Alcune considerazioni in ordine allo Smart Working
Quando finalmente – e ancora “hai voglia a pedalare” – smetteremo di occuparci di tornelli e pigiami, di persone che nella foga di badgiare per altri strisciano anche la fidelity card dell’Esselunga o della Coop; quando infine non ci saranno più sistemi
informativi di gestione del personale “personalizzati” per ogni Amministrazione; quando insomma sarà dissolta la credenza che il lavoro equivale alla permanenza all’interno di un edificio e che “la maggior parte” dei dipendenti pubblici sono fannulloni e/o corrotti, allora – ma solo allora – questo breve e “semplice” (caratteristica, ahimè, molto rara) articolo della dottoressa Vizzarri, della squadra della Corte dei conti, forse verrà considerato attuale e in qualche modo valorizzato. Mi piace ricordare che la dottoressa Vizzarri è già stata intervistata da FORUM PA nel lontano 2008: l’intervista – che tra l’altro ebbe un certo successo – si intitolava “Valutare si può, una esperienza concreta”. Tenuto conto dello stato penoso in cui
ersa oggi la PA dal punto di vista delle valutazioni del personale, se tanto mi da tanto ho idea che, inquadrato nel contesto italiano, l’ottimo contributo della mia collega debba purtroppo essere interpretato ancora oggi come una specie di trattato di fantascienza. A me personalmente i libri di fantascienza sono sempre piaciuti.
5 Novembre 2015
Sicuramente lo Smart Working non è telelavoro. Che vuol dire? Il telelavoro prevedeva che ci fosse una strumentazione di lavoro fissa, un orario fisso e uno spazio fisso, e anche se era un primo tentativo di creare armonizzazione tra le esigenze dell’azienda/amministrazione e le esigenze di vita del dipendente, oltre che procurare risparmi in termini di riduzione dell’inquinamento e aumento della produttività, non andava comunque ad incidere sul rapporto tra il dipendente e l’amministrazione. Il messaggio in pratica era: queste sono le regole, e tali e quali le porti anche in casa tua, qui non deve cambiare nulla di tutto l’impianto.
Lo Smart Working si pone su di un altro piano: propone un nuovo modo di lavorare, in cui il dipendente viene riconosciuto competente nella gestione del proprio lavoro e dei propri tempi e nella scelta dei propri spazi e dei propri mezzi, nel rispetto degli obiettivi stabiliti con l’azienda, vale a dire in una cornice flessibile che ne disegna le regole e le finalità. Ma quello che a prima vista potrebbe sembrare una “concessione” dell’azienda, in quanto comporta un miglioramento della vita personale del dipendente dovuto all’ottimizzazione nella conciliazione dei tempi vita-lavoro, è in realtà un modo attraverso cui l’amministrazione ottiene considerevoli benefici. Questi vengono stimati materialmente in un aumento di produttività di circa il 20% , oltre ai risparmi sulla gestione degli spazi fisici di lavoro e alle ben note ripercussioni positive sull’ambiente, in termini di riduzione di emissioni di CO2, grazie alla diminuzione del traffico generato dagli spostamenti. C’è tuttavia un ulteriore valore aggiunto insito nello Smart Working, vale a dire l’accrescimento rilevante della soddisfazione lavorativa e del senso di appartenenza . Questi che sembrerebbero effetti secondari sono, a mio avviso, i veri portatori della rivoluzione: sono loro infatti, insieme all’identificazione e all’interiorizzazione dei valori, che permettono l’abbattimento dell’assenteismo, delle assenze per malattia, che incrementano il coinvolgimento e riducono il turnover favorendo l’employee retention – il volere rimanere nella propria azienda. Tali effetti positivi, indicati come Organizational Committment, letteralmente “ l’impegno” – verso il lavoro, la propria organizzazione, il proprio gruppo di lavoro – è quanto definibile come attaccamento alla propria organizzazione. Perché di questo si tratta, esattamente come nei bambini per i quali la sopravvivenza stessa inizialmente, e l’armonico sviluppo in seguito, sono permessi e favoriti dal sano attaccamento col genitore – in genere la madre, o comunque una importante figura che se ne prende cura. Le organizzazioni, in modo simile, hanno la possibilità di favorire un sano attaccamento nelle persone che lavorano per esse, “prendendosene cura”, sostenendo il loro sviluppo e garantendosi inoltre così un ritorno. E se per il bambino da un sano attaccamento scaturisce un benessere relazionale, similmente in un’organizzazione il sano attaccamento favorisce il “ sentirsi bene”, lo stare bene nella relazione: col proprio lavoro, con i propri colleghi, con la propria organizzazione. Un benessere che di riflesso portiamo con noi anche a casa.
L’efficace relazione di attaccamento, di vitale importanza all’inizio per la sopravvivenza stessa dell’individuo, vede il suo sano evolversi nel grado in cui il genitore riesce a favorire la crescita del proprio figlio: dagli obiettivi iniziali di crescita, di sviluppo cognitivo ed affettivo, di acquisizione delle capacità relazionali, fino al vero e proprio “scopo” finale: la completa emancipazione, l’autonomia. Così nelle organizzazioni: dalle mere cure, alla concentrazione sull’accrescimento delle capacità e della conoscenza, attraverso una profonda considerazione, un’attenzione alle interazioni e ai bisogni, con riguardo all’istruzione, e sempre nutrendo la relazione, per raggiungere l’autonomia. L’autonomia allora non è quindi solo essere in grado di camminare nel mondo con le proprie gambe, ma è sapersi gestire, essere capaci di scegliere, assumersi le responsabilità, acquisire la flessibilità per saper trovare nuove strategie ed affrontare i cambiamenti e le crisi che immancabilmente ci troviamo di fronte, e portare avanti i progetti, con serietà e creatività, favoriti dalla fiducia di un Genitore che sa guardare con benevolenza l’intraprendenza, tollerare la diversità e trarre beneficio dall’apporto che ogni singolo individuo può offrire. Un Genitore che a sua volta si è dato il permesso di avere fiducia.
Quando altrimenti il Genitore non ha fiducia, non crede nelle capacità del proprio figlio e di sé stesso come genitore, quando non si è dato il permesso di “lasciare andare” il proprio figlio, quello stesso Bambino, una volta diventato Adolescente, correrà il rischio di non sapere cosa sia la responsabilità, di non sapersi gestire, e anzi cercherà ogni occasione buona per scappare, nascondersi, sfuggire, forse addirittura instaurando una relazione di continua sfida dell’autorità genitoriale. Ecco perché a mio avviso, parallelamente, per le Organizzazioni può essere doppiamente controproducente non favorire lo sviluppo dei propri dipendenti e contrastarne le capacità di autonomia .È vero, i percorsi di crescita non sono mai esenti da rischi, ma indubbiamente come fare sentire al Bambino che si ha interesse e cura per lui, che “lo abbiamo a cuore”, ne favorisce una sana crescita, e da degli importanti frutti, similmente una Amministrazione che si prende cura delle proprie persone favorirà una relazione di crescita e sviluppo, di fiducia e di rispetto reciproco, che continuerà anch’essa a dare i suoi frutti molto a lungo.