EDITORIALE
Come sopravvivere all’invadenza degli algoritmi: il problem solving creativo nelle pubbliche amministrazioni
Per le pubbliche amministrazioni che devono affrontare e gestire il futuro sono sempre più importanti competenze legate alla creatività, all’adattabilità, al pensiero critico e al pensiero laterale. Qualità e caratteristiche che difficilmente saranno nel breve sostituite dagli algoritmi. Ma allora, se non siamo geni e creativi, non abbiamo scampo e ruolo nel mercato del lavoro che si sta delineando? Non proprio, perché “la creatività non ha a che fare né con la follia né col possedere un’intelligenza fuori dal comune, ha piuttosto a che fare con il pensiero divergente”, con la capacità di usare elementi già esistenti in modo originale, per giungere a conclusioni nuove
10 Ottobre 2024
Gianni Dominici
Amministratore Delegato FPA
Le riflessioni, i commenti, gli approfondimenti in questo momento sempre più numerosi in merito all’impatto della diffusione dell’Intelligenza Artificiale generativa sul lavoro sono sostanzialmente unanimi: per le PA che devono affrontare e gestire il futuro sono importanti competenze legate alla creatività, all’adattabilità, al pensiero critico e al pensiero laterale[1]. Queste sono qualità e caratteristiche, infatti, che difficilmente saranno nel breve sostituite dagli algoritmi e che, al contrario, possono andare a qualificare il lavoro liberato da mansioni ripetitive e routinarie[2]. Per “combattere” le macchine dobbiamo valorizzare le capacità umane anche di natura emotiva ed empatica, come la logica abduttiva, cioè quel procedimento che consente di trarre conclusioni sensate da presupposti ipotetici o sconosciuti o la logica intuitiva ben descritta da Francesca Gino nel suo libro Talento Ribelle[3] e stupendamente rappresentata nel film Sully [4] con Tom Hanks[5].
Ma allora, se non siamo geni e creativi, non abbiamo scampo e ruolo nel mercato del lavoro che si sta delineando e in cui la dimensione tecnologica assume un’importanza sempre più determinante? Non proprio, perché “La creatività infatti non ha a che fare né con la follia né col possedere un’intelligenza fuori dal comune ha piuttosto a che fare con il pensiero divergente, che è l’abilità di trovare quante più soluzioni possibili a un dato problema. Più è divergente il nostro modo di pensare, più siamo creativi”[6]. Quindi non significa “invenzione” tout court, ma è piuttosto la capacità di usare elementi già esistenti in modo originale, per giungere a conclusioni nuove[7].
Per meglio definire le dimensioni del concetto è sicuramente utile partire da lontano e fare riferimento ai classici partendo da tre pionieri nel campo degli studi sulla creatività.
Il primo è Joyce Paul Guilford (1897-1987) noto soprattutto per il suo modello di intelligenza tridimensionale, chiamato “Structure of Intellect” (SOI). Prima del suo lavoro, l’intelligenza veniva spesso vista come una capacità unitaria e monolitica. Guilford, invece, ha proposto che l’intelligenza fosse composta da diverse dimensioni interconnesse. Il suo modello include tre principali categorie: operazioni, contenuti e prodotti. Le operazioni sono i processi mentali che utilizziamo, come la valutazione e la memoria. I contenuti rappresentano i tipi di informazioni su cui operiamo, come quelle figurative o simboliche. Infine, i prodotti sono le forme in cui queste informazioni sono organizzate, come unità o relazioni.
Uno dei contributi più rilevanti di Guilford è stata la distinzione tra pensiero divergente e pensiero convergente. Il pensiero convergente è il tipo di pensiero che ci porta a trovare una singola, corretta soluzione a un problema. Questo tipo di pensiero è generalmente misurato dai tradizionali test di intelligenza, che valutano capacità come la logica e la capacità analitica. Al contrario, il pensiero divergente è il processo creativo che genera molteplici soluzioni o idee per un dato problema. Questo tipo di pensiero è fondamentale per la creatività e l’innovazione, poiché incoraggia l’esplorazione di nuove possibilità e la generazione di idee originali.
Le idee di Guilford hanno avuto un impatto profondo sul modo in cui la creatività è compresa e studiata anche perché introduce il principio che la creatività può essere sviluppata e potenzialmente insegnata. Guilford credeva che il pensiero divergente potesse essere stimolato attraverso esercizi e pratiche specifiche. La sua ricerca ha suggerito che, fornendo un ambiente adeguato e utilizzando metodi didattici appropriati, è possibile migliorare le capacità creative degli individui[8]. Come vedremo, le sue idee saranno sviluppate successivamente da un altro importante studioso come Edward De Bono.
Tornando ai classici, Alex Faickney Osborn (1888-1966) credeva fermamente che la creatività potesse essere insegnata e sviluppata come qualsiasi altra abilità. Alex Osborn è una figura fondamentale nel campo della creatività, noto principalmente per aver introdotto e sviluppato il concetto di brainstorming. Negli anni ’40, mentre lavorava come pubblicitario, Osborn si rese conto che le tecniche tradizionali di problem-solving non sempre portavano a risultati innovativi. Da questa osservazione, iniziò a esplorare modalità più libere e collaborative per generare idee.
Nel suo libro “Your Creative Power”[9] Osborn delineò i principi del brainstorming, un metodo che incoraggia la libera espressione di idee senza critiche immediate. Questo approccio si basa su due elementi chiave: la quantità di idee generate e la sospensione del giudizio durante il processo creativo. Osborn credeva che, creando un ambiente in cui le persone si sentissero libere di esprimere le proprie idee, fosse possibile stimolare la creatività e ottenere soluzioni più originali.
Osborn ha anche enfatizzato l’importanza della collaborazione nel processo creativo, suggerendo che il confronto tra diverse prospettive e background potesse arricchire il flusso di idee. Due elementi arricchiscono quindi la riflessione. Il primo è che il processo creativo ha una dimensione sociale per cui la collaborazione fra individui è fondamentale per stimolare la creatività. Il secondo che il contesto organizzativo è fondamentale per il processo creativo. Osborn credeva, infatti, che un ambiente favorevole, caratterizzato da apertura, collaborazione e assenza di critiche, potesse significativamente facilitare l’emergere di idee innovative. Ha sostenuto che le organizzazioni dovrebbero promuovere culture che incoraggiano la libera espressione e il lavoro di squadra per ottimizzare il potenziale creativo dei gruppi. In questo senso, il contesto organizzativo gioca un ruolo cruciale nel supportare e stimolare il processo creativo. Convinto che la creatività potesse essere insegnata ha fondato la Creative Education Foundation(CEF), un’organizzazione dedicata all’insegnamento e alla promozione della creatività. La fondazione si è concentrata sullo sviluppo di programmi, risorse e metodologie per insegnare la creatività in vari contesti, compresi quelli educativi e professionali[10].
E arriviamo a pensieri più recenti con il già citato Edward De Bono che, partendo, dalle considerazioni di Guilford, sviluppa il concetto di “pensiero laterale”, che promuove approcci non convenzionali alla soluzione di problemi, incoraggiando a guardare le situazioni da prospettive diverse e a sfidare le assunzioni tradizionali. De Bono sostiene che il pensiero non è solo un processo logico, ma può essere indirizzato e strutturato in modo da stimolare la creatività. Ha introdotto strumenti e tecniche pratiche, come i “cappelli del pensiero”, un metodo che consiste nell’adottare diverse modalità di pensiero (logico, emotivo, ottimista, critico, creativo e organizzativo) per esplorare un problema da vari angoli. Un altro aspetto centrale del suo pensiero è l’importanza di insegnare la creatività come competenza. Anche De Bono ritiene che il pensiero creativo possa essere appreso e migliorato attraverso pratiche specifiche, rendendolo una parte essenziale dell’istruzione e della formazione professionale.
Come prima nota di sintesi sono tre le dimensioni che emergano da questi classici da riportare al tema del pensiero complementare all’intelligenza artificiale:
1. La creatività può essere insegnata. Secondo J.P. Guilford, la creatività è una capacità che può essere sviluppata attraverso l’educazione e la pratica. Guilford ha proposto che l’intelligenza creativa non è solo una questione di talento innato, ma può essere affinata attraverso specifiche tecniche e metodologie. Questo punto di vista è sostenuto anche da Alex Osborn, che ha ideato tecniche come il brainstorming per incoraggiare l’espressione creativa in contesti di gruppo. Edward De Bono, con il suo approccio al pensiero laterale, ha ulteriormente sottolineato che la creatività può essere appresa, suggerendo strumenti e strategie pratiche per stimolare il pensiero innovativo. Questi contributi evidenziano l’idea che la creatività non è esclusiva di alcuni individui, ma può essere coltivata in chiunque attraverso un adeguato insegnamento e pratica.
2. Il processo creativo ha anche una dimensione sociale. Il pensiero di Osborn e De Bono suggerisce che la creatività non è solo un processo individuale, ma ha una forte componente sociale. Osborn, attraverso il brainstorming, ha enfatizzato l’importanza della collaborazione e del lavoro di gruppo nel generare idee innovative. Il dialogo e l’interazione tra diverse persone possono arricchire il processo creativo, portando a risultati più diversificati e completi. De Bono, con la sua tecnica dei “cappelli del pensiero”, incoraggia anche la considerazione di diverse prospettive all’interno di un gruppo, evidenziando come le dinamiche sociali influenzino e migliorino il pensiero creativo. Questo aspetto sociale del processo creativo suggerisce che l’ambiente collaborativo può potenziare le capacità creative, rendendo le idee più ricche e innovative.
3. L’organizzazione aziendale deve stimolare la creatività. Osborn e De Bono concordano sull’importanza di un ambiente che favorisca la creatività all’interno delle organizzazioni. Le aziende che desiderano innovare e rimanere competitive devono creare spazi e culture che incoraggino il pensiero creativo. Le pratiche organizzative, come sessioni di brainstorming, l’implementazione del pensiero laterale e la promozione di un clima di apertura e sostegno, possono aiutare a stimolare la creatività tra i dipendenti. Inoltre, un’organizzazione che valorizza la sperimentazione e il rischio calcolato è più propensa a generare nuove idee e soluzioni. Investire nella creatività non solo porta benefici a livello di prodotto e servizio, ma contribuisce anche a una maggiore soddisfazione e motivazione dei dipendenti, creando un circolo virtuoso di innovazione.
Queste considerazioni, anche se vengono da lontano, chiamano fortemente in causa l’attuale struttura del lavoro pubblico. Una PA gerarchica e burocratica impostata sulle procedure è una PA che rischia di perdere senso a favore dell’efficacia degli algoritmi[11].
Per affrontare le nuove sfide dobbiamo ripartire dalle persone, da nuovi modelli organizzativi , dalla trasformazione della figura del leader pubblico che deve essere sempre più orientata a gestire il cambiamento. La creatività deve diventare un valore centrale all’interno della PA. Per raggiungere questo obiettivo, è fondamentale creare una cultura dell’innovazione, che incoraggi il pensiero critico e il problem-solving creativo[12] non convenzionale. Affinché questo avvenga è necessario sperimentare, rinnovare e collaborare con un approccio proattivo verso il cambiamento. La creatività, in questo contesto, non è solo una competenza da sviluppare, ma uno strumento strategico per affrontare le sfide di un futuro sempre più tecnologico e interconnesso.
[1] Domenico De Masi è stato un precursore di questi temi. Già più di venti anni fa scriveva: “Ma ecco due ulteriori passaggi: tra tutte queste attività che realizziamo col cervello, quelle più apprezzate, più spendibili nel mercato del lavoro, sono le attività creative. Perché anche le attività intellettuali, come quelle manuali, quando sono ripetitive possono essere affidate alle macchine”. D. De Masi , M. S. Palieri. Ozio creativo. Conversazione con Maria Serena Palieri: 1. Rizzoli, 2002.
[2] Scrive a questo proposito la Falletti “In realtà le questioni sono più sfumate, a partire da uno dei concetti più diffusi in ambito dell’intelligenza artificiale, cioè quello stesso di intelligenza artificiale, la quale non è riconducibile a una mera imitazione del ragionamento umano, in quanto ad essa manca l’elemento della logica abduttiva (ovvero trarre conclusioni sensate da presupposti ipotetici o sconosciuti)” in E. Falletti, «Algoritmi: la discriminazione non è uguale per tutti.», Lavoro Diritti Europa, vol. 2, 2023.
Su questo tema vedi anche M. Hildebrandt, «The Issue of Bias. The Framing Powers of Machine Learning». Rochester, NY, 3 dicembre 2019, che scrive “Machines can do inductive and deductive inferences, but cannot originate abductive reasoning [63]. Abductive reasoning requires an intuitive jump from a set of findings to a theory that explains it, which can then be tested inductively by deducting hypotheses that should be confirmed by the data. Clearly, the research design of ML, as developed by humans, and notably the construction of the hypothesis space, is largely a matter of creative abduction that enables the machine to inductively test the abducted hypotheses. If confirmed, this allows the system to use the abduction as a ground for deductive reasoning (this is why feedback loops are crucial)”.
[3] F. Gino, Talento ribelle. Perché infrangere le regole paga. EGEA, 2019. Per una lettura da una prospettiva delle neuroscienze e della psicologia per comprendere le origini del pensiero intuitivo vedi M. Gladwell, In un batter di ciglia: Il potere segreto del pensiero intuitivo. Mondadori, 2014.
[4] S. C. B e J. Zaslow, Sully. HarperCollins Italia, 2016.
[5] Ho approfondito questi temi in G. Dominici, «“Com’è umano lei”: del lavoro ai tempi dell’Intelligenza Artificiale». www.forumpa.it, 18 aprile 2024
[6] A. Gannett, The Creative Curve: How to Develop the Right Idea, at the Right Time. Random Uk, 2018.
[7] F.R. Gianandrea . Creatività per tutti. 60 tecniche di gruppo per stimolare nuove idee e risolvere problemi. 2 ª edizione, Franco Angeli, 2016.
[8] Joy Paul Guilford, Intelligence, Creativity and Their Educational Implications, Edits Pub, 1968.
[9] Alex F. Osborn, Your Creative Power, Myers Pr, 2008.
[10] Alex F. Osborn, L’arte della creativity. Principi e procedure di creative problem solving, 6ª edizione, Franco Angeli, 1991.
[11] Uno degli effetti più inibenti sul pensiero laterale nelle organizzazioni è l’effetto HiPPO (Highest Paid Person’s Opinion, l’opinione della persona più pagata; ippopotamo in inglese, N.d.T.). Con ciò si intende, come ci dicono Joost Minnaar e Pim De Morree, «l’abitudine di schierarsi con il funzionario di grado più elevato (e quindi spesso quello che ottiene lo stipendio più alto), così sottostimando la persona che ha più competenza, esperienza o idee più brillanti. Il sistema di lavoro tradizionale tende a trascurare il merito di un problema semplicemente per compiacere il collega con la più alta seniority. L’inefficacia di tutto ciò è stata scientificamente dimostrata». Ne ho parlato su G. Dominici, «Del cigno nero, del rinoceronte grigio, dell’ippopotamo e di altri animali». www.forumpa.it (blog), 20 dicembre 2023.
[12] A. F: Osborn, L’arte della creativity. Principi e procedure di creative problem solving. 6ª edizione. Franco Angeli, 1991.