Dal Referendum costituzionale alle Unioni dei Comuni: chi ha incastrato la riforma Delrio?

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19 Gennaio 2017

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Chiara Buongiovanni

Per quanti si stessero chiedendo che fine ha fatto la scadenza di obbligo di associazione per i Comuni sotto i 5000 abitanti, fissata (già in proroga) allo scorso 31 dicembre, la risposta è nell’articolo 5, comma 6 del decreto-legge 30.12.2016, n.244, cioè il Milleproroghe. E la sintesi è: ci riaggiorniamo al 31 dicembre 2017. Dunque, una nuova proroga, come era prevedibile guardando ai numeri. Nel 2016 sono state 29 le fusioni realizzate, mentre a novembre 2016 le Unioni dei Comuni erano 538 (73 in più rispetto al marzo dello stesso anno) coinvolgendo 3104 Comuni a fronte dei 5585 aventi obbligo da decreto legge 78/2010. Per quanti si stessero chiedendo cosa c’entra l’ultimo Referendum con la nuova proroga, la risposta c’è ed è una bella gatta da pelare… e probabilmente è il caso di farlo con una certa urgenza per sbloccare il processo di riordino degli enti locali che a tanti sta a cuore.

Destini incrociati nel processo di riordino degli enti locali
Partiamo dal Referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre. Come ben sappiamo, al di là delle modifiche sull’iter legislativo, il quesito referendario nascondeva effetti importanti sul Titolo V della Costituzione, attinenti al governo locale in termini di profili ordinamentali e anche funzionali degli enti. In caso di vittoria del “si”, ad esempio, avremmo visto realizzata la cancellazione completa e terminologica delle Province dal testo Costituzionale e quindi dall’intero ordinamento oltre a un riassetto delle competenze nella potestà legislativa concorrente Stato – Regione.
“Con la vittoria del no – sottolinea il prof. Mario Collevecchio a cui abbiamo chiesto di aiutarci a far chiarezza – succede che rimane in piedi l’art.114 della Costituzione, fondamentale per individuare quali siano gli enti costitutivi della Repubblica o livelli di governo. Senza dubbio ora ne dobbiamo considerare cinque: Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato”.
Quindi il dato più eclatante è che la Provincia resta come elemento costitutivo della Repubblica.
Questo è un primo problema che riguarda l’attuale “processo di riordino degli enti locali”. Rientrate a pieno titolo, senza mai esserne davvero uscite, nello status di ente costitutivo della Repubblica, le Province si trovano infatti ad operare in conclamata crisi identitaria e finanziaria sui territori italiani, territori che diventano vero crocevia di riforme a cui si riferiscono gli obblighi di associazionismo comunale, dalle Unioni alle Fusioni passando per le gestioni associate, imposti da legge dello Stato (decreto legge 78/2010 e legge Delrio 56/2014), le relative leggi regionali di riforma del governo regionale e locale, la legge sulla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche all’interno dell’incerta Riforma Madia (legge 124/2015).
“Le Province – spiega il prof. Collevecchio – con la legge Delrio sono state ridimensionate in termini di funzioni ma soprattutto sono state svuotate dall’interno di personale e risorse finanziarie dalle Leggi di stabilità successive”. Ci troviamo dunque in una situazione che ha del paradossale. “Ricordiamo – sottolinea il professore – che la legge Delrio ha una sua organicità, nel momento in cui stabilisce che le funzioni non fondamentali vanno dalle Regioni attribuite ad altri enti sul territorio, insieme al personale, i beni e le risorse finanziarie che le province utilizzavano per l’esercizio di queste funzioni”.
Nota a margine: la legge Delrio stabiliva che questi processi si chiudessero entro dicembre 2014, data alla quale doveva essere stata attuata la redistribuzione delle risorse per assicurare la continuità e il miglioramento dell’esercizio. “Un disegno – specifica – che però non ha funzionato per il ritardo delle Regioni nell’intervenire con Leggi regionali che operassero il trasferimento di funzioni, ma soprattutto per la stretta finanziaria che è stata data con la legge di stabilità 2015 e con provvedimenti relativi a tagli e ricollocazione del personale che hanno generato un paradosso: le Province hanno continuato a esercitare funzioni anche non fondamentali in carenza di risorse”.
La priorità dunque non può che essere una nuova disciplina giuridica delle Province che consenta loro di operare come enti di area vasta.

Regioni: un ruolo centrale per la riorganizzazione territoriale
La legge n. 56/2014 – secondo il professor Collevecchio – propone un assetto nel suo insieme organico, stabilendo l’istituzione delle Città metropolitane (novità), il riordino delle Province, con indebolimento immediato (in vista della soppressione con norma costituzionale, poi non avvenuta) e rafforzamento dei livelli di associazionismo in cui ricollocare molte delle funzioni non fondamentali delle Province.
L’attuazione del disegno passa dalle Regioni. La legge Delrio prevedeva infatti che le Regioni adeguassero la legislazione di merito sull’associazionismo e alla ricollocazione delle funzioni sul territorio entro un anno, dunque saremmo dovuti arrivare ad aprile 2015.
Per inciso, per capire quanto la Delrio fosse orientata alla vittoria del “si” nel Referendum costituzionale, basti considerare, come ci fa notare Collevecchio, che l’art. 40, comma 4 della Riforma costituzionale prevedeva in materia di area vasta che lo Stato disciplinasse “i profili ordinamentali generali”, mentre le Regioni definissero con legge regionale “le ulteriori disposizioni in materia”.

Dunque, cosa è successo e cosa è mancato?
A mancare, secondo il professore, è stato proprio il disegno organico a livello regionale, pur con le dovute eccezioni. “Seppur in ritardo – spiega – le Regioni hanno provveduto ad emanare delle Leggi regionali, ma messe alla strette dal punto di vista finanziario, con le Province che protestavano perché non potevano esercitare funzioni fondamentali, con la complessità della normativa nazionale in materia di mobilità del personale, molte Regioni hanno meramente regolato l’esercizio delle funzioni non fondamentali delle Province e il loro trasferimento alla Regione stessa. Hanno accentrato, ponendo così una questione di accentramento regionale, anche laddove ne hanno esplicitato la transitorietà a fronte del’impreparazione del territorio a recepire queste funzioni”.
Alcune Leggi regionali, però, sono andate avanti. Particolarmente avanzata la Legge regionale Emilia Romagna n. 13/2015 e, a seguire, le Leggi regionale Toscana n. 22/2015, dell’Umbria n. 10/2015; delle Marche n. 13/2015; della Lombardia n. 19/2015 e della Puglia 31/2015. Queste Regioni, anche se con articolazioni e approcci differenti, non si sono limitate a trasferire funzioni dalle Province a altri enti del territorio, ma hanno disciplinato il sistema territoriale degli enti, avviando un processo di riorganizzazione territoriale.
“Il punto chiave – continua Collevecchio – è aver previsto la ricollocazione delle funzioni provinciali sul territorio in un’ottica di riforma, quindi di miglioramento del servizio. Cioè queste Regioni non hanno operato un mero trasferimento, ma hanno dato attuazione al comma 144 della Delrio, adeguando la loro legislazione alle nuove esigenze di associazionismo dei Comuni, attraverso la Unioni o Fusioni, anche attraverso incentivi”.
Ad ogni modo, ciò che ad oggi accomuna le Regioni è il dover tener conto del “rinnovato” status costituzionale delle Province, ovviamente da queste ultime reclamato a gran voce, anche a fronte del fatto che la legge di stabilità 2017 toglie loro ancora 650 milioni di euro e che, come le ultime elezioni provinciali testimoniano, si trovano assoggettate a un assetto politico –istituzionale quanto meno bislacco.

La geografia istituzionale sul territorio
Dunque, prima di lavorare sulle Unioni e sull’associazionismo comunale, tema assolutamente promettente nell’Italia dei piccoli Comuni, vale la pena ripassare e visualizzare (per quel che è possibile) l’attuale geografia istituzionale sul territorio.
Sintetizza Collevecchio: “Abbiamo le Città metropolitane, prima 10 (legge Delrio) poi 14 (Sardegna 1, Sicilia 3), i Comuni (7998 dopo le fusioni del 2016), le Province da riprendere in considerazione”. “A questo quadro – continua – si aggiunge un elemento di complicazione non da poco, in caso di attuazione della legge 124/2015 sulla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”.
L’art. 8, della legge 124/2015 (Riforma Madia) delinea infatti la Riorganizzazione dell’amministrazione dello Stato sul territorio, stabilendo un nuovo status per le Prefetture che da Uffici territoriali di governo diventano Uffici territoriali dello Stato, con ruolo di coordinamento e direzione di tutti gli uffici dello Stato. “Addirittura – sottolinea il professore – il prefetto è identificato come responsabile del livello dei servizi sul territorio, prestati cioè al cittadino al livello locale”.
Insomma, il territorio non è al momento terreno semplice di governo, ma al tempo stesso avviare in tempi brevi processi reali ed efficaci di riordino non solo è auspicabile, è indispensabile.
Per il professore Collevecchio, non c’è altro punto di partenza che l’art. 114 della Costituzione. “Arrivati a questo punto, partendo dalla considerazione ovvia che il territorio è uno, si tratta di rivedere quale è l’assetto delle funzioni sul territorio da parte dei cinque livelli di governo costituzionalmente riconosciuti, considerando che la riforma dell’amministrazione centrale e periferica dello Stato dipende dall’attuazione della legge 124/2015, che però è in alto mare e che probabilmente salterà perché incontra resistenze fortissime”.

Una nuova governance inter-istituzionale per migliorare i servizi
Quale strada di lavoro da qui ai prossimi mesi? E’ importante tracciare la via di lavoro ma soprattutto tener sempre presente l’obiettivo – guida. “Abbiamo bisogno – sostiene Collevecchio – di un riordino di tipo istituzionale e funzionale degli enti in ambito regionale con redistribuzione delle funzioni in una visione organica di riforma, tenendo presente l’esigenza di migliorare i servizi. La riforma deve avere un chiaro senso migliorativo, cioè va orientata al miglioramento dei servizi dell’amministrazione locale”.
In altri termini, la parola chiave è “funzioni” non “norme”. E conclude: “Parlo di esercizio concreto di funzioni. Non parlo di un assetto normativo che definisce la funzioni, ma di un servizio da dare al cittadino, in termini di diritti. La PA non può rimanere ferma in questa posizione di lassismo e di inefficienza in quanto la sua azione è fondamentale per assicurare i diritti: stiamo parlando di democrazia, di Stato democratico non di teoria”.

Questa è la bussola dell’urgente azione di riordino degli enti locali, sotto la cui guida procedere spediti verso una nuova stagione di associazionismo comunale. Come non essere d’accordo.

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