Codice dei contratti pubblici: i nuovi principi del procurement

Home Riforma PA Codice dei contratti pubblici: i nuovi principi del procurement

Il nuovo Codice dei Contratti pubblici è entrato in vigore il 1° aprile e le sue disposizioni saranno efficaci a partire dal 1° luglio 2023. Tra le novità della riforma vi è il titolo I della Prima Parte del Codice, interamente dedicato ai “principi generali”, e già dalla lettura delle rubriche si intuisce il profondo cambio di approccio alla materia del public procurement che il nuovo Codice vuole segnare. Parleremo delle principali novità in diversi appuntamenti durante FORUM PA 2023

14 Aprile 2023

C

Paola Conio

Avvocato, Senior Partner Studio Legale Leone

Foto di Unseen Studio su Unsplash - https://unsplash.com/it/foto/s9CC2SKySJM

Il nuovo Codice dei Contratti pubblici è entrato in vigore il 1° aprile e le sue disposizioni saranno efficaci a partire dal 1° luglio 2023. Tra le novità della riforma vi è il titolo I della Prima Parte del Codice, interamente dedicato ai “principi generali”. Si tratta di ben dodici articoli, ciascuno dei quali dedicato ad un principio, e già dalla lettura delle rubriche si intuisce il profondo cambio di approccio alla materia del public procurement che il nuovo Codice vuole segnare.

Si potrebbe pensare che si tratti di disposizioni meramente formali, aventi un limitato impatto sulla disciplina della materia e sull’operatività concreta delle nuove norme. In realtà, però, non è così. Oltre a costituire – per espressa previsione del legislatore delegato – criteri interpretativi di tutte le norme successive, i principi generali hanno un significativo impatto diretto sulla disciplina della materia.

A) I tre principi cardine

L’art. 4 del Codice Contratti introduce il “criterio interpretativo e applicativo” di tutte le disposizioni del Codice.

Si tratta dei primi tre principi generali, ovvero quelli del risultato, della fiducia e dell’accesso al mercato, che sono destinati ad avere rilevanza rispetto ad ogni previsione della riforma, che dovrà quindi essere letta e interpretata tenendo conto dei criteri espressi dalle disposizioni citate, ma anche prendendo atto della gerarchia interna dei tre principi fondanti

Il Principio del risultato

È il primo principio, sancito nell’art. 1 del Codice. La sua posizione ne testimonia il predominante rilievo rispetto a quelli seguenti: il “risultato” – costituito dall’affidamento del contratto e dalla sua esecuzione con la massima tempestività il migliore possibile rapporto tra qualità e prezzo – viene posto come elemento centrale, scopo stesso dell’azione amministrativa, rispetto al quale i principi di legalità, trasparenza e concorrenza, che pure devono essere rispettati, non costituiscono più valori in sé stessi, ponendosi piuttosto in una logica di “mezzo” a “fine”.

Il comma 2, difatti, specifica che “la concorrenza tra gli operatori economici è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti. La trasparenza è funzionale alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione delle regole del presente decreto, di seguito denominato «codice» e ne assicura la piena verificabilità”.

Da quanto precede scaturisce naturalmente la previsione del quarto e ultimo comma della disposizione, ovvero il fatto che il principio del risultato “costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto” e dunque anche criterio per valutare la responsabilità dei funzionari e dei tecnici coinvolti in ogni fase del ciclo di procurement, dalla programmazione all’esecuzione, nonché per  l’attribuzione degli incentivi, che non saranno quindi disgiunti dal conseguimento degli obiettivi posti.

Questa previsione è estremamente importante e si collega strettamente ad altre disposizioni del Codice (anche relative ai compiti e alle responsabilità del nuovo RUP), facendo riemergere prepotentemente il valore della discrezionalità amministrativa – ormai da lungo tempo temuta e sostanzialmente osteggiata dalla normativa sui contratti pubblici – che, ovviamente, è la sola bussola a poter guidare, nella fattispecie concreta, verso il conseguimento del risultato.

Il principio del risultato attua, nel settore dei contratti pubblici, il principio del buon andamento e dei correlati principi di efficienza, efficacia ed economicità, i quali, quindi, solo nell’ambito di un “risultato” conseguito possono essere effettivamente apprezzati. La norma specifica che il risultato è perseguito “nell’interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione europea”.

Il Principio della fiducia

Strettamente connesso al primo, il principio della fiducia – cui è dedicato l’art. 2 – vuole rifondare radicalmente il rapporto tra i funzionari pubblici e gli operatori privati, ma anche e, forse, soprattutto ricostruire la fiducia del sistema nei propri funzionari.

Come specifica il secondo comma della disposizione, difatti, “il principio della fiducia favorisce e valorizza l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato”.

In altre parole, torna il medesimo concetto già espresso nell’art. 1: il funzionario pubblico guarda al risultato e, per conseguirlo nel caso concreto, esercita la discrezionalità amministrativa e la propria autonomia decisionale, in un clima di fiducia del sistema.

Non vi è dubbio, difatti, che proprio l’aura di sospetto e la malcelata sfiducia nella correttezza dell’azione amministrativa, uniti alla paura dei funzionari di sbagliare seppure perseguendo in buona fede un risultato utile per la PA, abbiano generato la c.d. burocrazia difensiva che tanta parte ha avuto e ha nella paralisi di molti interventi e iniziative.

Per tranquillizzare gli animi, il terzo e quarto comma della disposizione dettano, rispettivamente, ulteriori criteri di valutazione della responsabilità e regole per la promozione della fiducia nell’azione legittima.

Il primo stabilisce che nell’ambito delle attività svolte nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti, ai fini della responsabilità amministrativa costituisce colpa grave la violazione delle norme “di diritto” e degli auto-vincoli amministrativi, nonché la palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza e l’omissione delle cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste nell’attività amministrativama solo “in quanto esigibili nei confronti dell’agente pubblico in base alle specifiche competenze e in relazione al caso concreto”.

Quindi, da un lato, si vuole rasserenare coloro che, all’interno delle pubbliche amministrazioni, per necessità spesso si trovano, soprattutto nelle realtà meno strutturate, a dover svolgere compiti oggettivamente superiori alle proprie competenze, dall’altro ricordare comunque la regola del “caso concreto” che sempre deve guidare ogni valutazione del comportamento tenuto dall’agente. Fermo questo, le parole utilizzate sembrano presentare imperfezioni linguistiche, non essendo chiaro a quale tipo di norma si contrapponga la norma “di diritto” (norma tecnica? norma di rango secondario?) né a quali “auto-vincoli” si faccia riferimento (quelli nei bandi di gara?), che potrebbero generare criticità applicative.

È, poi, aggiunta una ragione di esonero, stabilendosi che “non costituisce colpa grave la violazione o l’omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti.” In relazione a quest’ultima previsione, seppure evidentemente lodevole è l’intento che la anima, potrebbero sorgere criticità, da un lato perché non è sempre facile avere oggettiva certezza di quale sia “l’indirizzo giurisprudenziale prevalente” soprattutto nella iniziale fase di “rodaggio” delle nuove norme, tenuto anche conto di una certa mutevolezza delle posizioni espresse dalla magistratura ne corso del tempo, dall’altro neppure l’individuazione di quali siano le “autorità competenti” si presenta agevole, fermo restando che seppure venissero individuate il rischio della “corsa al parere” (peraltro magari non dato o dato in modo criptico o con ritardo) potrebbe costituire un inaspettato freno all’azione.

Il quarto e ultimo comma dell’articolo stabilisce che per promuovere la fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti adottano azioni per la copertura assicurativa dei rischi per il personale – tematica molto sensibile e avvertita soprattutto nel settore pubblico – nonché per riqualificare le stazioni appaltanti e per rafforzare e dare valore alle capacità professionali dei dipendenti. A quest’ultimo riguardo un ruolo fondamentale gioca la formazione e i relativi piani che stazioni appaltanti ed enti concedenti saranno tenuti ad adottare ai sensi dell’art. 15 comma 7 dello stesso Codice.

Il Principio dell’accesso al mercato

Se ai primi due principi sono dedicate disposizioni articolate, il principio dell’accesso al mercato consta solo di poche righe: “Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti favoriscono, secondo le modalità indicate dal codice, l’accesso al mercato degli operatori economici nel rispetto dei principi di concorrenza, di imparzialità, di non discriminazione, di pubblicità e trasparenza, di proporzionalità”.

Dimensione a parte, è chiaro che rispetto agli altri principi fondamentali e, in particolare, a quello del risultato, il principio di accesso al mercato svolge una funzione complementare.

L’uso del verbo “favoriscono” anziché altri maggiormente assertivi come attuano, garantiscono, assicurano e così via, testimonia il ruolo di “mezzo a fine” che già l’art. 1 aveva assegnato alla concorrenza, come strumento per raggiungere il miglior risultato possibile e non come valore in se stesso.

Di fatti è in questi principi e nella loro evidente gerarchia che affondano le radici le disposizioni del Codice che, per gli affidamenti di minore entità, impongono la strada dell’affidamento diretto o quella della procedura negoziata senza bando, avendo evidentemente predeterminato il Legislatore alcuni specifici casi concreti nei quali il perseguimento del principio del risultato passa attraverso il sacrificio, quanto meno parziale, di altri principi.

B) Gli altri principi ancillari

Un ruolo meno significativo, ma comunque rilevante, viene assegnato agli altri principi che, seppure non costituiscono criterio applicativo e interpretativo della riforma, comunque rappresentano delle importanti indicazioni, spesso in funzione chiaramente complementare e ancillare rispetto a quelle fornite dai principi fondamentali.

Si tratta dei:

  • Principi di buona fede e di tutela dell’affidamento
  • Principi di solidarietà e sussidiarietà orizzontale
  • Principio di auto-organizzazione amministrativa
  • Principio di autonomia contrattuale
  • Principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale
  • Principi di tassatività delle cause di esclusione e di massima partecipazione
  • Principio dell’applicazione dei CCNL

Il principio di buona fede e tutela dell’affidamento in parte si pone a complemento del principio della fiducia, in parte introduce di fatto delle limitazioni alla tutela dell’affidamento, che deve essere necessariamente incolpevole. I principi di solidarietà e sussidiarietà orizzontale consentono la cooperazione con gli enti del Terzo Settore. Il principio di auto-organizzazione amministrativa descrive il modello di autoproduzione in-house. Con il principio di autonomia contrattuale si ribadisce che le pubbliche amministrazioni possono concludere qualsiasi contratto che non sia vietato da altre disposizioni e si pone un argine – seppure non invalicabile – alla richiesta di prestazioni d’opera intellettuale gratuite ai professionisti.

Il principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale introduce l’obbligo di conservare nel tempo le condizioni originariamente pattuite laddove siano intervenute delle circostanze straordinarie e imprevedibili che le abbiano alterate. Esulano dalla previsione i rischi volontariamente assunti, quali ad esempio i rischi connessi alle operazioni di partenariato. È favorito l’inserimento di opportune clausole di rinegoziazione.

Con i principi di tassatività delle cause di esclusione e di massima partecipazione si prevede espressamente la nullità delle clausole di esclusione dalle gare ulteriori rispetto a quelle previste dagli artt. 94 e 95 del Codice e la facoltà per le stazioni appaltanti di introdurre requisiti speciali di qualificazione che siano attinenti e proporzionati all’oggetto del contratto, tenendo sì presente l’interesse pubblico al più ampio numero di potenziali concorrenti e favorendo l’accesso al mercato e la possibilità di crescita delle micro, piccole e medie imprese, ma sempre che questo  risulti compatibile con le prestazioni da acquisire e con l’esigenza di realizzare economie di scala funzionali alla riduzione della spesa pubblica.  Anche nell’enunciare questo principio “classico”, il Legislatore avverte quindi l’esigenza di filtrarlo espressamente attraverso il principio, immanente, del risultato.

L’art. 11 enuncia il principio di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore e detta disposizioni in materia di inadempienze contributive e ritardo nei pagamenti. Il CCNL di riferimento andrà indicato nei bandi e costituirà il benchmark di riferimento per gli eventuali diversi contratti collettivi applicati dai concorrenti, i quali non potranno prevedere tutele inferiori.

Affronteremo questa tematica durante il prossimo FORUM PA 2023, in presenza al Palazzo dei Congressi di Roma:

Academy| Il codice del futuro: le principali novità, 17 maggio dalle 14:00 alle 14:50

Scenario | Dalle novità normative alla realizzazione del cambiamento: lavoro, contratti, appalti, 18 maggio dalle 14:30 alle 18:00

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!