Per un buon reclutamento nella PA non bastano i concorsi

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La Pubblica amministrazione non può e non deve essere un ammortizzatore sociale. Per assumere puntando sulla qualità e non sulla quantità si deve partire dalla motivazione, dalla conoscenza (anche usando i big data relativi ai concorsi) e dalle competenze. L’opinione di Francesco Verbaro, Presidente OIV presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze

12 Febbraio 2020

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Michela Stentella

Content Manager FPA

Photo by Alex Kotliarskyi on Unsplash - https://unsplash.com/photos/QBpZGqEMsKg


“Dobbiamo stare molto attenti a non assumere personale nelle nostre amministrazioni solo per colmare il vuoto lasciato da chi va in pensione, senza una seria riflessione a monte su quali siano le reali necessità, i profili e le competenze su cui puntare. La fuoriuscita di personale, agevolata dalle norme sul pensionamento anticipato, può e deve essere anche un’opportunità per la riorganizzazione, l’importante è ragionare più sulla qualità che sulla quantità dei dipendenti pubblici”. Così Francesco Verbaro, Presidente OIV presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), interviene nel dibattito su nuove assunzioni e concorsi nella PA.

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Dipendenti pubblici: qualità e non quantità

Verbaro parte da una considerazione e da una domanda: la pubblica amministrazione quando assume lo fa per sempre, siamo proprio sicuri che tutte le persone che ora stanno uscendo dal mondo del lavoro debbano essere sostituite per altri 40 anni?

La risposta, secondo Verbaro, sta in due parole: competenze ed engagement. “Il mondo cambia – sottolinea – nel pubblico come nel privato bisogna prenderne atto e puntare su nuove professionalità. Un esempio? Nella PA non abbiamo data analyst, mentre c’è un’enorme quantità di dati che potrebbe essere valorizzata per realizzare politiche più efficienti ed efficaci”.

Partire dai big data per reclutare i migliori

Proprio l’analisi dei dati relativi ai partecipanti ai concorsi potrebbe essere alla base di una strategia vincente per organizzare meglio il reclutamento del personale della PA.

“Analizzare i big data – spiega Verbaro – ci consentirebbe di capire chi si avvicina al concorso pubblico e perché: se sono prevalentemente persone che già lavorano, se sono persone disoccupate da anni, da dove vengono, che età media hanno, se accedono al concorso solo perché attratte dal posto fisso o perché realmente motivate. Se si vogliono attrarre i migliori bisogna offrire motivazioni a lavorare nel pubblico, perché è qualificante, professionalizzante, perché si basa su un’etica. Invece ho l’impressione che si guardi più al problema occupazionale, assegnando alla PA un ruolo di ammortizzatore sociale nei confronti della disoccupazione giovanile, come è avvenuto per tanti anni, soprattutto al Sud”.

Oggi il pericolo è di seguire ancora una volta questa direzione: “Le assunzioni in deroga dei lavoratori socialmente utili, la proroga delle stabilizzazioni e l’utilizzo delle graduatorie del passato non sono il modo per reclutare i migliori – sottolinea Verbaro –. Appesantire gli uffici inutilmente significa lasciare alle generazioni future cambiali da pagare, in termini di stipendi e di costi, senza avere in cambio maggiori o migliori servizi”.

Il valore della “motivazione”

Il buon reclutamento, invece, comincia prima e prosegue dopo il concorso. A partire, come detto, dalla motivazione che si offre a chi sceglie di lavorare nel pubblico. Fondamentale il collegamento con le università e i centri di formazione. “La PA storicamente non è stata attraente come datore di lavoro, se non nei periodi di crisi economica e di incertezza occupazionale. Bisogna cambiare questo approccio, lavorando anche sull’immagine che la PA offre di se stessa. La PA deve presentare la proprio offerta presso le Università, come fanno i soggetti privati in occasione dei career day. Serve un coordinamento con le Facoltà di maggior interesse (Economia, Ingegneria, Giurisprudenza, Scienze Politiche) affinché si organizzi e si promuova una formazione mirata sul mondo della Pubblica Amministrazione”.

Rivedere gli istituti contrattuali

Occorre quindi una revisione degli istituti contrattuali, per inserire istituti di meritocrazia e flessibilità che possano attrarre i meritevoli. E una buona gestione del lavoratore una volta assunto, attraverso strumenti quali: il patto di prova, che va riempito di contenuti per conoscere il lavoratore e verificare che abbia le capacità adeguate al ruolo assegnato; il fascicolo elettronico del lavoratore, che consente una verifica costante del percorso lavorativo e formativo; azioni di tutoraggio e mentoring; formazione in ingresso e percorsi di long life learning.

L’importanza dei capi del personale

Infine, un accenno ai capi del personale della PA, che, conclude Verbaro, “devono assumere consapevolezza rispetto all’importanza del proprio ruolo e funzione. Ridare quindi il giusto peso al capitale umano, stimolare verso una cura delle competenze, abituare l’amministrazione e il lavoratore a porre attenzione al proprio curriculum, puntare su cultura organizzativa, valori e buone pratiche. Questo il percorso da seguire per una PA in cui il reclutamento non dimentichi la qualità”.

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