Decreto Semplificazioni: come cambia la responsabilità dei dipendenti pubblici
Obiettivo del Capo IV Titolo II del Decreto semplificazioni è combattere la cosiddetta “burocrazia difensiva” e la “paura della firma”, che spesso rischia di bloccare l’azione amministrativa per timore di essere chiamati in giudizio per danno erariale o per abuso d’ufficio. Dobbiamo però ricordare che una legge, anche se complessa e ambiziosa come questa, non può modificare i comportamenti senza una costante azione di accompagnamento al cambiamento
16 Settembre 2020
Carlo Mochi Sismondi
Presidente FPA
Nel mio editoriale dedicato al cosiddetto “Decreto Semplificazioni”, ho già parlato estesamente degli articoli che trattano la semplificazione amministrativa. Ora vediamo un altro importante pilastro del Decreto-legge 76/2020 come convertito con modifiche dal Parlamento: quello dato dagli articoli 21, 22 e 23 che costituiscono uno stringato, ma importantissimo capo IV del Titolo II. Il tema è già nel titolo del Capo: “Responsabilità”. Obiettivo di questo capo è di combattere la cosiddetta “burocrazia difensiva” e la “paura della firma” che spesso rischia di bloccare l’azione amministrativa per timore di essere chiamati in giudizio per danno erariale o per abuso d’ufficio.
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L’articolo 21 modifica profondamente, in due aspetti, la responsabilità del dipendente pubblico così come era stata disegnata dalla legge 20/1994.
Il primo aspetto riguarda la “prova del dolo”: si prevede espressamente, che “la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”. Sembra ovvio, ma leggendo la relazione capiamo meglio che la norma indica che il dolo va inteso in chiave “penalistica” e non “civilistica”. Cerchiamo di spiegarci con parole semplici: la volontà del legislatore è quella di escludere ipotesi di dolo che non siano conformi al dettato dell’art. 43 del codice penale, secondo il quale “Il delitto è doloso, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”. Insomma, questo importante articolo riprende in pieno questa definizione e, quindi, scarta l’interpretazione civilistica spesso usata dalla Corte dei Conti, che non prevede che intervenga una “volontà consapevole”.
Il secondo aspetto è ancora più “rivoluzionario” seppure limitato nel tempo: il comma 2 dell’articolo 21 limita infatti, con riguardo ai fatti commessi dal 17 luglio 2020 (data di entrata in vigore del decreto-legge) al 31 dicembre 2021, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità, ai soli casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente sia stata compiuta con dolo. Questa limitazione di responsabilità – precisa la disposizione – si applica ai danni cagionati dalle sole condotte attive (provvedimenti), mentre nel caso di danni cagionati da omissione o inerzia il soggetto agente continuerà a risponderne sia a titolo di dolo, sia di colpa grave. Insomma, per questo periodo entra in gioco una specie di “scudo erariale” per cui è stata abolita la responsabilità erariale per colpa grave, a meno che non siano danni cagionati da omissione o inerzia, rispetto ai quali si prevede che non si applichi la limitazione di responsabilità. “Basta paura, conviene sbloccare”: recitava la slide che ha accompagnato la conferenza stampa del Presidente Conte. Ci saranno “più rischi per il funzionario che tiene fermi procedimenti e opere, non per quello che li sblocca”.
Se l’articolo 21 modifica profondamente la responsabilità del dipendente pubblico, l’art. 23 incide modificando un articolo del codice penale, esattamente l’art.323, che disciplina l’abuso d’ufficio. Prima di questo decreto l’abuso di ufficio interveniva nel caso in cui un incaricato di pubblico servizio “in violazione di norme di legge o di regolamento, (…) intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimonialeovvero arreca ad altri un danno ingiusto”. Ora l’abuso d’ufficio interviene solo se l’azione si attua “in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”. Insomma, prima era abuso d’ufficio se si violava anche un regolamento, ora la violazione deve essere necessariamente di una legge e viene tutelata maggiormente la discrezionalità di chi assume decisioni. Non abbiamo né il tempo, né forse la competenza, per addentrarci nel profilo giuridico di questa norma, basti considerare che, vincolando l’abuso penalmente rilevante alla violazione di specifiche ed espresse regole di condotta dettate da leggi, la riforma mira a ridurre l’area applicativa dell’incriminazione, escludendo la violazione di principi generali. Inoltre non ci sarà abuso d’ufficio penalmente rilevante in caso di una violazione di una specifica ed espressa regola di condotta, caratterizzata però da margini di discrezionalità.
Come abbiamo detto, questo capo IV del Titolo II del Decreto, che è completato da un art. 22 che riguarda l’azione di controllo concomitante della Corte dei Conti per le realizzazioni delle azioni di sostegno post covid-19, si pone l’obiettivo di garantire maggiore discrezionalità al dirigente pubblico e di ridurre il rischio di azioni giudiziarie quando vengono prese, come accade spesso, decisioni anche controverse in condizioni di incertezza. Se l’intenzione è condivisibile al 100% nutro personalmente qualche dubbio, leggendo l’articolato, sulla sua effettiva applicabilità, perché la presenza o meno di margini di discrezionalità in una norma di condotta è di difficile determinazione, così come è difficilmente individuabile con certezza la “dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”. Permane poi un dubbio se sia in effetti, almeno in linea di principio, più grave un’omissione o una decisione avventata o interessata che violi un regolamento esplicito, ma che non ha forza di legge.
Per questo aspetto e per molti altri ambiti di questa enorme e complicatissima legge sarà opportuno tener d’occhio la giurisprudenza per capire verso quale direzione si orienteranno le sentenze in campi dove permangono ancora margini di scarsa definizione. Altrettanto importante sarà non cadere in quella “illusione del legislatore” che ci fa credere che sia una legge, anche se complessa e ambiziosa come questa, che possa modificare i comportamenti in assenza di una costante, coerente e paziente azione di accompagnamento al cambiamento. Sarà questa opera di sostegno alle amministrazioni e alle donne e agli uomini che in esse lavorano che farà la differenza.