Banche: terza gamba dell’innovazione della PA

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Oggi si svolge a Roma la 6^ edizione del “Forum Banche e PA”, organizzato da ABI. E’ l’occasione per una riflessione su un pezzo a mio parere ancora fortemente carente dell’infinito processo di ammodernamento delle amministrazioni. Parlo del ruolo del sistema finanziario come terza gamba, per una vera partnership pubblico-privato.

30 Ottobre 2014

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Carlo Mochi Sismondi

Oggi si svolge a Roma la 6^ edizione del “Forum Banche e PA”, organizzato da ABI. E’ l’occasione per una riflessione su un pezzo a mio parere ancora fortemente carente dell’infinito processo di ammodernamento delle amministrazioni. Parlo del ruolo del sistema finanziario come terza gamba, per una vera partnership pubblico-privato.

Oggi si svolge a Roma la 6^ edizione del “Forum Banche e PA”, organizzato da ABI. E’ l’occasione per una riflessione su un pezzo a mio parere ancora fortemente carente dell’infinito processo di ammodernamento delle amministrazioni. Parlo del ruolo del sistema finanziario come terza gamba, indispensabile per una vera partnership pubblico-privato che è  l’unica strada possibile per un’innovazione che sia realizzata nei tempi stretti che sono necessari e non rimandata sine die ad impossibili “momenti migliori” della finanza pubblica.

Un ruolo, quello delle banche, non sufficientemente valutato nel parlare della nuova PA che auspichiamo, ma indispensabile. Perché senza una finanza coraggiosa e innovativa non c’è vera Partnership Pubblico-Privato e senza questa non c’è possibilità di costruire un nuovo sviluppo equo e sostenibile.

Seguite il mio ragionamento. Quattro sono, in estrema sintesi, le aree in cui la riforma della PA deve esercitare il massimo sforzo:

1. Semplificare norme e servizi, ma anche struttura organizzativa e i flussi informativi che sono il core business dell’amministrazione. Semplificare la vita dei cittadini e delle imprese, ma non informatizzando l’esistente, quanto piuttosto riprogettando da capo i processi e le organizzazioni come fossero “native digitali”.

2. Aprire e aprirsi all’esterno, alle forze vitali della società in un percorso verso la collaborazione, la partecipazione e la trasparenza dinamica e sostanziale dell’azione pubblica, secondo i principi dell’open government e rispettando il nuovo ruolo della cittadinanza, quello di consumatore, ma anche di produttore e di co-progettista dei servizi.

3. Snellire la macchina pubblica tagliando senza timidezze dovunque le sovrastrutture degli “enti egoisti” abbiano avuto il sopravvento sulla originaria missione di servizio e di sviluppo. Non è inutile qui ricordare le decine di migliaia di unità operative probabilmente non necessarie e le circa 8.000 partecipate, molte in deficit o quasi inattive.

4. Scongelare il pubblico impiego con un deciso ricambio generazionale, l’immissione di nuove professionalità, l’investimento raddoppiato sulla formazione, la ripresa energica del processo di valutazione di dirigenti, scelti sempre per merito e con carriere basate su incarichi e obiettivi e non su inamovibili status di diritto.

Nessuna di queste quattro indispensabili fatiche di Ercole può essere affrontata senza un forte investimento in innovazione organizzativa e tecnologica. Investimento che va fatto qui e ora, perché rimandarlo vorrebbe dire scivolare inesorabilmente ad un’ancor più marcata marginalità nel panorama internazionale. Leggere che il settore pubblico ha ridotto ancora la spesa in ICT nel 2013 di percentuali a due cifre è sconfortante. Ma è pure vero che i soldi non ci sono e che l’innovazione a costo zero è una favola da raccontare ai bambini per farli addormentare.  Innovare costa e costa proporzionalmente alla quantità e alla qualità dell’innovazione immessa. Poi ci farà anche risparmiare, se saremo bravi a coglierne gli aspetti di efficientamento, ma più ancora renderà l’azione pubblica più efficace e quindi più equo il patto con i contribuenti.

Le amministrazioni non ce la possono fare da sole, è necessario lavorare in partnership con il mondo privato attraverso l’uso pervasivo e coraggioso degli strumenti di procurement innovativo che sono già a disposizione delle amministrazioni e che ancora più lo saranno dopo il recepimento delle nuove direttive europee sui contratti pubblici.

Ma neanche le aziende, specie le PMI che sono spesso le vere portatrici d’innovazione, ce la possono fare da sole. Non possono, senza sostegno, costruire quelle alleanze con le amministrazioni che, in un modo o in un altro, procrastinano tutte i ricavi legandoli al successo o al risparmio o alla redditività dell’innovazione. Hanno bisogno della terza gamba del tavolo. Hanno bisogno di un sistema finanziario in grado di accompagnare il processo, di discernere i progetti migliori, di sedersi allo stesso tavolo con le amministrazioni, anche le piccole, e le imprese per costruire interventi mirati.

Senza questa partnership a tre e senza la disponibilità del mondo finanziario di mettersi in gioco, assumendosi anche dei rischi, come fa qualsiasi giocatore,  le amministrazioni non potranno mettere in cantiere progetti d’innovazione, le imprese italiane di ICT e di servizi avanzati non potranno crescere e investire, mentre le multinazionali andranno, come stanno già facendo, ad investire altrove. Con effetti devastanti nel presente, ma molto più nel futuro. I cittadini infine, destinatari e protagonisti del processo, non potranno che constatare, accostandosi all’amministrazione pubblica, la grande distanza ancora presente tra promesse, dichiarazioni di principio e realtà fattuale.

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