Contributo “La rete è fatta di nodi” di S. Lotti
Ho letto l’articolo e sono certamente daccordo sull’impostazione. La rete è essenziale (comprendendo, come fa l’articolo, che non è questione solo tecnologica) . C’é però un aspetto che, anche se è parte del discorso, non è, secondo me, del tutto esplicitato.
La rete è fatta di nodi
4 Novembre 2010
Stefano Lotti
Ho letto l’articolo e sono certamente daccordo sull’impostazione. La rete è essenziale (comprendendo, come fa l’articolo, che non è questione solo tecnologica) . C’é però un aspetto che, anche se è parte del discorso, non è, secondo me, del tutto esplicitato.
La rete è fatta di nodi
Sembra banale ma la rete è fatta dalle microcompetenze dei suoi nodi. Non basta comunicare e non basta tenersi per mano se i nodi con competenze adeguate mancano. Se una rete non ha al suo interno sufficenti capacità e non lo comprende, non può attivare risposte adeguate al suo ambiente.
La rete amplifica le potenzialità, ma queste devono, ovviamente, esserci. Altrimenti, letteralmente, è cognitivamente cieca e può facilmente avviarsi ad una estinzione più o meno rapida. E’ la vecchia Legge della Varietà Necessaria di Ashby: un sistema deve avere una varietà comparabile a quella del suo ambiente per poter sopravvivere.
Noi già siamo nella cosidetta Società della Conoscenza ma spesso tendiamo a confondere la conoscenza con l’intelligenza. Possiamo essere molto intelligenti ma anche sostanzialmente privi di conoscenza, letteralmente ignoranti. Un laureato in una qualsiasi disciplina che non legga piu’ niente della sua disciplina (o di qualsiasi altra disciplina si occupi) per 5 o 10 anni non è un nodo utile perché un evitendente effetto della società della conoscienza è la continua variazione della stessa conoscenza. Un individuo di questo tipo è anche peggio che ignorante perché crede di sapere cose che sono oramai di un vecchio mondo che non esiste più da tempo. Un individuo di questo tipo diventa, letteralmente, uno stupido "una persona che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita".
La mia sensazione è che l’italia e soprattutto gli italiani abbiano finito con l’adeguarsi al proprio stereotipo: alla fine siamo geniali ed alla fine, anche se disorganizzati e un po’ cialtroni, troviamo sempre una soluzione intelligente. Certamente questo non funziona in una società della conoscenza ed in realtà non ha mai funzionato (questo si può dire senza scomodare ovvie osservazioni sul nostro passato: dalla civilità romana al rinascimento od anche ai più vicini anni sessanta e settanta).
Non dobbiamo correre il rischio di considerare la rete come una scorciatoia. La rete è l’organizzazione dei nostri tempi e da enormi possibilità che non siamo neanche in grado di comprendere completamente oggi, ma è anche un tipo di sistema con una sua cruda brutalità che non fa molti sconti. Non basta essere solo "efficenti" bisogna essere efficaci ed adeguati, altrimenti quella rete di cui si fa parte si dissolverà (nodi compresi) o verrà, se va bene, annessa ad altre reti. Niente di diverso dal passato, si puo’ dire, ma in un modo e con una velocità senza precedenti.
"Un bucato bianco non basta più"
Un esempio può aiutare a comprendere l’ordine dei problemi.
Quando si dice che mancano "grandi progetti-paese" è semplicemente vero ma se andiamo a livello di territori, per uno "sviluppo dal basso", si richiede ancora di più capacità tecnica di pianificazione strategica e progettazione. Servono idee e queste possono anche emergere. Ma quante sono, nel paese, le competenze necessarie alla loro realizzazione (perché anche la quantità è, ovviamente, essenziale)? E quanti di noi sanno che fare pianificazione strategica non significa scrivere qualche pagina di vaghi desiderata e aggiungerci un rabberciato business plan finanziario?
Parliamo di "banali" competenze di tipo tecnico, della capacità di organizzare razionalmente una strategia e soprattutto di renderla ragionevolmente eseguibile e verificabile e quindi modificabile. Solo tecniche e neanche particolarmente nuove.
L’idea che siano cose che si possano improvvisare e che la cosidetta "innovazione" possa emergere e strutturarsi magicamente in uno sviluppo dal basso (come è sensato che sia) solo tenendosi per mano è illusoria. In una società della conoscenza va da se che la conoscenza bisogna averla e, se non la si ha, bisogna sapersela prendere.
La rete va usata
La società in cui viviamo rende tutto questo facilmente possibile: le informazioni sono a portata di mano ci sono milioni di libri facilmente aquistabili su Rete, c’e internet stessa con una sterminata massa di informazioni e conoscenze disponibili. Internet non è, per fortuna, solo il gossip di facebook.
L’ascesa di paesi come India, Brasile e Cina mostra come sia possibile e relativamente semplice crearsi le competenze mancanti. Tutto questo richede tuttavia un tipo di studio continuo (che genera la capacità di costruire sulle conoscenze prodotte) a cui siamo poco abituati.
Smettiamo di ripeterci che abbiamo grandi potenzialità. Non abbiamo affatto grandi potenzialità (se si eccettuano il Colosseo, il buon vino e la mozzarella etc.). Siamo ancora un paese economicamente ricco ma dobbbiamo dirci che questo non durerà molto a lungo a queste condizioni.
Si può dubitare che i musei, l’enologia e i latticini diano a tutti noi la possibilità di vivere. Un esempio che faccio spesso è quello sull’IT. Basta entrare in una qualsiasi libreria ben fornita per accorgersi che nel settore "informatica" ci sono solo molti libri per principiani (come usare un certa applicazione), numerosi libri di programmazione, qualche raro libro (spesso un po’ datato) sull’ingegneria del software più tradizionale, pochissimi libri sulla modellazione (quasi tutti di base), praticamente nessuno sulle architetture IT o sull’Enterprise Architecture (che infatti quasi nessuno sa neanche cosa sia).
Basta andare su Amazon tedesco o francese o guardare ai libri spagnoli o olandesi (tanto per non nascondesi dietro la diffusione della nostra lingua) per scoprire una situazione molto diversa: traduzioni di libri avanzati anglo-sassoni e diversi libri nativi di cui capita che siano poi tradotti in inglese. Tutto questo va anche accoppiato con la nota debolezza delle nostre competenze linguistiche (per cui non li leggiamo certo in inglese o tedesco) e non è un caso che abbiamo anche una relativamente bassa diffusione dell’uso di internet (facebook a parte).
Dove pensiamo di andare in queste condizioni? Il problema non è che non ci siano anche eccezioni: ci sono imprese ed amministrazioni competenti. Ma è evidente che, ad esempio, i libri non si traducono e non si pubblicano perché non hanno un mercato e questo vuol dire che manca una reale competenza nella società su questi temi. Non leggiamo, non studiamo, non sappiamo (fare) e ci illudiamo.
Non ci sono pasti gratis
Non ci sono pasti gratis, e non lo è certo la felicità in una società della conoscenza. Per "ripartire" dobbiamo usare la rete anche per guardare in faccia i nostri problemi, i nostri gravi limiti e la nostra attuale inadeguatezza e poi usare la rete, tutta, per porvi rimedio.
Semmai gli italiani siano veramemente un popolo geniale lo si vedrà dopo che avremo perso, socialmente, un bel po’ di superficialità e presunzione sulle nostre capacità.
Il ritornello di una vecchia canzone di Angel Parra e Stafford Beer, un cantautore sudamericano e un cibernetico inglese, recitava: "Let us heap all science together, before we reach the end of our tether".