Dati della Pa, l’innovazione manca di guida

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Manca un quadro strategico, ma sono presenti diverse esperienze di valore promosse dalle PA. Prima della pausa estiva facciamo il punto su quanto emerso dal dibattito aperto su queste pagine. Da settembre torneremo, seguendo anche come le principali pratiche nazionali potranno diventare riferimento e stimolo al cambiamento necessario

29 Luglio 2016

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redazione

Il mondo dei dati è certamente in rapido movimento e sta dispiegando le sue potenzialità in modo sempre più chiaro. In questi mesi di confronto è emersa la ricchezza di esperienze e di opportunità già colte, ma anche, soprattutto sul fronte Open Data, la difficoltà di operare senza un programma di coordinamento nazionale effettivo. Per questa ragione, abbiamo chiesto a esperti di open data di aiutarci a realizzare un quadro d’insieme dello stato degli open data in Italia, sapendo che la situazione, come anche sottolineato da Maurizio Napolitano , è di miglioramenti che nelle PA sono ancora a piccoli passi, ancora non sufficienti, mentre è necessario che la rivoluzione parta dall’interno delle PA, cogliendo prima di tutto l’enorme vantaggio che l’open data può offrire a loro stesse.

L’indirizzo per evitare di procedere ancora su un approccio spot alla pubblicazione dei dati, potrebbe essere quello indicato da Vincenzo Patruno , di un “Programma Open Data Nazionale” andrebbe nella direzione di dare indicazioni precise agli enti locali su cosa pubblicare e come.

D’altra parte in alcune PA si stanno attuando progetti che segnano una discontinuità e che dovrebbero essere messe a sistema come approccio di riferimento: è il caso, ad esempio, della “rivoluzione semplice” di OpenCantieri, raccontato da Giovanni Menduni , dove soggetti attuatori delle opere sono i più vari, ognuno gestisce i propri dati e contemporaneamente deve dare conto a parecchi soggetti che svolgono il monitoraggio, con la Direzione Generale Sistemi informativi e statistici del MIT impegnata in un lavoro continuo e paziente di collegamento. Ma anche la scelta di Istat sui Linked Data, descritta da Stefano De Francisci , è un elemento chiave del panorama italiano. Avere un modello globale di condivisione, interoperabilità semantica e integrazione dei dati basato sui Linked Data favorisce gli sforzi necessari ad avere un modello globale per la rappresentazione e lo sfruttamento dei dati a disposizione in una organizzazione, aumentando il valore dell’informazione.

Tra i diversi fattori fondamentali per il riuso dei dati emergono qualità e cultura.

Sul tema della qualità è importante non solo la consapevolezza che è precondizione per il riuso, ma anche costruire gli strumenti perché possa essere gestito anche da piccole entità. Su questo è stata centrata la riflessione di Antonio Vetrò , secondo cui lo sviluppo di una pipeline informatica per il controllo della qualità degli Open Data sulle caratteristiche di interesse più trasversale, può venire in aiuto a quelle Istituzioni –come appunto i piccoli Comuni- che non hanno le risorse sufficienti per implementare un processo di controllo della qualità dei dati prima della loro apertura.

Sulla cultura del dato, e in generale sul tema del riuso, tra le diverse riflessioni possono essere utili quelle di Salvatore Marras , in cui il tema di intreccia con quello delle competenze per l’e-leadership e di Federico Morando , che suggerisce un ragionamento sul “dato come debito”, trasposizione del meme “code is a liability”, secondo il quale – a parità di funzionalità realizzate e problemi risolti – ogni riga aggiuntiva di codice è un debito, il cui servizio sarà pagato a caro prezzo.

Un tema, quello dei dati, che è sempre più importante non solo per l’analisi dei fenomeni e la programmazione degli interventi, ma più in generale, perché informazione e conoscenza sono alla base della crescita delle economie. Un esempio, mostrato da Massimo Zotti , è quello dei Big Data satellitari, in cui si evidenzia che, quando i dati possono essere utilizzati per generare informazioni e conoscenza che qualcuno è disposto a pagare, nascono attività economiche che creano nuove opportunità di lavoro.

L’attenzione su Big Data e Open Data sembra aumentare anche a livello politico, buon segnale, se poi si traduce in programmi coordinati e conseguenti che vedano un ruolo chiave per professionisti, università, ricerca, e che si possa consacrare in una figura standard nelle pubbliche amministrazioni di un Chief Data Officer. Sarebbe un passo importante verso la trasformazione digitale delle PA.

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