Perché fare un assessment: alla scoperta delle competenze personali oltre il curriculum
Osservare e valutare le competenze, le attitudini e i comportamenti delle persone in fase di selezione, ma anche identificare percorsi di sviluppo per chi già lavora all’interno di un’organizzazione. È questo il valore dell’assessment, uno strumento che può rivelarsi strategico tanto per le aziende quanto per le pubbliche amministrazioni. Con questo contributo prende il via una nuova rubrica editoriale intitolata “L’ABC delle soft skills” e realizzata in collaborazione con le colleghe e i colleghi di Methodos, azienda del Gruppo DIGITAL360
13 Luglio 2023
Elisabetta Peracino
Senior Editor, Methodos
Forse non tutti hanno partecipato a una sessione di assessment, quando sono stati assunti in un ente o in una azienda, nel settore pubblico o privato. Ma è molto probabile che lo faranno in futuro. Già anni fa – ormai è una quasi una consuetudine – HBR (Harvard Business Review) valutava che la gran parte delle organizzazioni, oltre il 70%, con più di 100 dipendenti si affida a queste valutazioni per le assunzioni esterne, soprattutto per le posizioni senior (Tomas Chamorro-Premuzic, Ace the Assessment). L’assessment, però, non è utilizzato solo nella fase di assunzione: questo strumento permette infatti di misurare competenze e attitudini delle persone interne e anche di capire le potenzialità che hanno per ricoprire nuovi ruoli.
Cos’è l’assessment
L’assessment altro non è che una misurazione delle competenze e dei comportamenti. Ma a partire da cosa?
C’erano – e ci sono ancora – test attitudinali per valutare le competenze, le capacità e il potenziale delle persone; alcune aziende utilizzano test di valutazione situazionale, che presentano scenari che corrispondono a ruoli particolari e misurano in che modo quella persona risponde.
C’erano – e ci sono ancora – questionari di auto-dichiarazione per valutare tratti come l’ambizione e l’affidabilità. Test psicologici, test basati su scenari e compiti di performance per misurare l’empatia, la consapevolezza di sé e l’alfabetizzazione emotiva.
Oppure, o anche, ci si mette la faccia e in un certo senso si va in scena.
Come fare un assessment di selezione
Per partire da un esempio concreto, vediamo cosa succede in Methodos quando si cercano una o più persone nuove da inserire o si consiglia ai clienti come farlo. Certo si parte dallo studio del curriculum dei candidati ma un grande lavoro va fatto prima, come ci spiega Viola Pagnoni, Senior Manager & Head of Human Resources di Methodos, che sottolinea: “ogni azienda che vuole accogliere nuovo personale deve avere ben chiaro quali sono i tratti e i comportamenti che le persone devono agire, quali competenze devono avere e per quale ruolo, quali sono le caratteristiche culturali e di leadership della propria azienda. Solo se sai che cosa devi osservare lo puoi vedere negli altri”.
Questa chiarezza inziale del proprio carattere organizzativo permette quindi di osservare come le persone agiscono. “Per lo più – continua Pagnoni – facciamo lavorare le persone in gruppo con non più di 6 persone per volta. Proponiamo esercizi di natura cognitiva, chiediamo loro di realizzare delle presentazioni e di cimentarsi su momenti relazionali, discussioni di gruppo, colloqui one to one. Ad esempio, creiamo una intervista situazionale e comportamentale o un “role play” nel quale le persone si trovano a gestire un cliente o un collaboratore, entrarci in relazione o a risolvere un suo problema”.
E il palco non è solo dei partecipanti; un ruolo fondamentale lo giocano gli osservatori. “Le modalità più efficaci – continua Pagnoni – prevedono la partecipazione di osservatori aziendali guidati da un moderatore esterno; questo consente di allenare anche loro nell’effettuare osservazione e valutazioni dei comportamenti agiti e di diffondere più velocemente la conoscenza delle competenze e comportamenti richiesti dall’azienda per il ruolo”.
Ogni esercizio proposto stressa, infatti, specifici tratti o competenze. Per questo la durata di un assessment è piuttosto ampia e può andare da mezza giornata a più giornate. Alla fine, ogni persona riceve un feedback circostanziato; un momento di incontro, di riflessione e di confronto approfondito, su che cosa si è visto, quali sono emersi come punti di forza e quali come aree di miglioramento; non si tratta mai solo di un report scritto, che ti racconta in breve come è andata e se “sei dentro o fuori”, ma di un momento importante in cui la persona acquisisce maggior consapevolezza e strumenti per lavorare su di sè.
Development center, l’assessment per far crescere le persone
E se la persona è già all’interno dell’azienda? In questo caso il lavoro di assessment permette di identificare quale sia il percorso di sviluppo che può seguire. La funzione Risorse Umane deve considerare il risultato del lavoro di osservazione e mettere in campo azioni specifiche, così che la persona prenda sempre più consapevolezza dei propri comportamenti; ad esempio, viene identificato per ognuno un piano di sviluppo, che preveda azioni di formazione, l’eventuale ricorso a coaching o job rotation.
“La crescita delle persone è così in mano al singolo, al suo responsabile, alle Risorse Umane e all’azienda stessa– chiarisce Pagnoni -. In particolare, nell’ambito della PA, un approccio simile può essere utile per definire parametri oggettivi delle performance delle persone, con uno sguardo multiplo da diversi punti di osservazione”.
Anche le persone interne all’azienda, se opportunamente formate, posso essere preziosi osservatori e fornire una fotografia puntuale sul team.
Conoscersi meglio: forse è questo uno dei risultati di maggiore interesse per chi entra in un percorso di assessment. Conoscere meglio le persone e il loro valore, ma anche conoscere meglio se stessi, anche attraverso gli occhi dell’azienda.