Capitolo 4. Mind the gap, please!
Chi è stato almeno una volta a Londra non potrà più dimenticare il ritornello buffo che accompagna ogni fermata della Metropolitana “Mind the gap!”: state attenti al “distacco” tra banchina e treno, altrimenti fate una brutta fine!
Mind the gap! Viene da dire anche ora a questa Italia che, invece di stendere e curare reti che uniscono, rischia di approfondire sempre più i distacchi.
Mind the gap! Viene da dire alle istituzioni che sembrano smarrite, senza un progetto che vada al di là dello spazio di qualche settimana, sempre più distanti dalla vita delle persone.
Mind the gap! Viene da dire ad una classe dirigente senza identità e sempre più autoreferenziale nella difesa di privilegi corporativi, coperti spesso da parole consumate che, come stoffe lise da troppo uso, fanno intravedere la trama.
24 Novembre 2010
Carlo Mochi Sismondi
Chi è stato almeno una volta a Londra non potrà più dimenticare il ritornello buffo che accompagna ogni fermata della Metropolitana “Mind the gap!”: state attenti al “distacco” tra banchina e treno, altrimenti fate una brutta fine!
Mind the gap! Viene da dire anche ora a questa Italia che, invece di stendere e curare reti che uniscono, rischia di approfondire sempre più i distacchi.
Mind the gap! Viene da dire alle istituzioni che sembrano smarrite, senza un progetto che vada al di là dello spazio di qualche settimana, sempre più distanti dalla vita delle persone.
Mind the gap! Viene da dire ad una classe dirigente senza identità e sempre più autoreferenziale nella difesa di privilegi corporativi, coperti spesso da parole consumate che, come stoffe lise da troppo uso, fanno intravedere la trama.
Ma vediamo alcuni di questi distacchi, partendo dalle parole di qualche giorno fa del Presidente Napolitano: “L’indebolirsi della partecipazione delle giovani generazioni, dei lavoratori, dei cittadini alla vita politica, il distacco dalle istituzioni repubblicane e dalle organizzazioni rappresentative di un molteplice impegno politico e sociale, sono rischi da scongiurare attraverso ogni libera nuova iniziativa.”
Per non rischiare il ridicolo con proclami nazionali che, opportuni in bocca al Presidente della Repubblica, suonerebbero stonati detti da me, mi limiterò in un paio di articoli a mettere in luce qualche esempio, cercando, come è nello spirito di questo dossier, di applicare il modello del “Governo con la rete” per vedere se qualcuno di questi vuoti minacciosi può, se non colmarsi, almeno far meno paura.
Oggi parleremo quindi di gap riguardo all’amministrazione digitale e al federalismo. La settimana prossima parleremo delle “fratture” nel pubblico impiego, nella strategia per gli open data e la trasparenza, nelle politiche di ricerca e innovazione.
Con queste due ultime tappe si chiuderà il nostro dossier “Fare rete!” e si aprirà subito dopo una consultazione con tutti voi sotto forma di un sondaggio (con il nostro strumento PanelPA che già conoscete) su ostacoli e opportunità del “governo con la rete”.
1. L’Amministrazione digitale.
Qualche giorno fa abbiamo messo in evidenza sul nostro sito un master che organizza l’Università La Sapienza di Roma sul tema importantissimo dell’Interoperabilità. È stata l’occasione per ricevere una lettera firmata che evidenzia il primo gap. Quello tra l’amministrazione digitale sognata (e a volte, a macchia di leopardo, anche in parte attuata) e quella che vivono ancora molti impiegati pubblici.
Ve la ripropongo tal quale:
“Caro Presidente,
vedo sul vostro sito un banner che pubblicizza un master della Sapienza sulla interoperabilità per la pubblica amministrazione e le imprese. Sorprendente.
Lo sa che per prendere le penne all’economato della Sapienza noi dipendenti dobbiamo compilare una richiesta con firma del Capo Settore su un blocco con la carta carbone? Lo sa che a tutt’oggi la Sapienza ha un solo indirizzo di pec attivo, pur avendo – anche dopo la ripulita del Rettore – 11 Facoltà, 67 dipartimenti, 10 ripartizioni centrali e altrettanti uffici particolari, per un totale di più di 5000 tecnici amministrativi e 4000 docenti?
Lo sa che l’unica procedura di gestione documentale che abbiamo – quella per l’inoltro delle "cartelline" al Senato accademico e al Consiglio di amministrazione (ossia le relazioni per i punti degli ordini del giorno) – è in realtà una triste farsa, perché di ogni cosa bisogna fare un cartaceo con tre timbri e tre firme di diversi livelli gerarchici?
Lo sa che se voglio essere presa sul serio dai miei colleghi devo, per ogni passaggio di carte, produrre una lettera di trasmissione in doppia copia, di cui una copia (la minuta) viene firmata dall’ufficio ricevente e io devo metterla agli atti per dimostrare che ho realmente portato quella pratica? Tutto questo nel 2010 con l’e-mail e le firme digitali, per tacere del fatto che alla Sapienza, portare le pratiche da un ufficio all’altro, significa portarle da un edificio all’altro (e poi si parla di produttività…); certo va molto meglio agli uffici del personale che essendo solo su due piani possono utilizzare il carrello del supermercato per portare le pratiche.
Ora io ho studiato alla Sapienza e sono 2 anni che sono assunta ufficialmente: tutto questo continua a sembrarmi surreale, perché almeno il 40% del tempo di lavoro lo spendiamo a portare le cose da un posto all’altro e a produrre lettere di trasmissione, e non è che con questo le pratiche si perdano di meno, anzi…
Non le parlerò dei mali che sono comuni a tutte le amministrazioni: cartellini timbrati non dai legittimi proprietari, persone che hanno semplicemente smesso di lavorare, ma che lo stipendio invece se lo prendono uguale, una non trascurabile percentuale di maniaci depressivi, una patologica resistenza a cambiare le cose, il terrore della condivisione dei dati – ognuno vede solo quello produce il proprio ufficio – il corporativismo lassista dei sindacati che dopo anni ancora difende chi palesemente ha danneggiato la reputazione di tutta la categoria.
Sarebbe molto bello se, prima di vendere interoperabilità di dati e altri magici modelli di gestione della macchina pubblica, di cui i nostri docenti sembrano essere così esperti, qualcuno si rivolgesse a loro per chiedergli di operare sulla loro stessa amministrazione.”
Al di là dello scoramento, l’analisi della situazione proposta dalla nostra lettrice (a proposito è un caso unico o anche voi vi ci riconoscete almeno in parte?) evidenzia un numero impressionante di gap:
- la frattura tra dirigenza e impiegati
- la frattura tra colleghi
- una frattura drammatica nelle infrastrutture, logiche prima ancora che tecnologiche, di rete
- la distanza tra annunci e vita di tutti i giorni
- infine, ma è il più grave, il gap sotteso a tutta la lettera, tra il livello delle aspettative di chi entra in un posto pubblico (ed è giustamente considerato tra i pochi privilegiati) e il livello della routine quotidiana.
Forse (ma non ne sono sicuro) siamo in una situazione “al limite”, ma il malessere che qui si evidenzia è più generale: le tecnologie da sole non si auto impongono. Hanno bisogno di coraggiose strategie di implementazione che spesso mancano.
L’approvazione a giorni del Codice dell’Amministrazione Digitale (il nuovo CAD) è certo una buona cosa, ma potrà fare quello che fanno le leggi, ossia abbastanza poco. Serve qualcos’altro.
Noi proponiamo come ponte, per non cadere nel “vuoto” evidenziato dalla lettera, la strategia dello switch-off. Fissare un termine dopo il quale nessuna comunicazione cartacea tra amministrazioni sia in nessun caso valida, né accettata in nessun ufficio. Ingenuità la nostra? Non credo: abbiamo studiato su questo, presentando un dossier con il nostro Osservatorio “Il futuro della Rete” e diciamo che si può fare anche ora, se c’è il coraggio. Certo nemici ci sono ad ogni angolo: c’è chi dice che non ci sono i soldi (vero, ma fuori tema), c’è chi dice che non ci sono le professionalità (vero, ma la formazione seguirà il bisogno, sempre che non continueremo a stangarla con sciagurati tagli), c’è, infine, chi non dice nulla e, in silenzio, cerca di perseverare nello status quo perché è più facile così conservare privilegi, far scomparire e riapparire in cima carte o domande, mantenere il potere che nasce da una mancanza di trasparenza impossibile da vincere con i mezzi che la lettera ci racconta.
In questo caso la rete che proponiamo, la rete relazionale che proviamo a costruire, deve legare strettamente innanzi tutto le amministrazioni migliori, perché facciano sentire la loro voce, poi i responsabili dell’informatica pubblica, perché prendano coscienza della loro centralità nelle amministrazioni e sbattano con maggiore forza, non essendo soli, i pugni sul tavolo della loro dirigenza apicale (noi appena possiamo cerchiamo di farli incontrare e parlare assieme e ne esce fuori sempre un arricchimento), poi le aziende di ICT che, facendosi un esame di coscienza, prepongano all’interesse immediato della vendita purché sia, una visione strategica dell’amministrazione digitale che deve essere promossa in forma “precompetitiva”, infine gli stessi impiegati pubblici che, digitali in casa, diventano analfabeti in ufficio.
2. Il federalismo
Venerdì scorso sono stato ad un convegno in un paesino dell’alta padovana (nel Camposampierese se qualcuno si orienta da quelle parti), per discutere di come fare sviluppo insieme. Ero ospite di un’esperienza straordinaria di Unione di comuni (aiutata anche da una legge regionale intelligente) che hanno fatto veramente rete e stanno promuovendo, assieme alle forze sociali (imprenditori, sindacati, terzo settore e volontariato), quell’innovazione empatica di cui vi ho parlato nel primo capitolo di questo dossier.
Proprio lì, in quella sala comunale molto semplice, mi veniva alla mente con forza il gap che c’è tra il federalismo dichiarato dalla “politica strillata” e quello di cui avremmo bisogno.
Il federalismo di cui abbiamo bisogno è quello che, partendo dalla sua stessa etimologia (la parola viene come sappiamo da foedus che vuol dire patto che unisce), si basi su regole chiare di convivenza solidale. Il federalismo di cui abbiamo bisogno è basato su quella “identità sostenibile” dei territori che non nasce per dividere, ma per unire nel rispetto (è qui il nuovo concetto di sostenibilità) sia delle tante identità (vecchie e nuove) che compongono i nostri sistemi regionali sempre più multietnici, sia dell’ ecosistema dei beni naturali, culturali, paesaggistici su cui ciascun territorio è stato modellato.
Ad oggi è molto difficile indovinare che fine farà la legislatura, con essa è a rischio un’altra volta quel famoso “Codice delle Autonomie” che avrebbe dovuto regolare in forma chiara e definita l’assetto istituzionale della Repubblica, così radicalmente mutato dalla riforma del 2001 del Titolo V della Costituzione. Una legge non è in sé un antidoto alla frattura (il gap appunto) che si va approfondendo tra lo slogan[1] del federalismo e la sua attuazione sostenibile, ma se non è condizione sufficiente certo è condizione necessaria per mettere fine alla grande confusione istituzionale di questi dieci anni. Siamo già al quarto tentativo di fare ordine e si rischia di non farcela neanche questa volta, anche se il disegno di legge è stato approvato alla Camera, ed è ad un paio di settimane in Prima Commissione al Senato (Atto Senato n. 2259).
Mi permetto quindi, anche se sottovoce, di riproporre qui quanto elaborato da un’altra di quelle reti intelligenti cui noi di FORUM PA vogliamo dar voce, quella dei Direttori generali degli enti locali. La loro associazione, l’ANDIGEL, già qualche anno fa aveva proposto al legislatore un decalogo per il codice delle autonomie. Ve lo ripropongo qui nella versione di due anni fa che, ahimè, può essere attuale tal quale:
Appare sempre più necessario dare attuazione alla riforma costituzionale che nel 2001, con la modifica del Titolo V della Carta, ha ridisegnato profondamente l’organizzazione della Repubblica. Un nuovo Testo Unico degli Enti locali è ancora alle prese con un difficile percorso parlamentare; i Direttori generali auspicano si dia seguito a questa iniziativa con un provvedimento che sia profondamente rispettoso della riforma costituzionale e permetta un corretto funzionamento degli Enti. Ecco il loro “decalogo”.
1. Non disciplinare oltre il dovuto e | Il nuovo Testo Unico degli Enti Locali o “Codice delle Autonomie” deve essere una Legge di soli principi. Deve perciò disciplinare le materie tassativamente indicate dalla Costituzione all’art. 117, comma 2, lett. P e cioè le funzioni fondamentali. Non deve aggiungere né togliere funzioni e compiti definiti dalla Costituzione. |
2. non moltiplicare gli Enti, | È opportuno che il Codice ribadisca che il sistema delle autonomie locali è formato dagli unici organismi previsti dalla Costituzione: Province, Comuni, Città metropolitane. Devono quindi essere posti i limiti alla proliferazione di enti e organismi valorizzando al massimo tutti gli strumenti per realizzare accordi tra enti locali. |
3. rispettando la loro autonomia e confermando la distinzione tra gestione e indirizzo politico. | È necessario evitare interpretazioni estensive del concetto di “funzioni fondamentali” che mirino a far rientrare l’organizzazione degli enti locali in una qualsivoglia riserva di legge statale. Ribadire che l’organizzazione degli enti (intesa come modalità complessiva dell’esercizio delle funzioni) e l’ordinamento del personale sono materie attribuite alla potestà statutaria e alla potestà normativa (di natura regolamentare) dei singoli enti. |
4. Promuovi l’efficienza e la managerialità della gestione, confermando la distinzione tra gestione e indirizzo politico | È opportuno garantire che la distinzione tra gestione e indirizzo/controllo è il solo principio inderogabile. Per questo è fondamentale rendere il dirigente pienamente responsabile e responsabilizzato. E’ utile che il Codice rafforzi in sede statutaria e regolamentare le condizioni per una gestione manageriale ed efficiente degli Enti, che ha consentito il superamento delle logiche burocratiche e formalistiche e una forte spinta all’innovazione negli enti che si sono avvalsi di professionalità portatrici di valori e metodologie prima sconosciute. |
5. rafforzando gli strumenti di programmazione e valutazione, | È importante rafforzare in sede statutaria e regolamentare ruolo e valenza strategica di strumenti, quali il piano esecutivo di gestione e il piano degli obiettivi, i sistemi di valutazione delle prestazioni che, nei casi in cui sono stati gestiti dalle idonee competenze professionali, hanno consentito un reale cambiamento degli enti con miglioramenti del livello di qualità delle prestazioni direttamente percepiti dalle collettività amministrate. |
6. rivedendo profondamente la parte seconda del vecchio TUEL sull’ordinamento finanziario e contabile degli EL e | Per quanto riguarda la parte II del TUEL n. 267/2000, concernente l’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, si rende necessaria una drastica riduzione e riconversione della normativa vigente (120 articoli) sulla base delle seguenti linee: a. Soltanto principi fondamentali: b. Armonizzazione del bilancio: c. Grande semplificazione: d. Le tesorerie sono degli enti locali: e. Integrazione dei controlli: |
7. unificando e qualificando meglio i luoghi della formazione. | È il momento di creare un sistema integrato della formazione della dirigenza sotto la responsabilità congiunta delle associazioni rappresentative delle autonomie locali e del Governo valorizzando le professionalità portatrici di innovazione già sperimentata negli enti. Occorre quindi superare la frammentarietà e l’autoreferenzialità delle attuali scuole pubbliche aprendo al mercato la possibilità di fornire servizi formativi al sistema integrato Stato – Autonomie. Occorre inoltre sviluppare un sistema di scambio e mobilità delle migliori professionalità togliendo rigidi limiti e garanzie irragionevoli in alcune aree per creare elenchi accessibili e aperti di professionisti disponibili ad aprirsi a nuove esperienze. |
8. Promuovi intelligentemente la concorrenza nei servizi locali di pubblica utilità e | Il Codice dovrà ribadire/mantenere la gestione dei servizi in economia diretta come possibilità residua (già oggi prevista così nel TUEL). Rivedere il sistema della gestione dei servizi (in attuazione dei principi della concorrenza nei servizi pubblici). Prevedere che l’istituzione diventi un ente con personalità giuridica (con dipendenti propri ecc.), di completa proprietà degli enti pubblici, prevedendo inoltre la compatibilità tra ruolo di assessore e amministratore di istituzione al fine di renderla l’unica possibilità di gestione indiretta con controllo analogo a quello esercitato sui servizi dell’ente. |
9. favorisci la gestione associata dei servizi come scelta ordinaria | Il Codice dovrà favorire ancora di più la gestione associata tra più enti e la relativa organizzazione fino ad indicarla come soluzione ordinaria e automatica per enti fino ad una certa dimensione e lasciare come modalità eccezionale e motivata la gestione a livello di singolo ente. L’istituzione (con personalità giuridica) diventa lo strumento privilegiato per la gestione associata di servizi tra enti. |
10. Dacci certezza di risorse con l’avvio effettivo del federalismo fiscale | È fondamentale che il Codice sia l’occasione per promuovere il concreto avvio del federalismo fiscale, il superamento del sistema dei trasferimenti erariali, una compartecipazione dinamica ai grandi tributi erariali e alla ricchezza generata dal territorio, la definizione di meccanismi di perequazione di cui gli enti locali siano compartecipi nella determinazione dei criteri e nella gestione. |
Il sistema che questo decalogo propone rende possibile lo sviluppo di alcune condizioni che sono essenziali per fare rete tra istituzioni locali, tra queste quelle che mi sembrano più importanti sono:
- una visione condivisa del passato, presente e futuro di un territorio che risponda ad alcune domande solo apparentemente banali: quale è la storia che ci ha formato? chi siamo ora, quali sono i soggetti in campo e quale è il nostro assetto socio demografico? come vogliamo essere tra cinque, dieci, venti anni?
- una politica capace a contemperare i suoi tempi (dati dalle scadenze elettorali ormai a getto continuo) con quelli degli obiettivi ambiziosi di cui un territorio ha bisogno
- una dirigenza pubblica indipendente e competente, dotata di efficaci strumenti di misurazione e valutazione , impegnata ad una confrontabile e trasparente rendicontazione, formata alla negoziazione e al project management
- un’efficace rete sia logica che tecnologica per condividere dati e informazioni
- una costante attenzione a creare spazi fisici e virtuali di partecipazione.
[1] Vi consiglio di leggere l’illuminante saggio di Luciano Vandelli su questo “Devolution ed altre storie” edito da “Il Mulino”. E’ di qualche anno fa, ma drammaticamente attuale