150 + 150 in cerca della trasparenza
Agli amanti della segreta armonia dei numeri non sarà certo sfuggito che 150 era il numero della legge sulla comunicazione pubblica (correva l’anno 2000, era Ministro Franco Bassanini) e 150 è anche il numero del nuovo Decreto Legislativo di Brunetta. Ma per essere veramente trasparente, allora, la PA deve ancora fare un passaggio chiave…
10 Novembre 2009
Carlo Mochi Sismondi
Agli amanti della segreta armonia dei numeri non sarà certo sfuggito che 150 era il numero della legge sulla comunicazione pubblica (correva l’anno 2000, era Ministro Franco Bassanini) e 150 è anche il numero del nuovo Decreto Legislativo di Brunetta.
Prima però di approfondire questa cabala vi do due notizie:
- da questo numero cominciamo una nuova rubrica che mette a confronto idee diverse (a volte, come oggi, diametralmente opposte), facendolo come si fa tra gente civile ed intelligente: non con gli strilli, ma argomentando. Oggi trovate la risposta di Tortorelli (CNIPA) alle dure critiche di Osnaghi sulla gestione dell’e-government.
- È in rete un manifesto sulla trasparenza della PA che vale la pena di leggere e di sottoscrivere (se continuate a leggere capirete perché…)
Ma torniamo alle nostre “150”: due leggi molto diverse quella del 2000 e quella uscita in Gazzetta Ufficiale lo scorso 31 ottobre, ma che pongono entrambe la trasparenza come uno dei loro principali obiettivi. La prima la cita già nell’art. 1, la seconda addirittura nel titolo. Ma di che trasparenza parliamo?
La prima, in realtà, è una legge sulla comunicazione pubblica, rimasta per altro ancora per larga parte inattuata, che, forse non nella sua impostazione iniziale, ma certamente nella sua implementazione è stata viziata fortemente da guerre per bande tra lobby potenti come quella della federazione della stampa e esponenti di una professione ancora largamente non regolamentata e, ahimè, poco considerata come quella dei “comunicatori pubblici”. Di trasparenza, quindi, non parla se non per raccomandarla ai futuri e regolamentati “uffici stampa”.
Il decreto Brunetta è viceversa molto preciso e determinato nel parlare di trasparenza e la definisce con chiarezza:
La trasparenza è intesa come accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità.
Certamente la trasparenza evocata dal decreto 150 è importante, ma se il buongiorno si vede dal mattino mi pare che, così come si è andata sperimentando in questi mesi, l’uso dei dati che essa permette sia fortemente limitato.
Provo ad argomentare partendo da qualche esempio:
- Immaginiamo che io sia un cittadino desideroso di capire, così come la legge mi consente, se la PA spreca soldi in consulenze sballate o invece li utilizza in consulenze utili e produttive. Vado sul sito del Ministero per la PA e l’Innovazione www.innovazionepa.it e clicco su “OPERAZIONE TRASPARENZA” , vado poi a vedere la sezione delle consulenze e cosa trovo dopo un paio di ulteriori click? Ben 33.946 pagine (sì, confermo, avete capito bene quasi trentaquattromila pagine divise per regioni o per comparti) fitte di numeri e vuote di spiegazioni, non trattabili, non processabili, su cui è impossibile fare ricerche. Dove la consulenza da 500mila euro è mischiata a centinaia di consulenze da 500 euro. Nessun database, nessun indice, nessun motore di ricerca, nessuna statistica se non le somme totali. Mi sa che la mia curiosità rimarrà insoddisfatta!
- Proviamo a pensare ora ad uno studioso di pubblica amministrazione o ad uno studente che voglia effettuare comparazioni internazionali che, avendo letto che tutti i curricoli dei dirigenti pubblici sono on line, voglia ad esempio sapere quanti laureati in ingegneria ci sono tra i dirigenti. Dopo un attento esame dei siti pubblici che hanno pubblicato i curricoli di dirigenti (assolutamente non tutti, anzi mancano all’appello nonostante la legge molti tra i ministeri) scoprirebbe che i curricoli ci sono, ma che la loro pubblicazione è random (per farvi un’dea guardate una pagina a caso dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti) e che soprattutto non sono utilizzabili per nessuna elaborazione. Pensavo, nel fare questa esplorazione per voi, che ci fosse un errore: che le amministrazioni non avessero capito. L’errore l’avevo fatto io: basta leggere le istruzioni date dal Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione per scoprire che se l’errore c’è non è certo casuale. Dell’articolato vademecum, infatti, noterò solo una perla: dopo aver chiesto a tutti i dirigenti pubblici di compilare on line il proprio curricolo e dopo aver dato dettagli su come pubblicarlo nel sito dell’amministrazione di appartenenza si precisa che “al termine della procedura i suoi dati saranno automaticamente eliminati dal sistema” (!) . Come a dire buona notte a qualsiasi possibilità di elaborazione, di statistiche, di controllo!
Rimarranno, quali cippi tombali di una trasparenza morta in fasce, alcuni pdf buoni solo per qualche gossip da vicini di casa! In questo cimitero danzerà felice il simulacro della privacy all’italiana!
In realtà il tema della privacy è troppo grosso per liquidarlo con una battuta: ne parleremo ancora (tra l’altro proprio questa settimana si è svolto in Spagna il vertice mondiale delle autorità di tutela della privacy di cui parliamo in questa newsletter) e cercheremo di approfondirlo perché due diritti dei cittadini così importanti, come avere una PA aperta e trasparente e nello stesso tempo avere garantita la riservatezza dei dati personali, non devono e non possono essere in contrasto.
- Mettiamoci infine nei panni di un responsabile politico di una regione che voglia sapere, affidandosi sul fatto che per legge sono pubblici, come si posizionino i suoi uffici in termini di assenteismo. Anche qui, l’avete ormai capito, partiamo dalla legge che lo impone (è la 69/09) e dal decreto Brunetta, che andrà in vigore tra qualche giorno, il quale precisa le sanzioni per gli inadempienti: peccato che il tasso di assenteismo, quando c’è (ed è in una minoranza dei siti) non permette confronti, non fornisce parametri comuni ed è definito in ogni amministrazione in modo diverso e su diverse aggregazioni (alcune per area funzionale, altre per dipartimento, altre ancora mettendo insieme l’intera amministrazione).
Insomma per ora i dati che ho trovato relativi ai curricola e alle consulenze sono difficilmente utilizzabili: peggio, danno l’impressione di esserci, ma sono come un soufflé venuto male. Si sgonfiano appena usciti dal forno!
Sapevamo che non era un passaggio facile e va dato atto a Brunetta di aver gettato un grosso sasso nello stagno, imponendo ad esempio alle amministrazioni di mettere online le retribuzioni e rompendo così uno storico tabù.
Ma ora che abbiamo i dati spingiamo con forza perché essi siano aperti: non basta avere infatti le informazioni perché queste siano utilizzabili.
Facciamo appello quindi al ministro, ma soprattutto al Garante dei dati personali perché non ponga ostacoli alla usabilità (remixability direbbero gli informatici) di dati non sensibili, relativi a impiegati pubblici nelle loro funzioni.
Per essere trasparente infatti la PA deve ancora fare un passaggio chiave: fornire ai cittadini i propri dati in una forma leggibile che ne permetta l’elaborazione.
Il manifesto per aprire la pubblica amministrazione “Let’s open the public administration” che abbiamo recentemente presentato con un’intervista al suo autore David Osimo, chiarisce quel che voglio dire: ”i dati del governo e delle amministrazioni pubbliche dovrebbero essere resi disponibili, in modo che altri possano facilmente lavorarci e contribuire”.
Insomma per essere davvero aperta un’amministrazione non deve essere solo una “casa di vetro” (è il logo che il Ministro Brunetta ha adottato per l’Operazione Trasparenza), ma deve far sì che in questa casa si possa entrare, prendere quel che ci serve senza far danni e uscirne per far dei dati quel che ci sembra meglio, nel rispetto delle leggi e della verità.
Insomma come dovrebbero essere questi dati pubblici per una Pa trasparente?
Un importante documento del gruppo Opengovdata.org li definisce così (scusate l’inglese, ma è veramente facile 😉 :
1. Complete
All public data are made available. Public data are data that are not subject to valid privacy, security or privilege limitations.
2. Primary
Data are collected at the source, with the finest possible level of granularity, not in aggregate or modified forms
3. Timely
Data are made available as quickly as necessary to preserve the value of the data.
4. Accessible
Data are available to the widest range of users for the widest range of purposes.
5. Machine processable
Data are reasonably structured to allow automated processing.
6. Non-discriminatory
Data are available to anyone, with no requirement of registration.
7. Non-proprietary
Data are available in a format over which no entity has exclusive control.
8. License-free
Data are not subject to any copyright, patent, trademark or trade secret regulation. Reasonable privacy, security and privilege restrictions may be allowed.
Fate il confronto con i dati che abbiamo e guardate da soli la strada che dobbiamo fare.
È davvero tanta, ma il dado è tratto: indietro non si torna. C’è bisogno, però, che tutti noi che siamo per l‘innovazione e la trasparenza ci diamo da fare.
È per questo che sono rimasto molto male che un appello come quello di David Osimo “Let’s open public administration” sia rimasto pressoché inascoltato con meno di cento sottoscrittori in tutta Italia! Leggetelo e sottoscrivetelo se non volete che trasparenza della PA sia sinonimo di migliaia di pagine pdf con elenchi illeggibili di consulenze o di curricoli.
…Intanto l’innovazione si allontana: la larga banda diventa una leggenda metropolitana, si progetta di uscire dalla crisi in macchina e Obama resta una bella favola per mettere a letto i bambini.