Contributo “Ripartiamo dalle reti” di E. Gullo
Come promesso il mio piccolo contributo (con la solita franchezza).
Prima di tutto direi che qualcosa non ha funzionato. E non mi riferisco alla congiuntura internazionale ed alla recessione in atto.
Andiamo per ordine e vediamo perché siamo a questo stadio.
3 Novembre 2010
Elio Gullo
Come promesso il mio piccolo contributo (con la solita franchezza).
Prima di tutto direi che qualcosa non ha funzionato. E non mi riferisco alla congiuntura internazionale ed alla recessione in atto.
Andiamo per ordine e vediamo perché siamo a questo stadio.
1. Dalla caduta del muro di Berlino, che per noi italiani significa qualcosa di diverso rispetto al resto d’Europa (ovvero lo sdoganamento delle ali estreme, a destra e a sinistra), la fine delle ideologie ha portato ad un complessivo impoverimento del tessuto socio-politico che ha retto il paese nel dopoguerra. Non provo nostalgia, ma la paura del futuro era qualcosa che non si provava dai tempi dell’ultimo conflitto mondiale.
2. L’ampliamento della base politica degli ultimi 18 anni e le riforme promosse e/o tentate (amministrativa, liberalizzazioni, scuola ed università, mercato del lavoro) non hanno incrementato il benessere complessivo (o almeno la sua percezione) e non sono state capaci di arginare la percezione di precarietà individuale e collettiva (si sarebbe potuto dire di classe con per un termine ante caduta del muro di Berlino).
3. La rivoluzione tecnologica ha lambito i modelli produttivi delle amministrazioni pubbliche, visto che gran parte degli interventi si è focalizzato sul sostegno della domanda (e-governemnt) e, in tale ambito, quasi esclusivamente su iniziative spendibili presso il pubblico ma di impatto scarso (carta di identità elettronica, firma digitale, PEC, portali), senza provare a toccare il nocciolo duro, ovvero il back-office.
4. Per venire più vicini a noi, alla pubblica amministrazione, siamo partiti dalla separazione tra politica e gestione, passati per l’apertura ai privati (sussidiarietà) e siamo miseramente finiti a dimezzare le risorse per la formazione ed a sperare di ottenere incrementi di produttività non dal miglioramento delle competenze, dai progressi tecnologici o da nuove forme di organizzazione, ma dalla riduzione degli addetti.
In questo quadro, che ritengo non possa che confermare da un lato il realismo e dall’altro la spinta verso il cambiamento sostenuto dai soggetti che ancora hanno qualcosa da proporre (che Carlo Mochi ha tratteggiato nella sua proposta di programma per ForumPA 2011), occorre porre l’attenzione verso quello che ancora si muove sul territorio non perché spinto dall’alto – la spinta o non ha risorse o non ha idee – ma per autoaggregazione più o meno spontanea.
Una lettura iniziale e frettolosa del 1° capitolo mi aveva fatto temere un ritorno sommesso al piccolo cabotaggio, e fatto temere che la destrutturazione sociale in atto potesse non alimentare le "reti" di cui Carlo parlava.
Ma letto il secondo capitolo (a me più vicino per cultura ed esperienza) e rifatti i conti, devo dire che il punto di partenza individuato è forse l’unico possibile al momento.
D’altra parte nei momenti di transizione – e questo lo è in pieno – occorre mettere un pò in disparte le vecchie convinzioni e provare a ricostruire con quello che c’è. E la rete e le reti possono forse fare da contraltare alla disaffezione (per usare un eufemismo) che tanto cattivo agire ha prodotto in chi ha ancora qualcosa da dire e da fare.