dove, forse più che in altre paesi, è necessario essere lucidi, determinati e concreti. In questi ultimi mesi – e molto probabilmente con più forza l’anno prossimo – il modello open data è diventato finalmente un argomento importante. Gruppi e associazioni, PA e società civile hanno cominciato a lavorare per “liberare” i dati ma è necessario seguire la comunità internazionale che è molto avanzata non fosse altro per l’impegno che altri governi stanno spendendo su questo tema. Non facciamo l’errore di reinventare la ruota con il rischio che sia adatta solo alle nostre strade.
*Lorenzo Benussi, Consorzio TOP-IX (www.top-ix.org)
Federico Morando, NEXA Center for Internet & Society (http://nexa.polito.it/staff#morando)
Michele Barbera, Net7 (www.netseven.it)