EDITORIALE
Alla PA servono buoni manager per tempi difficili
In un momento di ovvia debolezza della politica, con un Governo dimissionario e i partiti distratti dalle prossime elezioni, dalla costruzione delle liste e poi dalla campagna elettorale, serve qui e ora una PA che sappia lavorare per progetti. Servono buoni manager. Perché questa figura così importante esca dall’ombra è necessario che sia meglio definita, ecco in evidenza alcune sue caratteristiche
1 Agosto 2022
Carlo Mochi Sismondi
Che i tempi siano difficili non c’è bisogno di argomentarlo: alla guerra, all’emergenza climatica, alla pandemia e alla crisi economica, che moltiplica le disuguaglianze, per non farci mancare nulla abbiamo aggiunto anche la più squinternata crisi di Governo che abbia mai visto, e ne ho viste tante! Prendo quindi in prestito il titolo di un bel libro dei premi Nobel Abhijit Banerjee ed Esther Duflo, “Una buona economia per tempi difficili”, per augurarmi che la PA possa contare, in questi tempi difficili, su buoni manager, soprattutto quelli che hanno responsabilità di vertice, capaci di affrontare con coraggio, professionalità e autonoma responsabilità le sfide che le amministrazioni pubbliche si trovano ad affrontare.
Durante il recente FORUM PA 2022 abbiamo affrontato questo tema insieme ad una nascente comunità di pratica di top manager pubblici nata su impulso di FPA e del Direttore generale della ASL Roma 1, Angelo Tanese. Se il tema era importante un mese fa, ora mi sembra addirittura vitale. In un momento di ovvia debolezza della politica, con un Governo dimissionario e i partiti distratti dalle prossime elezioni, dalla costruzione delle liste e poi dalla campagna elettorale, serve comunque qui e ora una PA che sappia lavorare per progetti.
La sovrapposizione tra la chiusura della politica di coesione 2014-2020, PNRR e nuova politica di coesione 2021-2027 determina una congiuntura di fondi da programmare, gestire, monitorare e rendicontare che non hanno precedenti: 484 miliardi di euro[1] di spese straordinarie ed aggiuntive dalla fine del 2021 al 2029 si traducono in 54 miliardi di euro disponibili in media all’anno. Le risorse in arrivo e la sfida della ripresa impongono di orientare sempre più le amministrazioni e gli enti pubblici al risultato piuttosto che all’adempimento e le missioni del PNRR definiscono puntualmente gli obiettivi in termini di impatto sui cittadini e sulle imprese. L’impegno deve riguardare tutto il territorio nazionale, con un’attenzione costante alle grandi emergenze sopra menzionate.
Operando da molti anni in questo settore e avendo conosciuto diverse “stagioni” di riforma della Pubblica Amministrazione, solo parzialmente riuscite, crediamo che uno dei fattori di debolezza sia stato quello di non aver messo a fuoco abbastanza la figura del manager pubblico come un ruolo specifico e diverso dalla generica immagine dell’alto funzionario, perché il suo compito non è quello di amministrare con atti, ma di dirigere e orientare persone, organizzazioni e processi di innovazione che impattano sul buon funzionamento dei servizi ai cittadini e sulla qualità della vita delle nostre comunità.
Perché questa figura così importante esca dall’ombra è necessario che sia meglio definita. Chi è il manager pubblico? Non c’è una definizione nelle norme, né esiste una job description condivisa. Nel distinguere il manager con responsabilità apicali dalla dirigenza pubblica, ne vogliamo mettere in evidenza alcune caratteristiche:
- visione lungimirante che superi la contingenza e la tendenza allo short termism per immaginare scenari di futuro sostenibili ed equi;
- autonomia responsabile che permetta la qualità e la rapidità dei processi decisionali, anche di quelli che comportano inevitabilmente rischi;
- trasversalità perché esiste una dimensione comune tra chi ricopre ruoli di responsabilità manageriale nel settore pubblico, che ha a che fare con la capacità di gestire processi di cambiamento in condizione di incertezza e di elevata complessità normativa e istituzionale. È un elemento che può fare la differenza nell’attuazione delle politiche pubbliche;
- elevata flessibilità che permetta di prendere decisioni in condizioni d’incertezza e di gestire la complessità considerandola una ricchezza; una tendenza all’innovazione e a cercare soluzioni nuove, sorretta anche da una sincera curiosità intellettuale;
- empatia e professionalità nella gestione delle risorse e nel promuovere la crescita professionale delle persone, insieme ad una capacità di valorizzare le professionalità presenti con un’attenzione particolare ad un qualificato ricambio generazionale;
- “generosità” per collegarsi, in un modello a rete, con i suoi omologhi e con gli stakeholder, per imparare dalle esperienze positive e negative, per mettere a disposizione dei colleghi quanto appreso;
- sensibilità istituzionale che, nel rispetto dei rispettivi ruoli, consenta di svolgere una funzione “cerniera” tra politica e amministrazione
A fronte di questa sommaria descrizione dobbiamo constatare che il processo di scelta dei manager pubblici da parte della politica è, in molti casi, a dir poco rozzo e spesso dettato da logiche di equilibri politici o, peggio, di fedeltà a prescindere. È necessario invece che anche le amministrazioni pubbliche, come accade per le grandi aziende private, affrontino in modo professionale questo passaggio utilizzando al meglio tutte le competenze necessarie. Scegliere un manager piuttosto che un altro vuol dire spesso segnare il successo o l’insuccesso di una politica.
Negli incontri a FORUM PA 2022 (trovate qui la registrazione di un interessante talk sul tema) sono poi emersi altri aspetti di grande interesse che oggi, nella situazione in cui siamo, appaiono ancor più necessari. Tra questi la costante attenzione a lavorare per grandi missioni strategiche, ad esempio la riduzione delle emissioni o la mitigazione delle disuguaglianze, ponendosi obiettivi efficacemente misurabili, perché il bene pubblico non può essere uno slogan, ma deve essere verificato e misurato dai cittadini in un processo di reale e comprensibile accountability.
Un altro aspetto fondamentale è la dimensione almeno europea in cui si deve muovere il management pubblico: chiunque ragionasse ancora in termini esclusivamente nazionali o, peggio, nei ristretti confini di una regione sarebbe inesorabilmente inadeguato ad interpretare il presente e progettare il futuro.
Infine, è essenziale insistere ancora sulla flessibilità necessaria che permetta al manager pubblico di riconfigurare le organizzazioni, utilizzando sino in fondo l’autonomia organizzativa garantita dalla legge, adattandole alle situazioni anche improvvise e inaspettate che si verificheranno. Il management apicale pubblico costituisce esso stesso una di quelle infrastrutture immateriali del Paese che fanno e faranno la differenza. È una cosa che riguarda tutti noi come cittadini e su cui abbiamo il diritto e il dovere di vigilare.
[1] 484 miliardi sono la somma tra 38,6 mld per la chiusura della coesione 2014-2020; 43,5 mld del fondo sviluppo e coesione (FSC) 2014-2020; 82,2 mld della nuova coesione 2021-2027; 11,59 mld FEASR e FEAMPA 2021-2027; 73,5 mld del FSC 2021-2027; 235,1 mld del PNRR + Fondo complementare.