Quali politiche per consolidare i segnali di riduzione del divario nord-sud?

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L’esperienza ci ha insegnato che l’orientamento delle politiche nazionali condiziona anche l’efficacia macroeconomica del complesso degli interventi aggiuntivi che, nei prossimi anni, saranno di dimensione straordinaria per effetto della sommatoria delle risorse della coesione europea e nazionale e del PNRR. La profonda revisione delle politiche di coesione incide sia sulla governance che sugli strumenti attuativi. In generale, il filo conduttore dell’azione governativa sembra essere la ricerca di un maggiore coordinamento tra i diversi livelli di governo responsabili degli interventi. L’analisi di Luca Bianchi, Direttore SVIMEZ

1 Febbraio 2024

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Luca Bianchi

Direttore SVIMEZ

Foto di Randy Jacob su Unsplash - https://unsplash.com/it/foto/la-riflessione-delluomo-sulla-fotografia-dello-specchio-dacqua-A1HC8M5DCQc

Questo articolo è tratto dal capitolo “Programmazione europea” dell’Annual Report di FPA presentato il 18 gennaio 2024. La pubblicazione è gratuita

A differenza di altre fasi di ripresa ciclica, quando il sud aveva mostrato più difficolta a ripartire ai ritmi del nord, il Mezzogiorno ha agganciato la ripresa nazionale.

Nel 2022 il tasso di crescita del prodotto interno lordo (PIL) italiano ha superato di due decimi la media dell’UE-27 (+3,7% contro +3,5%). Il PIL meridionale nel 2022, in base ai dati SVIMEZ, è cresciuto in linea con la media UE-27 (3,5%). Cumulativamente, nel 2021-2022, l’economia meridionale è cresciuta del +10,7%, più che compensando la perdita del 2020. Se allarghiamo lo sguardo all’intero periodo 2020-2022, la performance del sud è risultata in linea con quella del centro-nord. La novità di una ripresa allineata tra sud e nord sconta però l’eccezionalità del contesto post-Covid per il tenore straordinariamente espansivo delle politiche e la peculiare composizione settoriale della ripresa (costruzioni e servizi). Due elementi in via di esaurimento. Il passaggio che le politiche ora hanno di fronte è radicare e consolidare tale tendenza.

La ripresa si è concentrata nelle costruzioni e nei servizi, che al sud assorbono quote di valore aggiunto e occupazione relativamente più elevate rispetto al resto del Paese. Per chiarire, fatto 100 il dato di crescita cumulata del valore aggiunto extra-agricolo nel 2021-2022, i servizi hanno contribuito per 71 punti nel Mezzogiorno (63 nel centro-nord). Anche le costruzioni hanno concorso alla crescita del valore aggiunto con maggiore slancio al sud (19 punti; 13 nel centro-nord), grazie all’impatto espansivo esercitato dai bonus per l’edilizia.

Il risultato, quindi, è una fotografia positiva per il sud, ma sbiadita dallo scarso contributo dell’industria alla crescita del valore aggiunto (nel Mezzogiorno solo 10 punti; 24 nel centro- nord) e dalla concentrazione del recupero occupazionale in settori, in primis l’indotto del turismo, tra i più vulnerabili e che tipicamente esprimono una domanda di lavoro poco qualificato. Non solo, nonostante la leggera crescita dei contratti a tempo indeterminato (concentrata nelle costruzioni), al sud il peso della componente del lavoro a termine rimane a livelli patologici se confrontato con il resto del Paese: 22,9% contro il 14,7% del centro- nord. E, d’altra parte, nel Mezzogiorno si resta precari più a lungo: quasi un lavoratore a termine su quattro lo è da più di cinque anni, circa il doppio rispetto al resto del Paese. A ciò si aggiunge che l’erosione del potere d’acquisto subito dai salari dal pre-pandemia ha interessato soprattutto il Mezzogiorno (-8,4%; -7,2% centro-nord).

In forte discontinuità rispetto alle passate fasi di ripresa ciclica, sud e nord sono quindi ripartiti insieme, ma dopo il rallentamento della ripresa già dalla metà del 2022, sul 2023 si addensano diversi segnali di incertezza. Ed è maturato un nuovo contesto delle politiche pubbliche questa volta poco favorevole alla crescita: dalla stretta monetaria al rientro dalla politica di bilancio espansiva.

L’esperienza precedente ci ha insegnato che l’orientamento delle politiche nazionali condiziona inevitabilmente anche l’efficacia macroeconomica del complesso degli interventi aggiuntivi che, nei prossimi anni, saranno di dimensione straordinaria per effetto della sommatoria delle risorse della coesione europea e nazionale e del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

È inoltre in corso una profonda revisione delle politiche di coesione avviata dal Ministro Fitto che incide sia sulla governance (riforma del Dipartimento per la coesione e soppressione dell’Agenzia della coesione) che sugli strumenti attuativi (Accordi per la coesione e Zona economica speciale per il Mezzogiorno – ZES unica). In generale, il filo conduttore dell’azione governativa sembra essere la ricerca di un maggiore coordinamento tra i diversi livelli di governo responsabili degli interventi. Più in particolare, si intende rafforzare tale coordinamento attraverso la concentrazione a livello centrale dei luoghi decisionali e attuativi, con l’obiettivo di valorizzare la complementarità finanziaria e strategica tra le diverse programmazioni con finalità di riequilibrio territoriale (politica di coesione, nazionale ed europea, e PNRR).

Nell’ambito di questo ridisegno si sta percorrendo la strada di utilizzare le risorse della Programmazione 2021-2027 dei Fondi europei per la coesione per finanziare gli interventi del PNRR che presentano criticità in ordine al raggiungimento, entro il 2026, dei target previsti. Questa soluzione presenta indubbi potenziali vantaggi per il sistema-Paese, consentendo di realizzare, sempre attraverso risorse europee, interventi strategici per la competitività e la riduzione dei divari in un orizzonte temporale più ampio rispetto al PNRR.

Sussistono, tuttavia, almeno cinque fattori che rendono difficilmente praticabile una completa o prevalente traslazione degli interventi critici del PNRR sui Fondi europei per la coesione:

  • l’eccessiva dimensione finanziaria di alcuni interventi, talvolta ricadenti su territori limitati, rispetto non solo agli obblighi di concentrazione tematica, ma anche, spesso, alle risorse complessivamente disponibili su un determinato Obiettivo strategico o Programma;
  • la difficile compatibilità di alcuni interventi con le previsioni dei Regolamenti europei e con l’Accordo di partenariato;
  • i vincoli di concentrazione tematica sugli Obiettivi strategici di policy 1 e 2 previsti dal regolamento sul Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), soprattutto con riferimento alle Regioni più sviluppate;
  • la sostanziale assenza di Programmi nazionali FESR che coprano l’intero territorio nazionale;
  • la concentrazione di una quota preponderante delle risorse del FESR a favore delle Regioni del Mezzogiorno (72%), che rende complesso il finanziamento di interventi omogeneamente ripartiti su tutto il territorio nazionale.

Quest’ultima circostanza tende a rendere ancora più complesso un eventuale utilizzo del Fondo nazionale per lo sviluppo e la coesione (FSC) per finanziare gli interventi con elementi di debolezza del PNRR, dal momento che per questo fondo sussistono previsioni normative che riservano l’80% delle sue risorse alle Regioni del Mezzogiorno.

Si tratta di un tema che investe più in generale le ipotesi di modifica degli interventi contenuti nel PNRR che devono comunque sempre preservare il vincolo di destinazione alle Regioni del Mezzogiorno del 40% del totale delle risorse territorializzabili.

Per molti aspetti, siamo dunque di fronte a un nuovo, potenziale, punto di svolta delle politiche di sviluppo italiane, segnate, nella loro lunga e accidentata storia, da un continuo oscillare tra localismo e centralismo e da una conseguente crescente conflittualità tra centri e periferie amministrative. All’interno di questa dinamica, la direzione che sembra intrapresa è quella di un rafforzamento del presidio nazionale delle politiche aggiuntive.

L’esperienza insegna che l’abbondanza delle risorse si è ridotto troppo spesso a un mero dato contabile utile solo a motivare nuovi annunci di Piani ‘straordinari’ per il sud dei quali poi puntualmente siamo stati costretti a lamentare obiettivi di spesa non raggiunti, residui di risorse inutilizzate, e distrazioni di risorse verso altri interventi estranei all’obiettivo del riequilibrio territoriale.

Va infatti ribadito – in linea generale e come più volte sostenuto dalla SVIMEZ – che l’obiettivo del riequilibrio territoriale, al di là dell’ambito specifico delle politiche aggiuntive, dovrebbe vedere coinvolto l’intervento pubblico ordinario per imprese e famiglie. Una condizione, questa, che è messa a rischio dalle proposte di autonomia differenziata all’ordine del giorno del Parlamento che, a regime, renderebbero vano ogni sforzo di rendere più efficace l’azione delle politiche aggiuntive.

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