Le Case delle Tecnologie Emergenti: quando i Comuni incontrano con successo l’innovazione
Le risorse, le dimensioni, la struttura e la cultura delle organizzazioni coinvolte: tutti questi fattori sono risultati importanti per il successo delle CTE. Le partnership realizzate hanno contribuito a consolidare il processo di sviluppo e prodotto alla fine un legame tra Comuni e innovazione
9 Aprile 2025
Giampiero Pepe
Professore di Fisica Sperimentale della Materia e Applicazioni, Dipartimento di Fisica "E. Pancini" dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, e Responsabile Scientifico Casa delle Tecnologie Emergenti di Matera

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Questo articolo è tratto dal capitolo “PNRR e Coesione” dell’Annual Report 2024 di FPA (la pubblicazione è disponibile online gratuitamente, previa registrazione)
Fare innovazione significa creare o adottare nuove idee, approcci o tecnologie: c’è della creatività intrinseca nella stessa definizione. Si può fare innovazione di prodotto o di servizio, di processi, o addirittura di concetti se si pensa alla definizione di nuovi paradigmi di aiuto nella soluzione di problemi. Talvolta si ritiene che l’innovazione sia appannaggio principalmente di attori che operano nella Ricerca e Sviluppo (R&S) privata, mostrando diffidenza verso il settore pubblico.
I Comuni, che non sono storicamente considerati il terreno più fertile per fare innovazione tecnologica, hanno però un ruolo centrale nella conoscenza e gestione dei propri territori, dovendo provvedere alla gestione dei servizi diretti ai cittadini.
Un ruolo attivo dei Comuni nei processi di innovazione tecnologica è quindi auspicabile, se non necessario o addirittura obbligatorio, per l’impatto che tale presenza può avere in tutti quei processi che avvicinano le tecnologie alle esigenze di una comunità, con un continuo e sinergico confronto con altri soggetti pubblici e privati.
Ma quanto è difficile promuovere un modello di innovazione centrato sui Comuni e attivo su un territorio nazionale pensando alle loro diversificazioni per vocazione territoriale, distribuzione della ricchezza pro-capite, impatto industriale e forme di accompagnamento alla imprenditorialità?
Tra le varie soluzioni adottate negli anni per coniugare il ruolo degli enti locali con l’innovazione tecnologica e il suo sviluppo sul territorio, il programma delle Case delle Tecnologie Emergenti (CTE) nato dalla intuizione del Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT), già Ministero per lo Sviluppo Economico (MISE), e finanziato all’interno del “Programma di supporto alle tecnologie emergenti 5G”, necessita di un’attenzione particolare, perché non solo ha avuto caratteristiche di sistema (il programma ha finanziato 13 CTE in 12 Regioni) ma perché ha dato ai Comuni interessati un ruolo di indirizzo e coinvolgimento del territorio, per far sì che le tecnologie emergenti diventassero uno strumento di promozione dello sviluppo degli ecosistemi territoriali, intorno a cui creare sinergie e infrastrutture specializzate.
Al netto delle inevitabili differenze e problematiche sorte per un processo che però aveva del rivoluzionario viste le premesse, ne sono scaturite amministrazioni arricchite in qualità, capaci di dare ai cittadini servizi tecnologici più accurati e affidabili, garantendo alle imprese l’accesso a strutture tecnologicamente d’avanguardia, mediante l’avvio di percorsi di accompagnamento indirizzati a rispondere adeguatamente alle esigenze del territorio.
Il programma CTE
A partire dal 2019 il MIMIT ha finanziato il progetto Case delle Tecnologie Emergenti (CTE), veri e propri centri di ricerca, sperimentazione e trasferimento tecnologico che perseguono progetti orientati all’impiego delle tecnologie emergenti a supporto delle reti di nuova generazione. Essi sono dei presidi diffusi sul territorio che, seguendo un modello hub and spoke, puntano ad essere un punto di riferimento per l’Ecosistema dell’Innovazione locale. Ciascuna CTE opera con un partenariato vario, composto dal Comune di riferimento (capofila), enti di ricerca pubblici e privati, università e partner industriali. L’obiettivo è quello di proporre e sviluppare soluzioni innovative applicabili a realtà come start-up e Piccole e medie imprese (PMI) su tutto il territorio nazionale anche grazie ad azioni di accelerazione. L’obiettivo è quello di supportare la crescita dell’ecosistema degli Innovation stakeholder della filiera locale e interconnetterli a quella nazionale ed europea facendo leva sulle seguenti attività:
- perseguire la creazione e lo sviluppo di soluzioni innovative mediante l’integrazione tra reti 5G e tecnologie emergenti;
- creazioni di percorsi di accelerazione e incubazione per start-up e PMI Innovative;
- supportare il trasferimento tecnologico da realtà più innovative come start-up verso i soggetti che sono interessati ad applicare le innovazioni (es. imprese e Pubbliche Amministrazioni).
L’avvio della prima CTE è stato finanziato a fine 2019, presso il Comune di Matera. Successivamente, tramite due avvisi pubblici sono stati approvati i progetti di altre 12 case in totale: nel 2020 quelli presentati dai Comuni di Bari, L’Aquila, Prato, Roma e Torino, nel 2022 quelli dei Comuni di Bologna, Cagliari, Campobasso, Genova, Napoli, Pesaro e Taranto, con un forte indirizzo sullo sviluppo delle tecnologie emergenti in ambiti legati all’utilizzo della Blockchain, intelligenza artificiale (IA), realtà aumentata, virtuale e immersiva, Internet of Things (IoT) e Tecnologie Quantistiche per l’industria dell’audiovisivo, la mobilità, l’industria creativa, la robotica industriale.
Ad oggi il MIMIT grazie al supporto di Fondazione Ugo Bordoni, ha riscontrato attività su 149 Call di Reclutamento e servizi erogati, 587 start-up/PMI supportate, 168 pubblicazioni scientifiche, 485 eventi organizzati, 154 percorsi didattici/formativi organizzati, 111 percorsi/iniziative per internazionalizzazione avviati, in riscontro al totale di fondi allocati di 120 milioni di euro.
Gli stati di avanzamento e le valutazioni di impatto hanno restituito una fotografia dei temi esplorati dalle CTE riconducibili a cinque principali macroaree: guida autonoma/droni, smart city, mobilità, smart services, e industria 4.0, ognuna con molteplici diramazioni tematiche. Il monitoraggio ha evidenziato fattori di successo e di rischio per una esperienza che resta comunque un unicum a livello internazionale tra i partenariati avviati tra enti pubblici, privati e università per collaborare in attività di ricerca applicata e trasferimento tecnologico. Dai dati raccolti analizzando l’esperienza di ciascuna CTE appare chiara l’importanza di disporre di una forte capacità manageriale nella gestione di fattori tecnologici (i.e. investimenti infrastrutturali, use case sviluppati, rapporti con le imprese), e di fattori di promozione organizzativi e ambientali, legati in molti casi alle condizioni del contesto amministrativo, culturale o geografico in cui esse operano.
La motivazione all’innovazione è apparsa piuttosto diversificata sul territorio nazionale a dimostrazione di una forte dipendenza dalle dinamiche proprie delle realtà locali di riferimento. Una regia convincente nell’indirizzo delle CTE può agire come efficace bilanciamento rispetto ai limiti che talvolta rallentano l’azione progettuale, la sperimentazione e l’assunzione dei rischi necessari per una buona innovazione.
Le risorse, le dimensioni, la struttura e la cultura delle organizzazioni coinvolte sono anche fattori risultati importanti per il successo delle CTE: le partnership realizzate hanno contribuito a consolidare il processo di sviluppo e prodotto alla fine un legame tra Comuni e innovazione. Coniugare l’innovazione con la cultura dell’organizzazione, con l’apertura verso nuove idee, strumenti o pratiche resta comunque un obiettivo interno da attenzionare nel futuro. Decisivo è risultato anche il contesto ambientale in cui le CTE hanno lavorato: l’offerta di opportunità e/o di vincoli per l’innovazione ha finito per influenzare le condizioni operative, garantendo maggiori possibilità in presenza di ambienti e bisogni più complessi e più preparati a misurare il ruolo delle tecnologie innovative.
Tutte le CTE sviluppano, testano e implementano nuove tecnologie per favorirne la diffusione in sinergia e collaborazione con gli European Digital Innovation HUB (EDIH) e i Competence Center nazionali che si occupano di formazione e sviluppo competenze, oltre che di sostegno all’accesso ai finanziamenti e ai bandi europei di R&S. Tra le iniziative supportate dal Governo a sostegno della transizione digitale, ci sono parziali sovrapposizioni tra gli strumenti in gioco in termini di obiettivi/servizi, che richiamano un necessario approfondimento per circoscrivere meglio gli obiettivi attraverso riforme ad hoc.
Notevole è, in questo panorama, il contributo che le CTE possono dare al potenziamento dei servizi tecnologici avanzati a beneficio delle aziende, grazie alla loro vocazione fortemente territoriale che consente di focalizzarsi su tecnologie e specializzazioni produttive di punta, accesso ai finanziamenti, sostegno finanziario e operativo allo sviluppo di progetti innovativi, intermediazione tecnologica in risposta alle esigenze locali.
Le CTE hanno le carte in regola per essere un’operazione di pieno successo: vanno create solo migliori condizioni perché un’amministrazione comunale non senta troppo il peso delle procedure, e riesca a porre la giusta attenzione ai risultati dell’innovazione da perseguire e alla costruzione di nuove competenze legate allo sviluppo tecnologico. Una sfida impegnativa.
What next?
Il progetto CTE, all’ultima annualità del suo percorso, ha visto investimenti importanti per raccogliere sfide altrettanto importanti. Lungi dal fare bilanci o analisi quantitative definitive, può essere utile riflettere su come eventualmente migliorare l’iniziativa e il suo sviluppo. D’altro canto, il recente riconoscimento nel Digital Decade 2024: Country reports | Shaping Europe’s digital future della Commissione Europea testimonia come le CTE costituiscano un importante strumento per l’attuazione e lo sviluppo di prestazioni digitali dell’UE e dei suoi Stati membri in relazione agli obiettivi stabiliti dal Digital Decade Policy Programme (DDPP) entro il 2030. E quindi proviamo a pensarne il futuro.
Partirei proprio dalle difficoltà incontrate da parte di alcune strutture amministrative dei Comuni: la gestione del territorio connessa con l’innovazione, peraltro avanzata, richiede un approccio gestionale diverso e bisogna pensare a procedure che rendano i Comuni più vicini ad una gestione snella e flessibile tipica delle strutture private, mediante la costituzione di uffici segnatamente con questo scopo, dove il raggiungimento dell’obiettivo è facilitato da procedure semplificate o calibrate alla natura tecnologica degli interventi.
Le CTE dispongono di laboratori high-tech coerenti con il progetto: l’intuizione è stata assolutamente significativa perché ha puntato a creare mini-infrastrutture sul territorio basate su tecnologie emergenti e dare così a PMI e start-up la possibilità di testare, sviluppare prodotti per il mercato senza esporsi con propri, talvolta impossibili, investimenti. Ma la gestione dei laboratori resta oggi un tema ancora aperto: i partner accademici sanno molto bene che i laboratori richiedono una costante attenzione per assicurarne il funzionamento, continui investimenti per garantirne l’upgrade tecnologico, e convincenti business plan per coprirne i costi di gestione, personale e sviluppo. Il rischio è quello di incorrere nella disillusione di avere bellissime strutture che però vivono il tempo del progetto, perdendo subito la carica di innovazione iniziale.
La domanda successiva diventa allora: come trovare risorse per un corretto piano di gestione? La risposta più semplice sarebbe quella di ottenere fondi aggiuntivi dal Governo centrale. Ma chi opera nel settore delle tecnologie innovative sa che la garanzia incondizionata di fondi non è sempre l’arma vincente perché il sistema necessita di mettersi in gioco, di sviluppare una progettualità su base competitiva e di investimenti privati disposti a credere nel potenziale delle CTE. La partecipazione a progetti internazionali rappresenta anche un valido strumento di validazione delle attività condotte, un indicatore del livello di avanguardia tecnologica raggiunta e di come essa si colloca in contesti extra-territoriali.
Le CTE rappresentano una forte espressione del proprio territorio e questo le rende un interlocutore importante nell’articolata rete sviluppata dal MIMIT. Ma non devono essere l’ennesimo attore che recita su uno stage territoriale già affollato con in mano il copione della Ricerca & Sviluppo, perché ci sono altri organismi competitor che su questo piano vantano esperienza e forte competenza. E allora come e dove collocarsi? Le CTE traggono la loro forza dalla possibilità che esse hanno di (di)mostrare un ampio parco strumentazione & laboratori, attraente soprattutto perché esso è legato a settori tecnologicamente molto avanzati (e.g. realtà aumentata e automazione industriale, robotica e tecnologie quantistiche) dove le imprese, soprattutto PMI e start-up, potrebbero avere difficoltà ad attrezzarsi.
L’obiettivo è consolidare il ruolo delle CTE come ecosistemi tangibili di realtà imprenditoriali innovative, nonché centri di responsabilizzazione per le amministrazioni locali, in quanto capaci di coniugare le competenze scientifiche dell’università e dei centri di ricerca con le esigenze del tessuto imprenditoriale e dei settori che si ritengono strategici, al fine di aumentarne la competitività nonché rendere più salda la rete che si costituisce e favorire uno scambio virtuoso di best practice anche per nuove progettualità.
Ma una localizzazione troppo accentuata di queste risorse potrebbe costituire un limite al loro sviluppo perché rischierebbero di soddisfare la mera domanda del territorio di riferimento. Occorre allora creare condizioni organizzative per una strutturale integrazione tra le CTE che porti ad un uso condiviso delle strumentazioni, soprattutto tra CTE tematicamente affini. Questo darebbe il vantaggio di fare massa critica rispetto al mondo industriale avvicinato e/o coinvolto. Di conseguenza, gli indirizzi tematici diventano importanti per dare forza agli assets realizzati dalle CTE. Magari si potrebbe cominciare a ragionare su cluster del tipo:
- creative Industry, i.e. soluzioni di gaming e gamification, soluzioni immersive per la fruizione cultuale;
- smart city, i.e. risk e structural monitoring, monitoraggio e servizi ambientali, city lightning;
- smart services, i.e. AI-based health support, AR app, drone-based monitoring;
- quantum technologies, i.e. applicativi basati su algoritmi ibridi HPC + Quantum, reti di comunicazione quantistica e applicazioni;
- mobility, i.e. gestione traffico urbano, car parking, vehicle charging, gestione servizi trasporto, drone-based delivery, trasporto multimodale.
Ma è chiaro che qualunque sia la suddivisione tematica sarà importante raccordare i raggruppamenti con una governance per il coordinamento progettuale tra le CTE coinvolte, riducendo il rischio di un appiattimento generalista sui propri territori e dinamiche economiche. Anche investimenti maggiori su settori innovativi e poco considerati come robotica, biotech, blockchain e tecnologie quantistiche andrebbero pensati ad hoc in una logica di estensione dei partenariati e coinvolgimento dei campioni nazionali.
Vorrei tornare su un elemento a mio avviso molto importante per il futuro di questa iniziativa, i.e. l’internazionalizzazione delle attività. La prima fase della vita delle CTE non ha probabilmente investito tanto in questa direzione, salvo qualche bella eccezione – esempio e stimolo per tutte le CTE – che ha cercato il coinvolgimento anche di startup d’Oltralpe e promosso progettualità europea di qualità. L’internazionalizzazione dei servizi deve puntare ad aprire i demoLab a sperimentazioni anche dall’estero attraverso joint actions con altri attori internazionali del trasferimento tecnologico che operano su tematiche affini. Internazionalizzare deve essere anche promozione delle nostre start-up su importanti piazze internazionali e contaminazione tecnologica per superare il rischio di auto-referenzialità, potenziando un percorso già comunque avviato.
Questo aspetto, per quanto auspicabile, pone dei quesiti a cominciare dalla gestione della proprietà intellettuale nel momento in cui si pensa di sviluppare prodotti con start-up non italiane. È uno dei punti chiave su cui riflettere nei prossimi mesi, perché le tecnologie emergenti non dovrebbero essere troppo limitate nel loro sviluppo da confini geografici. Il contesto UE può sicuramente fornire un aiuto in tal senso: partecipare alle infrastrutture europee, avere contatti proficui di scambi e progetti con grandi realtà internazionali che operano in settori affini, legarsi in modo profondo al settore della IA per potenziare o cambiare i paradigmi su nuovi mercati, sono alcune, possibili azioni a cui ispirare il rilancio e il potenziamento anche internazionale.
Le CTE si configurano in molti casi come fornitori di servizi alle imprese mettendo a listino i servizi interessanti: ma come rendere appealing questa proposta? I servizi di accompagnamento alle imprese e alla imprenditorialità basati su una robusta azione laboratoriale possono essere la strada da perseguire. Le tecnologie in cui si è investito sono tante e al passo con i tempi: su queste bisognerebbe lavorare per far sì che tali percorsi di accompagnamento abbiano un forte contenuto tecnologico. Il supporto dei partner accademici e delle grandi imprese operanti all’interno delle CTE costituisce sicuramente un contributo importante, anche pensando alla costruzione di figure professionali altamente specializzate e in grado di soddisfare le esigenze dell’innovazione anche nelle diverse proiezioni locali e nazionali. L’azione di una singola CTE in questa direzione avrebbe forse una certa debolezza: uno sharing delle tecnologie e una condivisione dei laboratori con relativi pacchetti di accompagnamento alla imprenditorialità costituiscono una soluzione conveniente e forse convincente, se organizzata tematicamente e logisticamente. Il grande lavoro fatto in questi anni per creare una base di conoscenze reciproche oggi si rivela fondamentale per rendere più percorribili e sostenibili le strade della mutua cooperazione.
Coordinamento, coesione, internazionalizzazione, sostenibilità: Calvino avrebbe magari utilizzato questi quattro valori fondamentali per le sue Lezioni Italiane sulle Case delle Tecnologie Emergenti, per sottolineare quanto sono riuscite a realizzare e annunciandone il futuro, nella convinzione che esse restano un esperimento unico e ben riuscito per la resilienza organizzativa mostrata, l’alto livello tecnologico raggiunto, il giusto collegamento attivato tra i Comuni e le strategie di sviluppo tecnologico. E questo è vero qualunque punto di vista si voglia adottare per analizzare questa esperienza, sia esso municipale, regionale, nazionale e internazionale.
Nell’ultimo anno FPA ha visitato e raccontato le Case delle Tecnologie Emergenti con diversi Reportage PA. Scoprili tutti nel dossier “ReportagePA: dall’Innovation Roadshow alle Case delle Tecnologie Emergenti, viaggio nelle eccellenze tecnologiche del paese“