La coesione da riformare in Italia e in Europa
La capacità di cogliere le opportunità di una profonda riforma, sia a livello europeo che nelle sue declinazioni attuative nazionali, sarà decisiva proprio per difendere l’esistenza stessa di una politica a livello europeo volta alla coesione economica e sociale dei territori più deboli
25 Marzo 2025
Luca Bianchi
Direttore Generale Svimez

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Questo articolo è tratto dal capitolo “PNRR e Coesione” dell’Annual Report 2024 di FPA (la pubblicazione è disponibile online gratuitamente, previa registrazione)
Le politiche di coesione, sia quelle europee che quelle nazionali, sono un cantiere aperto. La crisi Covid e poi lo shock inflazionistico della guerra in Ucraina hanno rappresentato stress-test impegnativi, ma l’esperienza del programma europeo Next Generation UE ha fatto emergere l’urgenza di un profondo ripensamento dell’intero impianto strategico e attuativo.
Il 31 dicembre 2023 si è concluso, almeno per quel che riguarda il periodo di ammissibilità della spesa, il ciclo 2014-2020 delle politiche di coesione europee, che ha risentito sia dell’emergenza energetica seguita all’invasione da parte della Federazione russa dell’Ucraina, sia, soprattutto, della crisi sanitaria e socioeconomica conseguente la pandemia Covid-19. La circostanza che i programmi stiano continuando a certificare la spesa comporta che, al momento, non sia possibile verificare il raggiungimento degli obiettivi finali.
Le modifiche regolatorie introdotte dalle Istituzioni europee, tese a consentire un utilizzo sempre più flessibile delle risorse con finalità di contrasto all’emergenza sanitaria e a quella energetica, hanno spinto la politica di coesione a “fare troppo” e, spesso, “a fare altro”, a scapito del loro efficace utilizzo, come spesso accade quando gli obiettivi da perseguire sono superiori agli strumenti a disposizione. L’esperienza di questi decenni ha inoltre evidenziato specifiche criticità nel nostro Paese, sia in termini di effettivo impatto sulla convergenza economica e sociale dei territori in ritardo di sviluppo, sia nel rafforzare la capacità amministrativa delle amministrazioni coinvolte.
La programmazione nazionale del Fondo Sviluppo Coesione, oggetto negli ultimi anni di diverse riforme spesso contraddittorie, ha fatto emergere i medesimi limiti sia in termini di capacità di spesa che di deviazione dagli obiettivi originari per rispondere a necessità congiunturali, soprattutto nelle fasi di crisi. In questo quadro, gli interventi legislativi più recenti si sono concentrati sull’obiettivo di conseguire un maggiore coordinamento tra i diversi livelli di governo responsabili degli interventi delle diverse programmazioni con finalità di riequilibrio territoriale (politica di coesione, europea e nazionale, e PNRR), attraverso la concentrazione a livello centrale dei luoghi decisionali e attuativi delle politiche aggiuntive.
Questa esigenza di coordinamento è maturata successivamente all’avvio del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), e resa ancor più cogente dalle criticità attuative del Piano e dalle necessità di revisioni. In particolare, il Decreto “Sud” (Decreto-legge 124/2023) ha previsto appositi accordi (Accordi per la coesione), in sostituzione dei Piani di Sicurezza e Coordinamento (PSC), da sottoscrivere tra la Presidenza del Consiglio dei ministri e le Regioni nei quali vengono individuati gli interventi da finanziare con il Fondo sviluppo e coesione (FSC); successivamente, il Decreto “Coesione” (Decreto-legge 60/2024), in attuazione della Riforma prevista dal PNRR, è finalizzato ad accelerare l’attuazione e l’efficienza della politica di coesione in complementarità con il Piano. Il Decreto “Coesione”, ai fini di “un più efficiente utilizzo delle risorse della coesione”, adotta infatti un modello di definizione di interventi prioritari, prevedendo per ciascuno di essi un sistema di monitoraggio rafforzato. I progetti prioritari sono individuati sulla base di alcuni criteri ampi, tra cui lo stato di progettazione e attuazione delle iniziative, la complementarità con progetti del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC), la possibilità di contribuire alla riduzione dei divari, la promozione della transizione verde e digitale, la coerenza con il Piano strategico della Zes Unica e con la Strategia delle aree interne.
Si tratta di interventi, più ampiamente dettagliati nell’ultimo Rapporto 2024 della SVIMEZ, che vanno nella giusta direzione di rafforzare il coordinamento nazionale e il monitoraggio della qualità e dell’avanzamento degli interventi contenuti nei vari Programmi. Tuttavia, tali interventi vanno ulteriormente implementati, sia per rendere più cogenti tali funzioni di coordinamento e indirizzo, sia nella prospettiva che difficilmente l’effettivo rafforzamento della capacità di spesa possa realizzarsi in tempo utile.
In sintesi, la riforma italiana, sia pur ancora incompleta, potrebbe rappresentare un nuovo potenziale punto di svolta delle politiche di sviluppo italiane, segnate, nella loro lunga e accidentata storia, da un continuo oscillare tra localismo e centralismo e da una conseguente crescente conflittualità tra centri e periferie amministrative.
Tale riforma però rischia di essere inefficace se non è inserita nel più ampio quadro del dibattito sul nuovo quadro finanziario pluriennale del bilancio europeo e sulle proposte di regolamento per il ciclo 2028-2034 dei fondi per la coesione.
Le nuove priorità dell’agenda Europea rischiano infatti di determinare una contrazione del peso relativo delle risorse per la coesione all’interno del bilancio, mentre la recente esperienza del dispositivo di ripresa e resilienza potrebbe portare a importanti revisioni su approccio e governance di questa politica.
È pertanto importante aprire il prima possibile un dibattito a livello nazionale su quelle che dovrebbero essere le priorità italiane nei prossimi negoziati. Un dibattito che si è avviato in Europa con la pubblicazione del Report Forging a sustainable future together: cohesion for a competitive and inclusive Europe, predisposto dall’High-level group on the future of cohesion policy, un gruppo indipendente di esperti individuati dalla Commissione europea non ha, sino ad ora, trovato grande interesse in Italia.
La capacità di cogliere le opportunità di una profonda riforma, sia a livello europeo che nelle sue declinazioni attuative nazionali, sarà decisiva proprio per difendere l’esistenza stessa di una politica a livello europeo volta alla coesione economica e sociale dei territori più deboli. È necessario, come Paese, riaffermare a livello europeo che il contrasto ai differenziali di sviluppo socioeconomico tra centro e periferie nelle grandi metropoli; tra grandi centri urbani e aree rurali; tra Regioni più e meno sviluppate; tra Regioni più o meno dinamiche – non risponde solo a finalità di equità, ma è parte di una strategia di recupero di competitività dell’UE nel suo complesso.
Un tema che sembra centrale nelle raccomandazioni dell‘High-level group on the future of cohesion policy sulle innovazioni di metodo per il post-2027 è l’adozione di una programmazione degli interventi basata sull’approccio performance-based tipico del Ngeu. Non più, solo, certificazione della spesa “cieca” rispetto ai risultati, ma obiettivi da conseguire individuati ex ante sulla base di una mappatura dei fabbisogni diversificati e delle specifiche situazioni delle regioni destinatarie delle risorse.
In questo quadro, un recente contributo della Svimez ha analizzato la coerenza del metodo PNRR con la posizione del Consiglio europeo sul futuro delle politiche di coesione [1]. La verifica ha dato un esito positivo, evidenziando, tuttavia, i casi e le modalità con cui il metodo dovrebbe essere adeguato e migliorato rispetto all’attuale schema, per adattarsi al meglio ai principi della coesione.
La possibile messa in atto del metodo PNRR, nell’ottica di una crescente complementarità e sinergia tra la politica di coesione e altre politiche e iniziative europee, dovrebbe partire da un negoziato sui regolamenti che proceda di pari passo con i percorsi nazionali di partenariato. In luogo delle attuali strategie generali e ambiti tematici su cui allocare le risorse, l’Accordo di partenariato dovrebbe contenere, in analogia con Ngeu, precisi target quantitativi, fissati a livello quantomeno regionale (anche in caso di programmi nazionali), accompagnati da milestone da raggiungere nel corso della programmazione che presentino una connotazione territoriale, soprattutto in tema di riforme della regolazione dei servizi pubblici locali, di prestazione dei servizi essenziali (in primis istruzione e salute) e di rispetto delle direttive europee. Il pagamento delle varie rate annuali delle risorse sarebbe pertanto subordinato al raggiungimento di obiettivi di investimento e sviluppo declinati a livello territoriale, alle riforme nazionali, alla riforma e all’erogazione di servizi regionali e locali rispettosi di precisi standard qualitativi e alla risoluzione delle procedure di infrazione a carico delle varie Regioni.
Si tratterebbe sicuramente di un approccio in profonda discontinuità con il passato, più rigido rispetto all’attuale, ma che ridurrebbe fortemente la discrezionalità nella scelta degli interventi da finanziare da parte delle amministrazioni che gestiscono i programmi e delle istituzioni da cui dipendono.
Andrebbero tuttavia preservate diverse caratteristiche qualificanti delle politiche di coesione, alle quali è assolutamente necessario adeguare il metodo PNRR. Ad esempio, tale metodo, grazie alla definizione di precisi interventi su obiettivi verificabili, potrebbe rendere più pervasivo sia il contributo partenariale in sede di proposte e monitoraggio, sia la percezione e la possibilità di verifica dei risultati delle politiche di coesione da parte dei cittadini, avvicinandoli a comprenderne il valore.
Per quel che concerne l’Italia e la sua difficoltà nello sviluppare approcci place based nella definizione e programmazione della politica di coesione europei e nazionali, il metodo PNRR consentirebbe un cambiamento di paradigma, assegnando agli attori locali il ruolo chiave di individuazione dei fabbisogni e dei conseguenti obiettivi specifici da perseguire, di attuazione condivisa con il livello centrale degli interventi e di monitoraggio della loro realizzazione.
Il metodo PNRR dovrebbe invece mutuare dalla coesione i criteri per la ripartizione delle risorse tra le diverse categorie di Regioni e la focalizzazione sulla necessità di prevedere il raggiungimento degli obiettivi anche a livello locale e tenendo conto dei diversi fabbisogni e capacità amministrative dei territori. Fabbisogni per i quali, ove particolarmente acuti, andrebbero previsti obblighi di concentrazione tematica anche al di fuori dei tradizionali ambiti digitali e verdi.
Permane, infine, il dilemma relativo al modello di governance che dovrebbe caratterizzare il metodo PNRR applicato alla coesione. Al riguardo, le conclusioni del Consiglio europeo e la posizione più volte assunta dalla Commissione sul tema non lasciano spazio a una nuova politica di coesione che non riservi un ruolo chiave agli enti territoriali e alla governance multilivello. In tal senso, una governance multilivello potrebbe consentire il superamento dei non pochi limiti mostrati dall’attuale PNRR quando si è trattato di definire le modalità sia di riparto regionale delle risorse, sia di effettuazione degli interventi nei territori. In entrambi i casi sono risultati evidenti i limiti legati all’assegnazione delle risorse sulla base di procedure competitive che non tenessero conto degli effettivi fabbisogni e capacità amministrative locali. Il risultato è stato spesso la scarsa coerenza tra allocazione delle risorse e fabbisogni.
Un PNRR della coesione, che coordini risorse europee e fondi nazionali, ha bisogno di una governance multilivello, in cui assumano maggior ruolo i Comuni, ai quali però va garantito un deciso rafforzamento amministrativo.
Infine, andrebbe posto in Europa così come in Italia, con più coraggio, il tema del coordinamento tra la coesione e la governance macroeconomica complessiva, perché la politica di coesione non può essere lasciata “sola” a perseguire la riduzione dei divari che le politiche ordinarie spesso contribuiscono ad amplificare.
Questo è un punto cruciale in un tornante che vede una rivisitazione complessiva delle policy europee. È perciò necessario intrecciare il dibattito sul futuro della coesione con le proposte emerse dal rapporto Draghi e dal Rapporto Letta sul futuro della Competitività dell’UE e del Mercato Unico.
Gli obiettivi di riduzione dei divari territoriali, della perequazione infrastrutturale, di assicurare servizi omogenei e di qualità, di accompagnare le Regioni meno sviluppate nel percorso della doppia transizione sono pertanto perseguibili solo attraverso un approccio complementare con le altre politiche europee e vanno supportate, contrariamente a quanto avvenuto nel recente passato, con coerenti interventi delle politiche nazionali.
[1] L. Bianchi e F. Ferrara (2024), Presente e futuro delle politiche europee per la coesione, Quaderni Svimez, n. 70.