Corruzione. False verità e vere bugie
Sul tema della corruzione molto è stato scritto. “Corruzione. Le verità nascoste” è un recente volume (Rubbettino) di Maurizio Bortoletti, Consigliere del Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione che prova a sviluppare un’analisi integrata e complessiva del fenomeno della corruzione, superando letture parziali o unicamente settoriali che pure, generalmente, prevalgono a livello di riflessione scientifica.
In un’intervista all’autore cerchiamo di capire quali sono queste verità nascoste e come è possibile utilizzarle per combattere veramente il fenomeno della corruzione.
3 Dicembre 2010
Redazione FORUM PA
Sul tema della corruzione molto è stato scritto. “Corruzione. Le verità nascoste” è un recente volume (Rubbettino) di Maurizio Bortoletti, Consigliere del Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione che prova a sviluppare un’analisi integrata e complessiva del fenomeno della corruzione, superando letture parziali o unicamente settoriali che pure, generalmente, prevalgono a livello di riflessione scientifica.
In un’intervista all’autore cerchiamo di capire quali sono queste verità nascoste e come è possibile utilizzarle per combattere veramente il fenomeno della corruzione.
Quale è il primo aspetto da considerare quando ci si avvicina al tema “corruzione”?
Quello della estrema confusione. In una materia così evocativa ed eclatante quale quella della corruzione essere informati, ed esserlo correttamente e completamente, per quanto sia possibile, appare come la migliore strategia e, insieme, il miglior antidoto agli inutili allarmismi.
Serve una rappresentazione oggettiva, una “fotografia” che non vuole scontare alcuna posizione preconcetta o pregiudizio ideologico, nella consapevolezza che la corruzione vada contrastata senza “se” e senza “ma”, pur senza sostituire al bisturi della prudenza la mannaia dell’indignazione: purtroppo, le risposte che sono state date a questo problema sono le più diverse, e spesso ricalcano o risentono delle idee correnti, degli stereotipi, dei luoghi comuni, in un movimento ondivago nel quale il rischio è quello di “riverniciare” l’immaginario collettivo, di rivestirlo e avallarlo, rischiando di perpetuare errori di prospettiva che hanno a lungo impedito e complicato la formulazione e la messa in pratica di risposte efficaci e coerenti al fenomeno. Con il risultato, ricordato recentemente da Sergio Romano, che, a distanza di 18 anni da quel 17 febbraio 1992 nel quale fu arrestato il presidente del Pio Albergo Trivulzio, veneranda istituzione caritatevole milanese, “… nessuno dei tre grandi protagonisti della politica italiana – Governo, Magistratura, opposizione – fa il suo mestiere …”.
Si avverte, invero, l’esigenza irrinunciabile di conoscenza autentica del fenomeno, mentre sullo sfondo restano i due elementi che ci vengono consegnati dalla storia: il primo, nel quale la storia ha lavorato per secoli, è l’universo dei fattori strutturali, ossia di tutti quei fattori che non sono scaturiti da una scelta politica recente, bensì sono una eredità, pesante e determinante nello sviluppo del Paese; il secondo, invece, che proviene da fattori più recenti, di “novità”, determinati dalle scelte della politica.
Esiste, quindi, una via di mezzo tra le affermazioni di Ennio Flaiano, con “…l’Italia, un paese di santi, navigatori, poeti, cognati e nipoti …” e quella del prof. Ginsborg, circa l’abitudine degli Italiani che “… amano follemente il loro paese” ma che, contemporaneamente “… ne dicono tutto il male possibile …”.
Come diradare, allora, la nebbia che confonde ?
Prima di tutto, rendendosi conto che l’oggetto corruzione è diventato oggetto di rendita politica, quindi di scambio tra posizioni ideologicamente contrapposte. Una corretta informazione diventa ancora più difficile, non solo perché, come ricordava l’indimenticabile Flaiano, in Italia “… non esiste semplicemente la verità. Altri Paesi hanno una loro verità. Noi ne abbiamo infinite versioni”, ma soprattutto perché qualsiasi affermazione, oggettiva, ufficiale, vera, viene etichettata come “di parte” da parte di qualche “professore della questione morale”, per utilizzare le parole di Riccardo Nencini, Corrotti e corruttori. Nel tempo antico, Florentia, 1993.
Va, prima di tutto, ricordato chiaramente che:
- la corruzione è evidentemente un tema centrale per qualsiasi democrazia e per tutti i Governi democratici: con buona pace di tutti, non può essere diversamente, qui in Italia, come altrove;
- la corruzione va contrastata senza “se” e senza “ma”.
A questo punto, qual è la situazione?
È quella di un sistema repressivo estremamente efficiente, particolarmente apprezzate all’estero, come indicò, ad esempio, il compianto Franz-Hermann Bruener, recentemente scomparso, già Direttore generale dell’Ufficio anti-frode europeo (O.L.A.F), con l’Italia che “… dispone degli arsenali di protezione penale e investigativa tra i più avanzati a livello europeo …”, con “… strumenti di indagine utilizzati tra i più avanzati al mondo … strumenti raramente utilizzati nella maggior parte degli altri Paesi per tali tipi di illeciti …” e con le Forze di Polizia e la Magistratura, per questo, “… spesso invidiati dai colleghi di altri Paesi…”.
Con una riflessione. L’arresto di un rapinatore o di un ladro o di uno spacciatore o di un mafioso alimenta la nostra fiducia nelle Istituzioni e nella loro capacità di far fronte al problema, mentre quello di un corruttore, al contrario, contribuisce ad elevare i livelli di sfiducia istituzionale: invero, non va dimenticato, ad esempio, che “… un numero crescente di irregolarità comunicate può essere – ha ricordato da Siim Kallas, già Vice Presidente della Commissione Europea e Commissario responsabile per l’amministrazione, l’audit e la lotte antifrode – un buon segnale del fatto che i controlli sono migliorati ….”, cioè che il sistema preventivo e repressivo funzionano.
I risultati sono, quindi, soddisfacenti?
Ritengo di sì, anche per la preziosa garanzia dell’indipendenza del nostro sistema repressivo.
Si tratta di risultati, però, assolutamente diversi da quelli che si ascoltano abitualmente, che potremmo definire “false verità” o “vere bugie”: notizie e informazioni false, diventate vere grazie ad un effetto eco paradossale, dopo che qualcuno le ha messe in circolazione, custodendo poi con caparbietà – dopo non essere riuscito a “… resistere alla tentazione di avventurarsi sul rischioso terreno dei paralleli e dei calcoli…”, come ha ricordato il prof. Emanuele Narducci nel suo saggio Processi ai politici nella Roma antica per Laterza – il segreto di questi risultati allegati e non dimostrati, facendo riferimento a parametri noti solo a lui stesso ed eludendo con allegria una serie di evidenti interrogativi.
La prima di queste false verità: l’asserito aumento delle denunce per corruzione del 226% e per concussione del 151% nel 2009. Un falso. Le uniche fonti ufficiali disponibili sono quelle del Sistema di Indagine del Ministero dell’Interno, poi riprese dall’ISTAT: si tratta di un nuovo, innovativo sistema, operativo dal 2004, che registra tutti i dati dell’attività operativa di tutte le Forze di Polizia. Questo Sistema segnala una sostanziale stabilità del dato delle denunce dal 2004 al I semestre 2010 e non a caso nel corso di alcune Audizioni in Senato tali percentuali erano state definite “contrastanti” dal Procuratore Nazionale Antimafia e “ambigue” dal Presidente dell’Autorità per la concorrenza. Poi, come noto agli “addetti ai lavori”, tutte le statistiche della delittuosità richiedono alcune cautele di lettura, ma l’asserito aumento NON corrisponde a questi dati, gli unici, ufficiali, che NON “… producono risultati distorti e per giunta poco compatibili con quelli, ad esempio, del casellario giudiziario, utilizzati da Davigo e Mannozzi…”, come indicato su un autorevole quotidiano il 2 marzo scorso.
La seconda falsa verità: il costo della corruzione in Italia pari a 60 Miliardi di euro all’anno, i “famosi” mille euro pro capite, neonati compresi. Direi più una “bufala”, addirittura cresciuta per qualche osservatore fino a un “…ben di più dei 50-60 miliardi di euro…” con un proporzionale aumento dello spazio dedicato sui media, che, ovviamente, ma è bene ripeterlo, non hanno creato il fenomeno, ma, certamente, come per tutte le fenomenologie criminali hanno un “effetto” notevole sui livelli di percezione, come recentemente messo in luce dall’Osservatorio di Pavia in una ricerca guidata dal prof. Ilvo Diamanti.
Prima di tutto vi suggerisco di chiedere al Vostro eventuale interlocutore, che utilizzasse questo dato, di chiedergliene l’origine: ne ricavereste l’impressione di una notizia orfana. L’errore è banale, di quelli che porta dritti alla bocciatura in un esame di statistica all’Università: la banca Mondiale, in uno studio guidato da Kauffman, ha stimato il costo della corruzione mondiale nel 3% del pil mondiale, segnalando che questa percentuale – lapalissiano, è il noto mezzo pollo a testa che tutti mangiamo in Italia con qualcuno che non lo mangia – varia sensibilmente da Paese a Paese. Se la Banca Mondiale dice "First, as shown clearly by the data, the scale of corruption varies significantly from country to country", chi ha “immaginato” la cifra di 60 miliardi non ha fatto altro che l’esatto contrario, applicando il 3% al nostro pil. Risultato: i 60 miliardi.
Una notazione di colore. Il 2 settembre a Vienna, il SG Ban Ki-moon ha indicato in one trillion dollar, 700 miliardi di euro, il costo della corruzione mondiale: secondo il nostro “immaginatore” in Italia sarebbe, quindi, localizzato l’8,5% della corruzione mondiale.
In effetti, si rasenta l’incredulità. E meriterebbe una risata, se non fossimo di fronte ad una situazione, invero, tragica: quanto costano simili “bufale” al nostro Paese? Quanto peserà tutto questo l’anno prossimo, quando l’Italia sarà oggetto della periodica valutazione OCSE e del Consiglio d’Europa?
Un’Italia che già, tra l’altro, non è messa bene in tema di percezione.
L’Indice di percezione di Transparency ci ha visto quest’anno ottenere un punteggio inferiore a quello del Rwanda. Da tempo, almeno da quando il prof. Johann Lambsdorff, che lo ha inventato, ha abbandonato Transparency International evidenziando come vi fosse la necessità di superare tale Indice non più rappresentativo, si è aperto un ampio dibattito tra le “persone per bene” che vogliono misurare la percezione e informare correttamente sulla percezione.
Mentre tale lavoro prosegue, uno studio dell’OCSE di qualche giorno fa ha certificato, di fatto, la morte di questo Indice tenuto in vita artificialmente dal settembre 2009: come racconta Carlo Clericetti, “L’Ocse: Classifiche poco attendibili,possono produrre danni",su Repubblica.it del 26 ottobre 2010, lo studio "Measuring governance" “… analizza puntigliosamente le metodologie usate e l’attendibilità di questi studi ne esce a pezzi….”.
Una informazione precisa, chiara, utile, serve a tutti. Speriamo che Transparency International, anche con l’aiuto del capitolo italiano, che ha idee molto chiare grazie ai risultati di un’altra ricerca sulla “Quality of Government” commissionata dalla UE all’Università di Goterborg, concluda in tempi rapidi il fine tuning della metodologia.
Torniamo, quindi, al tema del contrasto alla corruzione attraverso una informazione corretta?
Esatto! Una informazione corretta sul fenomeno è una necessità, equivalente alla stessa azione di contrasto, secondo il Direttore della Direzione Investigativa Antimafia: nell’Audizione avanti alle Commissioni I e II Riunite del Senato della Repubblica nell’ambito dell’esame del ddl 2156, 6 luglio 2010, ha rimarcato “… la duplice necessità di neutralizzare adeguatamente le condotte illecite e di garantire una forte trasparenza sul fenomeno, anche per evitare che una amplificazione di dati inesatti possa incidere sull’immagine del Paese e, conseguentemente, sul suo rating in sede internazionale…”.
Sono, quindi, queste, questioni che vanno autenticamente interpretate per evitare il riproporsi di scelte sintomatiche, tipiche di un “ospedale da campo”, che in passato hanno alimentato l’ipertrofia del nostro sistema penale – con il consueto inasprimento delle pene che ha avuto, tra gli effetti collaterali, quello di aumentare in modo direttamente proporzionale la loro ineffettività – e hanno stimolato la scelta di politiche pret a porter, da one stop shop della democrazia, come in un “gioco dell’oca” dove si fanno tre passi avanti ad ogni stretta seguita all’aumento dell’allarme sociale e tre passi indietro ad ogni momento di relativa tranquillità.