Capitolo 3. Governare con la rete

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Dall’impossibile governo della rete, al moderno governo con la rete: profit, non profit e amministrazioni pubbliche insieme per accrescere la qualità della vita in una società complessa.
Siamo alla terza tappa del nostro percorso: dopo aver presentato, nel primo capitolo del saggio che stiamo scrivendo insieme (date un’occhiata ai tanti commenti già arrivati), la rete come ambiente naturale dell’innovazione empatica e dell’azione pubblica tesa all’incremento dei “beni relazionali” e, nel secondo, la centralità dei cittadini e le condizioni per abilitare processi partecipativi, qui ci occuperemo di come far lavorare in rete, in forma governata e politicamente orientata, soggetti diversi pubblici e privati e dei vantaggi che tale impostazione reticolare ha rispetto all’uso di processi verticali e gerarchici.

27 Ottobre 2010

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Carlo Mochi Sismondi

Articolo FPA

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Dall’impossibile governo della rete, al moderno governo con la rete: profit, non profit e amministrazioni pubbliche insieme per accrescere la qualità della vita in una società complessa.

1. …dalla cronaca di questi giorni

Tersigno: discarica sì, discarica no. Ad ondate intermittenti lo Stato, le amministrazioni locali e i cittadini annunciano avanzate ed arretramenti, coinvolte nel bailamme anche le aziende private che gestiscono servizi e inceneritori. Il risultato: una montagna di rifiuti.
Milano: comune, volontari della Caritas, associazioni del Terzo settore, governo e prefettura senza una strategia comune per i campi nomadi. Lo sgombero del campo di via Triboniano è slittato, ma rimane certo. Totalmente incerta è invece la destinazione di qualche centinaio di famiglie. Nel frattempo Firenze e Roma sgomberano, ma i nomadi, essendo nomadi, si spostano ed eccoli a Bari con un sovraffollamento dei campi ed un’impossibilità delle istituzioni locali di reggere l’urto.
Val di Susa: tutti i politici nazionali (o quasi) sono d’accordo, tutte le amministrazioni locali (o quasi) e la gran parte dei cittadini delle zone interessate sono contro. Intanto i cantieri sono fermi, la TAV è nella più totale incertezza, i soldi europei si allontanano e le opzioni vanno da dichiarare tutta l’area “zona militare” a rivedere da capo tutto il progetto.

Fallimento della politica? Fallimento dell’amministrazione? No. Semplicemente fallimento delle reti che avrebbero dovuto sorreggere le politiche e divenirne la forza.
E’ da questi errori che vogliamo imparare.

2. Prendiamo atto del fallimento di molte politiche pubbliche
Basta aprire le prime pagine dei giornali di questa settimana per constatare il fallimento di una serie di politiche pubbliche, a volte con conseguenze nefaste sull’ordine pubblico, altre con disagi crescenti per una popolazione che si sente sempre più lontana dalle scelte e che fa vedere il proprio scontento in forme emotive e potenzialmente antidemocratiche.
In tutti questi casi e nei moltissimi altri che potremmo citare – dal sostanziale fallimento dei servizi online per i cittadini, allo scempio urbanistico delle nostre città dove il brutto prevale, al fallimento economico di molte sanità regionali, alla macelleria della politica comunale attuata da tagli ciechi – la “mano pubblica” si è dimostrata incapace di trovare soluzioni adeguate, anche perché ha cercato di risolvere situazioni complesse con strumenti adatti a processi lineari. Ma la complessità non si può governare né per editto né con processi verticali o gerarchici. Richiede un approccio più sofisticato e più rischioso.
In questo articolo cercherò di proporre un punto di vista diverso: il “governo con la rete”. Lo farò aiutato da una serie di esempi positivi e dall’impianto teorico di un libro che abbiamo già citato un paio di volte in questo percorso: “Governare con la rete” di Stephen Goldsmith e William D. Eggers, uscito in USA nel 2004 e pubblicato quest’anno in Italia per i tipi dell’Istituto Bruno Leoni (IBL).

Siamo alla terza tappa del nostro percorso: dopo aver presentato, nel primo capitolo del saggio che stiamo scrivendo insieme (date un’occhiata ai tanti commenti già arrivati), la rete come ambiente naturale dell’innovazione empatica e dell’azione pubblica tesa all’incremento dei “beni relazionali” e, nel secondo, la centralità dei cittadini e le condizioni per abilitare processi partecipativi, qui ci occuperemo di come far lavorare in rete, in forma governata e politicamente orientata, soggetti diversi pubblici e privati e dei vantaggi che tale impostazione reticolare ha rispetto all’uso di processi verticali e gerarchici.

3. Nuovi bisogni, vecchi modelli
Dall’alto dei miei oltre due decenni di frequentazione quotidiana, posso testimoniare che in generale la pubblica amministrazione è molto meglio di come si dipinge. Ci sono è vero anche i fannulloni, ma in generale è composta da lavoratori mediamente più interessati a quel che fanno rispetto al settore privato. Purtroppo la qualità dei risultati rimane largamente insoddisfacente. Io credo che uno dei motivi vada ricercato nel tenace reiterare modelli che forse sono stati adeguati ad altri tempi storici, ma che oggi appaiono come armi spuntate. Vediamoli.
Il primo è il classico modello autarchico del “ci penso io”: l’amministrazione pubblica, in generale sotto la guida diretta della politica, gioca tutte le parti in commedia: sta insieme al timone e ai remi, fa le regole e gioca la partita. Non ha concorrenza né la cerca. Produce i servizi in una forma rigidamente verticale e si aspetta dai cittadini un’ordinata fruizione degli stessi. E’ quella che Eggers chiama “amministrazione gerarchica” attestata su una bassa o inesistente gestione della rete e su una bassa collaborazione pubblico-privato. Quando non riesce a far tutto rispettando le regole rigide che essa stessa si è data, trova un escamotage nella normazione emergenziale: il caso della Protezione civile, al di là di aspetti penali che qui non ci interessano, è sotto gli occhi di tutti.
Il secondo modello ha letto il “Bignami” del Reinventing Government americano di clintoniana memoria e dall’incitamento a “stare al timone invece che ai remi” ha dedotto che bisogna far fare tutto o quasi ai privati. E’ l’amministrazione esternalizzata che ha sì lasciato i remi, ma alla fine ha abbandonato anche il posto di guida. Non è un modello di gran moda in Italia, ma esempi ce ne sono nelle privatizzazioni senza regolazione del mercato, nelle gestioni dei servizi pubblici date a società di capitale pubblico, ma completamente separate dall’indirizzo e dal controllo politico, nell’affidamento ingenuo alla finanza privata di capitali pubblici per speculazioni azzardate, tipo “derivati”, che poi abbiamo visto che fine abbiano fatto.
Il terzo modello è già più sofisticato: si basa su una interpretazione estrema del federalismo e dà sì spazio alle comunità locali, ma in competizione ed in contrapposizione con la più vasta comunità nazionale. Gli esempi non mancano: dalla scuola di Adro ai concorsi con la preferenza per gli “indigeni”.
Non è così che possiamo sperare di governare la moderna complessità, fatta di bisogni sempre crescenti e spesso in contrasto tra loro, di soggetti economici emergenti, della contemporanea debolezza finanziaria del settore pubblico e ricchezza di energie dei cittadini, che i numeri del volontariato testimoniano senza tema di smentite.

4. Governare con la rete
Quel che ci serve è superare l’ingenuo tentativo del governo della rete, ossia di mantenere comunque un approccio gerarchico, verso un governo con la rete che utilizzi come forza la stessa forza della molteplice eterogeneità dei soggetti in campo.
Governare con la rete vuol dire accettare che la missione di un’amministrazione si concretizza sempre più spesso al di fuori dell’amministrazione stessa attraverso complesse connessioni tra molte organizzazioni pubbliche e private che devono essere coordinate. Significa accettare che il manager pubblico diventi soprattutto un “manager della rete”, un mediatore in grado di semplificare ed unire i talenti di una comunità verso un fine comune e politicamente condiviso. Verso la costruzione di “valore pubblico”. E per creare “valore pubblico”, ossia restituzione di valore ai contribuenti, le responsabilità della pubblica amministrazione non possono più essere imperniate sulla gestione di persone e programmi, ma sull’organizzazione ed il coordinamento di risorse che molto spesso appartengono in tutto o in parte ad altri soggetti. Citando Eggers e Goldsmith possiamo dire che “le amministrazioni centrali e locali, le agenzie, le divisioni e i singoli uffici sono sempre meno importanti come fornitori di servizi, ma più importanti come generatori di “valore pubblico” entro il tessuto di relazioni multi organizzative, multi governative, multi settoriali…Di conseguenza il governo con la rete più che ad una mappa organizzativa tradizionale assomiglia a una trama dinamica di reti computerizzate che può organizzarsi, riorganizzarsi, espandersi o contrarsi, in rapporto al problema trattato.”[1]

5. Qualche esempio per farsi capire
Fantascienza penseranno molti degli impiegati pubblici che ci leggono e che in un recente sondaggio hanno scritto che la zavorra che più appesantisce la PA è proprio l’organizzazione autoreferenziale. E’ quindi il momento di fare qualche esempio italiano per cominciare ad entrare con i piedi nel piatto: non si tratta di esperienze perfette, hanno i loro pregi e i loro difetti, ma sono sulla strada giusta.

Su SaperiPA trovi l’intervento di Mauro Bonaretti a FORUM PA 2010
  • La gestione per obiettivi del comune di Reggio Emilia
    Il comune di Reggio Emilia, grazie anche alla competenza nella gestione delle reti di Mauro Bonaretti che ne è il Direttore generale, ha sviluppato una riorganizzazione dell’amministrazione strutturata per obiettivi che fa largo uso del “governo con la rete”.
    Nei due diagrammi qui sotto si vede chiaramente il passaggio da una struttura gerarchica e verticale di produzione ad una struttura a rete centrata sulla creazione di valore pubblico.

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Con questa impostazione il Comune di Reggio Emilia è riuscito ad essere all’80° posto in Italia per pressione fiscale e insieme tra i primi cinque per la qualità dei servizi erogati. Ha sopportato un incremento di popolazione del 25% in 5 anni e ha attualmente il 12% della popolazione fatta da immigrati.
La strada vincente è stata quella di riconvertire un’organizzazione sino allora basata solo sulla produzione di servizi efficienti, in un modello in grado di governare processi sociali articolati facendo lavorare insieme più soggetti pubblici e privati e più strumenti e trovando negli obiettivi di mandato politici l’orientamento di tutta l’organizzazione.

Su SaperiPA trovi gli approfondimenti sul progetto “Family in Trentino”
  • Le politiche sociali della Provincia autonoma di Trento: i distretti famiglia
    I Distretti Famiglia della provincia di Trento sono un buon esempio di politica di settore, volta ad un obiettivo preciso e definito, che usa però la rete dei soggetti come strumento principe di programmazione. Essi si vogliono qualificare come territori “Amici della famiglia”, ovvero un territorio accogliente e attrattivo per le famiglie e i soggetti che interagiscono con essa. Un territorio in grado di offrire servizi all’avanguardia, incentivi e interventi qualitativamente e quantitativamente rispondenti alle esigenze e alle aspettative delle famiglie, siano esse residenti o ospiti. Per sostenerle nelle necessità e nei bisogni economici, culturali e sociali. Il Distretto prevede il coinvolgimento di tutte le organizzazioni pubbliche e private, come ad esempio i comuni e gli operatori economici, che agiscono nei diversi settori per individuare comuni strategie per ampliare e migliorare i servizi offerti. L’intero territorio, che spesso corrisponde a una valle o a un insieme di comuni e prende il nome di Distretto Famiglia, deve adeguarsi alle esigenze familiari. L’idea del Distretto Famiglia è nata nel 2009 con il Libro Bianco sulle politiche familiari e per la natalità, approvato dalla Giunta provinciale, che pochi mesi prima aveva istituito il Progetto speciale di Coordinamento delle politiche familiari e di sostegno alla natalità, un organismo amministrativo interno alla Provincia e diretto dal dirigente Luciano Malfer, proprio per sostenere le famiglie in questo momento di crisi economica.
  • Il modello della Sanità della Regione Lombardia
    128 strutture pubbliche e private, di cui 29 sono aziende ospedaliere, 150 milioni di prestazioni ambulatoriali, 2 milioni di ricoveri, 62 milioni di ricette di assistenza farmaceutica rimborsate. Sono numeri impressionanti, che testimoniano quanto grande e complesso sia il sistema sanitario lombardo. Sulla qualità non parlano solo le cifre (il 10% delle prestazioni vengono erogate a cittadini fuori regione, e si arriva addirittura al 50% in certe aree particolarmente complesse, come ad esempio quella oncologica), ma la stima e l’autorevolezza che la Lombardia si è guadagnata presso la comunità scientifica internazionale.
    Quale è il segreto di questo successo? L’assessore alla sanità Luciano Bresciani non ha dubbi “Se tu utilizzi in rete tutte le forze di una comunità” ci dice “ e non le escludi per motivi ideologici, raggiungi una ricchezza di interventi non immaginabile prima e la sanità non è più un costo per la comunità, ma un’opportunità. Tre sono i “moschettieri” della sostenibilità del sistema che devono lavorare assieme: strutture pubbliche e private del sistema sanitario, università, industrie avanzate.”
    Appunto un altro modello di “governo con la rete”
  • La rete di solidarietà della Regione Puglia
    La regione Puglia ha messo in moto un processo partecipato per la gestione delle politiche sociali che ha trovato il suo fulcro nella rete di soggetti diversi. Leggiamo dal piano “Puglia sociale”:
    Una lettura anche superficiale dei processi sociali ed istituzionali che in questi anni si sono sviluppati sul territorio regionale nella fase di attuazione dei Piani di Zona conferma che uno dei principali indicatori di efficacia per un sistema locale di servizi è dato dall’intensità e dalla qualità delle relazioni tra gli attori, elemento capace di agevolare i processi e garantirne nel tempo la sostenibilità, generando capitale sociale, diffusione della cultura della legalità e tutela dei beni comuni. ….
    Gli Enti Locali devono, pertanto, svolgere un ruolo attivo nel sostegno ai processi di cittadinanza attiva, indicando azioni ed obiettivi specifici nell’ambito del Piano sociale di Zona. Da parte loro i diversi soggetti chiamati a collaborare alla costruzione del sistema devono assumere questo compito in modo responsabile, adottando comportamenti coerenti con la portata della sfida cui vengono chiamati, che è quella di essere co-protagonisti di decisioni rilevanti per il futuro dei servizi della propria comunità.
    La partecipazione non può, pertanto, ridursi alla mera contrapposizione tra pubblico e privato, tra società civile e società politica, ma deve piuttosto evolvere verso forme più mature di confronto, verso la convergenza delle parti in causa nella definizione degli obiettivi comuni. La sussidiarietà è il concorso virtuoso tra cittadini e istituzioni nel perseguimento dell’interesse comune, una pratica che se opportunamente interpretata è in grado di favorire la crescita della collettività e una democrazia più compiuta.

Di molte altre esperienza quali ad esempio le iniziative di partecipazione alle trasformazioni urbane attuate dal Comune di Firenze o la politica a rete dei Parchi Scientifici e Tecnologici coordinati dall’APSTI o la rete Telematica della Regione Toscana abbiamo già più volte parlato.
Qualche altro esempio di “governo con la rete” esiste in Italia (non moltissimi per la verità), vi prego di aiutarmi a non far torto a nessuno segnalandomeli. Ma qui l’obiettivo non era tanto di avere un elenco completo, quanto di far capire di cosa stiamo parlando.
Altre esperienze sono in fieri e ancora non sappiamo se daranno i frutti sperati in termini di effettive sinergie di soggetti diversi. Ad esempio penso all’iniziativa di “Reti amiche” del Ministro Brunetta.

Su SaperiPA trovi gli approfondimenti sul progetto “Reti amiche”
  • Il progetto Reti amiche
    Con il progetto Reti amiche i cittadini hanno la possibilità di usufruire di alcuni servizi prestati dalla Pubblica amministrazione senza doversi recare presso gli uffici pubblici, ma contattando l’amministrazione tramite gli sportelli e i servizi di connettività messi a disposizione da reti pubbliche o private, normalmente dedicate ad altri scopi. Reti diverse e in concorrenza tra loro tra cui il cittadino potrà scegliere sia in base alla qualità del servizio sia per ragioni di vicinanza geografica, di costo o di… cortesia!
    Il progetto è stato avviato utilizzando due Reti amiche: Poste Italiane e Federazione Italiana Tabaccai, che offrono ormai da un anno i servizi dell’INPS e del Ministero dell’Interno. Attualmente sono operativi oltre 30.000 “sportelli” e si prevede di raggiungerne 100.000 entro la fine del 2010.
    Il cittadino può recarsi al più vicino “sportello amico” e richiedere il rilascio e il rinnovo dei passaporti e dei permessi di soggiorno, il versamento dei bollettini relativi ai contributi previdenziali e dei bollettini di assicurazione per gli infortuni domestici, l’incasso delle pensioni e delle prestazioni di natura assistenziale, ecc.
    Il progetto punta quindi a costruire una famiglia di reti, federate all’interno dell’iniziativa Reti Amiche, in concorrenza tra loro, dove il cittadino possa scegliere a quale affidarsi in base alla qualità del servizio offerto.
    Ancora c’è molto da fare per rendere effettiva questa promessa: ma si tratta di un altro passo nel “governo con la rete”

6. Le condizioni di contesto per il governo con la rete
Perché amministrazioni pubbliche, aziende profit, organizzazioni non profit, organismi di rappresentanza, cittadinanza organizzata siano una rete orientata efficacemente ad un risultato comune è necessario poter contare su alcune condizioni abilitanti:

a. capitale sociale e ricchezza dei beni relazionali
è difficile cavare il sangue dalle rape e una rete di soggetti pubblici e privati ricca è sempre figlia di una ricca rete di relazioni sociali, ma viceversa il governo con la rete è un forte stimolo alla crescita di nuovi attori; quel che deve essere garantito comunque e in via preliminare è la correttezza del gioco, altrimenti nuovi giocatori non si affacceranno.

b. forte commitment politico
si dice spesso che i tempi della politica e i tempi dell’amministrazione sono diversi: giocati gli uni sulle scadenze elettorali, gli altri sulla complessità dei processi messi in atto. Questo è in parte vero e inevitabile. Ma se la politica rinuncia per vigliaccheria a fare scelte strategiche che possono dare i propri risultati magari quando gli eletti saranno “gli altri”, se non è capace di mediare sì gli interessi, ma alla fine di definire le priorità sotto forma di obiettivi di mandato, se accetta tutto e promuove tutto non realizzando poi nulla allora non c’è rete che tenga. La nostra costruzione ha nella buona politica le sue fondamenta insostituibili. La buona politica è quella che definisce con chiarezza il “valore pubblico” da conseguire e individua con sagacia i soggetti pubblici, profit e non profit in grado di conseguirlo.

c. ruoli chiari tra arbitri e giocatori
altrettanto importante è la definizione delle regole del gioco e la distinzione netta tra i ruoli. In questo campo temo che stiamo facendo passi indietro: la ripubblicizzazione della formazione pubblica attuata dalla recente manovra finanziaria, l’uso sempre più massiccio degli affidamenti in house, la demonizzazione della consulenza privata sono solo alcuni esempi di un virus di confusione e di diffidenza che dimostra da una parte la scarsa capacità di governo con la rete, dall’altra la fatica ad abbandonare il modello autarchico.

d. adeguato e costante coordinamento: dai tavoli alla sala regia
lavorare con la rete non vuol dire abbandonare il ponte di comando, anzi vuol dire stare con sempre maggiore autorevolezza al timone. Tavoli di lavoro comuni, cabine di regia, strutture stabili di concertazione, strumenti condivisi di misurazione, valutazione e rendicontazione sono tutti strumenti indispensabili per il network manager.

7. Il ruolo chiave delle tecnologie
Senza l’uso delle ICT il “governo con la rete” è semplicemente impossibile: abbiamo bisogno di una pubblica amministrazione integrata nei suoi vari livelli orizzontali e verticali e capace di parlare la stessa lingua tecnologica dei suoi partner. Una struttura portante digitale è quindi indispensabile.
E’ inutile dire che in questo campo c’è ancora moltissimo da fare: non tanto come strumentazione di base delle amministrazioni, quanto come sistema-Paese. Già più volte abbiamo messo in luce delle carenze strutturali date dal moltiplicarsi delle basi dati, dalla numerosità dei centri di calcolo, dalla non pubblicizzazione dei dati pubblici, dalla gestione proprietaria delle informazioni di ciascuna amministrazione.
Su questa strada il dispiegarsi effettivo del progetto SPC (Sistema Pubblico di Connettività), come protocollo per una federazione di reti pubbliche interoperabili, sarebbe fondamentale. Ma gli investimenti latitano e con un oggettivo rallentamento della spinta regolativa e propulsiva dell’Agenzia preposta (DigitPA) sembra venir meno anche una politica unitaria, lasciando il posto a pur lodevoli iniziative regionali, a volte anche coordinate tra loro, ma che non sono un progetto-Paese.
Inoltre per avere una rete efficiente non è più eludibile una strategia di medio periodo di infrastruttura a larga banda e in prospettiva di reti di nuova generazione (NGN): qui le indecisioni politiche (che fine farà il progetto di una società pubblica della rete?) , la carenza di investimenti, l’incertezza nelle regole rischiano di far perdere all’Italia un treno prezioso dove tutti i nostri competitor stanno salendo.
Ma ci sono almeno altri due aspetti strategici nell’uso delle tecnologie che sono interessanti per il “governo con la rete”. Il primo è quello della e-democracy e della e-participation che è stato oggetto del nostro precedente capitolo; il secondo riguarda quell’amministrazione 2.0 che è al centro della nostra attività. Ne accenniamo brevemente riprendendo un intervento di Michele Vianello, ex vicesindaco di Venezia e ora direttore generale del Parco Scientifico e Tecnologico Vega.
“La prima cosa da chiarire è che il 2.0 non è una tecnologia ma una filosofia che guida l’azione. L’approccio 2.0 – ci dice Michele Vianello – vuol dire condividere, mettere in rete, passare dal “mio” al “nostro”, in una logica di processo orizzontale”. Nel mettere in guardia le pubbliche amministrazioni da facili slogan e meccanismi perversi, avverte che non servono grandi leggi, ma tre ingredienti imprescindibili: la trasparenza, la condivisione e l’ascolto dei cittadini sul modo in cui l’amministrazione si è organizzata, una figura responsabile della reale “apertura”.

8. I nemici del governo con la rete
Se abbiamo sin ad ora messo in evidenza le grandi potenzialità del governo con la rete non possiamo tacere che è un esercizio difficile e pieno di insidie. Cerchiamo di vederne le principali senza discuterle ulteriormente:

a. una discordanza di obiettivi tra i soggetti che impedisca un’azione congiunta

b. una carente azione di coordinamento, che non può che restare appannaggio delle amministrazioni pubbliche

c. una sorveglianza sciatta degli output e soprattutto degli outcome da parte della pubblica amministrazione

d. una comunicazione non chiara né ordinata che facilita un caos di informazioni non orientate

e. una carenza qualitativa e quantitativa dei dati sia in fase di progettazione, sia in fase di esecuzione e poi di rendicontazione. E’ un problema comune a tutti, ma che in Italia sta assumendo proporzioni drammatiche che impedisce qualsiasi serio benchmarking

f. infine, ma più importante di tutte, una carenza di capacità e di competenze di dirigenti e impiegati pubblici che, come dicevamo, sono stati scelti e formati per gli adempimenti, per la produzione di servizi, ma non per la negoziazione e la gestione di reti di soggetti diversi con interessi diversi

9. Nuovo modello, nuove competenze

Certo le tecnologie sono importanti e altrettanto lo sono le condizioni di contesto, ma quel che fa la differenza è la qualità del capitale umano. Per governare con la rete servono competenze nuove che non sono quelle che le amministrazioni hanno in genere valutato quando hanno assunto i propri dirigenti. Vediamole brevemente, anche qui con il prezioso sussidio del libro di Eggers e Goldsmith:

  • nuove competenze per i nuovi network manager

a. visione ampia e strategica in grado di evidenziare il “valore pubblico” che è insito nella missione o nel programma della rete

b. capacità di coaching

c. abilità nella mediazione e nella negoziazione

d. analisi dei rischi e loro gestione

e. capacità di affrontare problemi non convenzionali

f. buone capacità di comunicazioni interpersonali

g. gestione delle squadre e dei progetti complessi (project management)

Queste nuove competenze devono mettere in grado tutta l’organizzazione a tutti i livelli di lavorare in rete. Una tabellina[2] ci aiuterà a definire cosa cambia nei due approcci per qualche funzione chiave:

Ruoli e competenze necessarie per la gestione delle reti
Ruolo
Modello gerarchico
Governo con la rete
Vertice apicale
  • stanziare risorse
  • fornire spiegazioni alla politica
  • comunicare il progetto all’esterno e all’interno
  • massimizzare il “valore pubblico”
  • identificare i soggetti della rete con i loro valori e i loro talenti
  • comunicare il progetto all’esterno e all’interno
Direttore generale
  • proteggere il capo
  • limitare la discrezionalità e i valori a valle
  • sviluppare e gestire le relazioni secondo la strategia scelta
  • capire le necessità del cliente e dei partner della rete
Dirigente
  • far rispettare le norme
  • monitorare gli input
  • dirigere le squadre
  • gestire progetti e risultati
Impiegato
  • seguire le norme
  • risolvere i problemi del cliente
Responsabile acquisti
  • prescrivere norme
  • rendere operativi rigidi processi neutrali e impersonali
  • negoziare
  • stimolare e assimilare le idee migliori
  • stipulare contratti per consulenze esterne
CIO / responsabile ICT
  • acquisti diretti, strategia e manutenzione della tecnologia
  • gestire con strumenti tecnologicamente avanzati la raccolta e la diffusione delle conoscenze
  • Ovviamente in tutto questo processo è centrale la formazione strutturata e la costruzione di una learning organization in grado di fornire o rafforzare le competenze necessarie on the job. Tagliare le spese per la formazione è, da questo punto di vista sciagurato, così come lo è il taglio degli investimenti per una buona consulenza o per una efficace comunicazione.

10. 2011 anno europeo del volontariato: un’occasione non rituale per una riflessione
Il prossimo anno è stato dichiarato dall’Unione Europea, invero un po’ in sordina, come “Anno Europeo del Volontariato”. Sta a noi che farci. Possiamo fare qualche bella parata di volontari in divisa e bearci, una volta tanto, del fatto che l’Italia è ai primi posti per numero di volontari, o possiamo provare a capire come questa forza può essere parte integrante e non sussidiaria di una ripresa che prima che economica deve essere civile e sociale.
Noi a FORUM PA 2011 vorremmo seguire questa più difficile strada e provare anche in questo caso a promuovere e mostrare le reti e il governo con la rete. In una interessante conversazione con il responsabile dei rapporti con il volontariato del Dipartimento della Protezione civile scopriamo ad esempio che più della metà di tutta l’opera prestata per il terremoto dell’Aquila è venuta da volontari, per la maggior parte organizzati in associazioni, che costituiscono una formidabile rete di sostegno all’emergenza. Già da questo esempio ci accorgiamo che, parlando di volontariato, non stiamo parlando di attività marginali di supporto, ma del nucleo portante di alcune politiche pubbliche. Imparare a “governare con la rete” è la strategia per utilizzare al massimo questa forza che, seppure “esterna” alla struttura dell’amministrazione pubblica, è invece del tutto “interna” al Paese e ne costituisce un importante asset.


[1] Stephen Goldsmith, William D. Eggers “Governare con la rete – per un nuovo modello di pubblica amministrazione” – IBL libri – Torino 2010 – pag. 26
[2] Goldsmith e Eggers, vol. citato, pag. 222

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