L’intervista di Gianni Dominici a Claudio De Vincenti, Professore di Economia Politica all’Università di Roma “La Sapienza”, che indica la cultura del sospetto come causa di un eccesso di norme e di cautele contro la corruzione, norme e cautele che hanno reso più opaco il processo decisionale. In estrema sintesi abbiamo bisogno di una PA determinata a fare
19 Ottobre 2020
Redazione FPA
I finanziamenti che l’Europa sta mettendo in campo con il nuovo Quadro finanziario pluriennale (QFP) 2021-2027 che ammonta a 1.074,3 miliardi, più le risorse del programma Next Generation EU che ammonta a 750 miliardi disegnano un modello di sviluppo, quasi di cambiamento radicale, basato su economia verde, transizione al digitale, e specializzazione intelligente. Quale opportunità ha il mezzogiorno per contribuire allo sviluppo di un modello simile?
Il tema è legato alla nostra iniziativa FORUM PA Sud, nel più ampio percorso di Restart Italia, e ha ispirato questa intervista di Gianni Dominici a Claudio De Vincenti, Professore di Economia Politica all’Università di Roma “La Sapienza”, già Ministro per la Coesione territoriale e il Mezzogiorno.
L’intervista
Le principali risorse europee per la ripresa post-Covid19 rappresentano un’occasione straordinaria per il nostro paese nel suo insieme, per ricostruire le basi strutturali della crescita di lungo periodo, e in particolare per il mezzogiorno che ha ora la possibilità di partecipare alle attività della catena del valore nazionale.
De Vincenti segnala che la straordinarietà di questa occasione è testimoniata dai numeri. “Abbiamo un budget complessivo dell’Unione Europea (il cosiddetto QFP) che, nonostante l’uscita della Gran Bretagna che ha ridotto le risorse a disposizione del bilancio comunitario, aumenta complessivamente lo stanziamento di risorse rispetto al precedente ciclo. A queste si aggiungono quelle di Next Generation EU ed è interessante notare che il grosso di quei 750 miliardi (722 miliardi di euro) viene collocato nell’ambito della voce coesione resilienza, all’interno della quale ci sono il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e il Fondo sociale europeo (FSE), che sono i tradizionali fondi di coesione che l’Italia usa. A questi fondi di coesione si aggiungono il recovery fund, oltre 200 miliardi di euro ulteriori per il nostro paese da spendere entro 2026, e poi c’è React-Eu che sono circa altri 10 miliardi. Stiamo parlando di 210 miliardi in più rispetto ai fondi di coesione tradizionalmente intesi”.
Sono risorse che vanno dedicate agli investimenti pubblici e privati. “Sono – afferma De Vincenti – risorse di sostegno agli investimenti privati, attraverso forme come industria 4.0, credito d’imposta per gli investimenti al sud, credito di imposta per le zone speciali. Devono essere assolutamente aggiuntive rispetto a quelle nazionali sugli investimenti e questo riguarderà la nostra capacità di programmazione e progettazione nel presentare progetti credibili sui i tre capitoli principali per ridare slancio all’economia Europea: la transizione verde, strettamente connessa con la costruzione di un’economia ambientalmente neutrale; la transizione digitale connessa alla capacità di usare le tecnologie digitali e la specializzazione intelligente, che è una strategia avviata nel precedente ciclo di programmazione e che valorizza le componenti più dinamiche dell’economia Europea, dell’economia italiana e dell’economia meridionale”.
Che opportunità ha il sud?
“Il sud ha sviluppato negli ultimi 8 anni delle filiere produttive importanti, con alti livelli di avanguardia in Italia, che sono state definite le “4A” più “Pharma”: l’automotive, l’abbigliamento, l’agroalimentare e l’aerospazio”.
Quindi ci sono dei punti di forza, ma ci sono anche delle ferite ambientali da sanare. I ritardi nello sviluppo della rete idrica del Mezzogiorno, le tante situazioni in cui ci sono sospensioni nella fornitura di acqua, i ritardi nella rete dei depuratori. “Purtroppo – evidenzia De Vincenti – siamo sotto procedura di infrazione in Europa, in gran parte per le realtà del Mezzogiorno, per il ritardo nella realizzazione sia di impianti di depurazione che di impianti di smaltimento rifiuti, e non per mancanza di fondi. Molte amministrazioni del Sud, invece di spiegare ai cittadini come quel tipo di impianti migliori la qualità ambientale e la tutela della salute, hanno spesso cavalcato queste forme di opposizione irrazionali.
Questo in Europa è incomprensibile, c’è bisogno di un passaggio culturale”.
Per quanto riguarda il digitale, con il piano banda ultralarga, avviato col governo Renzi, sono stati compiuti degli investimenti nel mezzogiorno, nelle cosiddette aree bianche (in cui le imprese non vanno spontaneamente a costruire la rete in fibra). “Esiste dunque la base infrastrutturale per fronteggiare il digital divide, ma c’è un problema di investimento nelle competenze digitali che – dice De Vincenti – dobbiamo sostenere e supportare”.
“In estrema sintesi – continua De Vincenti – abbiamo bisogno di una PA competente e autorevole e molto determinata a fare. Qui ci sono problemi di contesto che vanno affrontati e poi problemi interni alla PA. Negli ultimi 20, forse 30 anni, si è accumulata una legislazione che ha creato un vero ginepraio di regole, norme, di passaggi delle procedure, di frammentazione delle competenze, che rende tutto molto complicato e difficile. Una legge deve essere molto chiara, semplice e autoapplicantesi”.
In più andrebbero fatti degli interventi mirati. Un primo aggiustamento riguarda il codice degli appalti, che non va sospeso. Per De Vincenti si tratta di concentrare, nella fase dello studio di fattibilità, tutti i passaggi di verifica del consenso tra le amministrazioni, sia centrali che regionali che locali, per poi passare direttamente al progetto definitivo o a quello esecutivo. E questo significa semplificare e rendere gestibile tutto il processo successivo. “Il decreto semplificazione contiene in tal senso dei miglioramenti, ma sono tutti concentrati nella fase di gara, mentre i veri nodi da sciogliere sono nei processi autorizzatori”.
Occorre investire sulla cultura del fare che è il contrario della cultura del sospetto, che per anni ha reso più opaco il processo decisionale.